REX IUBA
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REX IUBA

  1. 372 pagine
  2. Italian
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REX IUBA

Informazioni su questo libro

Roma, 46 a.C. Nel corteo trionfale di Cesare dopo la campagna d'Africa sfila un giovanissimo orfano di guerra: è Giuba, figlio del re di Numidia, sconfitto dai cesariani. Un triste futuro lo attende se non fosse che gli dèi, da cui dipendono le sorti degli uomini, hanno in serbo altri progetti per lui: a Giuba è riservato un destino che lo porterà a riconquistare gli onori del suo rango. Viene infatti accolto nella famiglia di Augusto e cresciuto secondo il costume romano. Nel 25 a.C. è lo stesso Ottaviano ad assegnargli il regno di Mauretania, in Nordafrica, e a dargli in sposa la bella e sensuale Cleopatra Selene, figlia di Cleopatra e Marco Antonio, una donna colta e raffinata, legata al marito da un sentimento profondo. Appassionato di arte e letteratura, di filosofia e geografia, non pago dei preziosi volumi custoditi nella sua immensa biblioteca, Giuba promuove diverse spedizioni esplorative, spinto dalla sua inestinguibile sete di conoscenza. Fra queste, la più avventurosa e rocambolesca lo condurrà, insieme ad alcuni amici fidati e a una settantina di marinai abili con i remi quanto con la spada, alla scoperta delle Isole Fortunate, le odierne Canarie. Lì, in quei luoghi sospesi fra mito e realtà, agli estremi confini del mondo conosciuto, i protagonisti della spedizione scopriranno una natura spettacolare e selvaggia, incontreranno un popolo che non conosce il denaro e l'avidità, assisteranno ai fenomeni prodotti dall'immane potenza dell'Oceano, nelle cui viscere ribollono fiumi di lava e dimorano mostri marini. Con passione e competenza, restituendoci vividi i colori dell'epoca, Stefano Medas ci accompagna lungo le coste dell'Africa, in un itinerario costellato di pericoli che è prima di tutto un viaggio dell'anima, dal quale si torna inevitabilmente trasformati e consapevoli che il luogo ideale nel quale rifugiarsi per sfuggire ai nostri tormenti risiede, prima ancora che in qualche terra remota, in noi stessi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
Print ISBN
9788804661696

1

Augusto a Giuba
Salute a te Giuba, amico fedele.
Questa mia lettera ti giunge per annunciarti che le navi salperanno alla fine del mese di aprile, affinché la spedizione possa partire da Cesarea entro le calende di giugno, come previsto. Lucio Papirio e Publio Metello, trierarchi della flotta di stanza nel Porto Giulio, saranno al comando delle liburne Aquila e Invicta, mentre il greco Filarco, pilota della flotta annonaria, condurrà l’oneraria Fortuna, che si unirà alle liburne partendo dal porto di Pozzuoli. Conoscono già la meta del viaggio e sono pronti a obbedire ai tuoi ordini. Lucio è a capo della squadra.
Le navi sono state costruite sotto la guida di un maestro d’ascia di Cadice, esperto di Oceano, rinforzando la struttura degli scafi, e sono complete di tutte le attrezzature necessarie, sia ordinarie che di scorta. Così, ciascuna dispone di una seconda coppia di timoni e di tre vele supplementari, di un secondo albero e di cordami in quantità, di cinque remi di scorta le liburne, nel caso in cui, a ragione della lunghezza del viaggio, fosse necessario ricorrere a delle sostituzioni.
Le liburne sono del tipo da esplorazione, con un solo ordine remiero, per un totale di ventiquattro remi ciascuna. Hanno una lunghezza di ottanta piedi, dodici in più di quelle da guerra, affinché a poppa vi sia lo spazio per la cabina. Le fiancate sono state rialzate, mentre i portelli possono essere chiusi con coperture di pelle, per navigare anche col mare grosso. Sotto coperta si trovano i ricoveri, gli spazi per riserve d’acqua e vettovaglie sufficienti a sei giorni di navigazione, senza che sia necessario avvicinare l’oneraria o scendere a terra.
L’oneraria è un ponto da duemila anfore, della lunghezza di settanta piedi. Ha la carena profonda e la chiglia prolunga la prua, che ha la forma simile a un rostro – quella che chiamano “prua a tagliamare” – per aiutare la nave a tenere meglio la rotta e a stringere il vento.
Ogni nave è fornita di una piccola scapha della lunghezza di venti piedi, dotata di quattro remi e di una vela a tarchia. Vi serviranno per scendere a terra quando sosterete in rada. Sono sistemate sul tetto delle cabine, in modo che non creino intralcio in coperta; come puoi immaginare, infatti, non sarebbe opportuno tenerle a rimorchio.
Gli uomini sono tutti di grande esperienza, scelti con cura per età, capacità e forza morale; ognuno di loro è nel contempo marinaio, rematore e abile combattente. In questo modo potranno sempre sostituirsi nei ruoli secondo le necessità o alternarsi al remeggio durante i trasferimenti più lunghi, quando non sia possibile impiegare le vele. Tra loro cinque sono anche carpentieri e tre sono fabbri. Ciascuna liburna avrà un equipaggio di trenta uomini, mentre l’oneraria ne porterà otto. A questi aggiungerai gli altri di tua fiducia, secondo il numero che riterrai necessario.
Tu stesso potrai constatare che tutto è adeguato all’impresa, pensato per affrontare lunghe navigazioni e per resistere alle condizioni peggiori.
La tua decisione di mantenere segreta la spedizione è giusta, ispirata da una saggia prudenza. Ho avvisato personalmente i comandanti delle navi, affinché informino i loro uomini di non farne parola con nessuno, pena la morte. Per quanto li riguarda, dunque, puoi stare sicuro. Naturalmente è informato anche Agrippa, che confida di ricevere presto la tua relazione per completare la grande carta dell’ecumene. Abbi cura che a Cesarea la notizia rimanga ristretta fra i tuoi più fedeli collaboratori.
Come già ti scrissi, è di fondamentale importanza che tu stabilisca la posizione geografica dell’isola più lontana delle Fortunate. Infatti, poiché l’arcipelago rappresenta l’estremo confine occidentale dell’ecumene, oltre il quale non esiste altra terra che interrompa la sconfinata distesa dell’Oceano tenebroso, il meridiano che attraversa quell’isola diventerà per noi il limite geografico ultimo e servirà come riferimento per i cartografi. Conoscendo la tua propensione per la geografia non ho dubbi sul fatto che eseguirai i rilievi con la massima precisione e annoterai tutto nel modo più rigoroso. So che la mia fiducia è riposta in un uomo capace.
La raccolta dei dati geografici costituisce la prima ragione del viaggio, poiché le terre dell’estremo Occidente e quelle che si estendono in direzione del Tropico sono per noi poco note e nascondono molti misteri. Più di tutte lo sono le isole disperse nell’Oceano Occidentale, che chiamano anche Gaditano o Atlantico. Per questo si rende necessario conoscerne il clima e la natura, sapere se sono abitabili e se il mare si può attraversare senza eccessivi pericoli. La distanza e la sicurezza della rotta, tanto nel viaggio di andata quanto nel ritorno verso lo Stretto, sono fattori essenziali per decidere se sia opportuno allacciare rapporti con quelle terre lontane.
Insieme a queste ragioni convivono in certa misura anche gli aspetti economici e politici. I programmi di annessione delle nuove regioni rendono infatti necessario conoscere la geografia dei territori con quanta più precisione è possibile. Soltanto disponendo di tutte le informazioni potremo stabilire se sia necessaria qualche forma di controllo, quali siano i popoli con cui è opportuno allearsi o, al contrario, se sia inutile l’intervento di Roma. In merito alle Isole Fortunate la situazione assume un significato particolare. Certamente sono troppo lontane dal Mare Interno e, per tale motivo, risulta importante sapere quale interesse possano rivestire per i commerci di Cadice e di Lixo. Se la tua relazione lo farà ritenere opportuno, manterremo un contatto solo attraverso le navi di queste città.
Ti confermo che la flotta inviata a pattugliare i litorali della Betica resterà di stanza a Cadice fino al mese di settembre e che potrà provvedere a ogni vostra ulteriore necessità, prima che salpiate per Lixo.
Attendo una tua lettera che mi informi sulla situazione di Sala.
Respirava l’aria ancora fredda e si sentiva orgoglioso di essere lì, nella sua Africa.
Alle prime luci dell’alba, dalla terrazza ammirava la distesa del mare.
Nell’atmosfera immobile, figlia della notte ancora vicina, l’orizzonte gli appariva come una linea perfetta, mentre la luce radente del sole scolpiva la sagoma del faro e illuminava una fila di donne, ferme sul molo a guardare le navi dei loro uomini che salpavano con l’ultima brezza.
Dal porto saliva la voce della città risvegliata. Cesarea, sotto di lui, viveva.
In quel tempo Giuba era nel pieno vigore degli anni e non mancava di nulla per poter realizzare grandi progetti.
Era un uomo piuttosto alto e di bell’aspetto, con un corpo ben proporzionato e una muscolatura da cui traspariva un vigore non eccessivo. I capelli neri, folti e ondulati, la barba rasata. Il suo viso appariva sereno, ma velato da una composta tristezza, mitigata però dalla bellezza degli occhi scuri e dalla dolcezza dello spirito. La sua immagine incarnava quella di un raffinato romano educato alla cultura greca e contrastava con quella del padre, il vecchio guerriero numida, uomo possente e barbuto.
Fin da bambino aveva mostrato di avere un carattere serioso e cedeva solo di rado all’ilarità. Era di temperamento forte e non si faceva mai cogliere dall’ira. Aveva una grande resistenza alle fatiche, e affrontava ogni situazione con grande lucidità e capacità di sopportazione. Temeva però le malattie, pur non essendone mai stato colpito in modo grave; il solo pensiero o l’incontro con una persona che ne era afflitta potevano mutare il suo umore. Non prevaricava nessuno e cercava in ogni modo di ricomporre i dissidi, sempre disposto ad ascoltare e a parlare con moderazione, senza mai interrompere il suo interlocutore. Era immune alle adulazioni, ma cedeva all’eleganza nel vestire. Mangiava e beveva in modo misurato, soprattutto nelle occasioni pubbliche. Teneva un atteggiamento inflessibile nel conferire a ciascuno cariche e onori secondo il merito, senza farsi influenzare dalla condizione sociale. Si dedicava moltissimo allo studio e alla scrittura, lavorando spesso di notte per non sottrarre tempo ai suoi impegni ufficiali.
Con le mani appoggiate alla balaustra, si godeva lo spettacolo del sole che stava sorgendo. E pensava al suo regno, immaginandolo come se fosse proiettato su di una gigantesca mappa geografica. La Mauretania! La grande, la meravigliosa Mauretania!
Lasciò la terrazza e percorse il vestibolo che conduceva alla stanza da letto.
Cleopatra era ancora addormentata su un fianco, con il volto disteso di chi gode dell’ultimo sonno prima di alzarsi. Le sedette accanto e la guardò in silenzio. Spostò piano la ciocca di capelli che le copriva il viso e aspettò, indugiando sulla sua bellezza, sulla dolcezza della donna che amava.
Stava già per alzarsi quando lei lo richiamò a sé stendendo le braccia. Lo voleva vicino ancora per un istante prima che uscisse.
«Resterai a palazzo oggi?» domandò con voce assonnata, mentre Bubasti, la sua gatta egiziana, si stiracchiava pigramente in un angolo del letto.
«Sì. Ieri ho ricevuto la lettera di Ottaviano: le navi partiranno alla fine del prossimo mese. È ora che cominci a predisporre le cose. Ho già convocato Aulo con i medici, li incontrerò fra poco.»
Quella notizia poneva fine all’attesa e lasciava il posto all’angoscia. Ma lei conosceva le ragioni del viaggio e approvava la decisione del marito. Non gli avrebbe mai rivelato i suoi timori e in nessun modo avrebbe ostacolato la spedizione.
Bubasti si alzò e con eleganza saltò silenziosa sul pavimento per poi allontanarsi attraverso la stanza. Cleopatra aveva cambiato umore d’improvviso, come destata dal soffio di un vento gelido. Ogni volta che Giuba pronunciava quel nome si riapriva in lei una ferita insanabile, generata da un veleno per cui non esistono farmaci. Amaro e inesorabile le scorreva nelle vene ammorbando il suo sangue. Era odio.
Scese dal letto e si diresse verso la finestra. Si fermò lì, davanti alla tenda, con lo sguardo rivolto nel vuoto, verso l’esterno.
«Ottaviano…» mormorò a bassa voce, come parlando a se stessa, «neppure un dio potrebbe mostrarsi più forte nel governare i nostri destini.»
«Non puoi continuare a serbare questo rancore, ti corroderà l’anima» la ammonì Giuba.
«E che sentimento dovrei provare per chi ha ucciso mia madre e mio padre?» ribatté lei irritata, girandosi verso il marito.
«La guerra li ha uccisi» precisò lui con voce ferma.
«Certo, la guerra. Ma è stata la guerra di Ottaviano che li ha costretti a cercare una morte onorevole. Ti nascondi sempre dietro le ragioni di Stato, pensi sempre che il corso della storia possa giustificare tutto. Eppure, anche tu sei orfano a causa di Roma.»
«La storia, dici? Quella storia che ha fatto di me un re e di te una regina? Dovresti mettere anche questo sul piatto della bilancia.»
«Un re e una regina clienti di Roma, soggetti al potere di Ottaviano.»
«Ottaviano ti ha pur sempre dato una famiglia e ti ha trattato onorevolmente. Saresti morta se non fosse stato per la sua volontà. Sua sorella Ottavia ti ha accolto come una figlia; proprio lei, la moglie che Antonio ha abbandonato per sposare Cleopatra, tua madre. Quale altra donna, in una situazione simile, avrebbe allevato con tanto amore la figlia di colei che le aveva rubato il marito?»
«Ecco, nei miei genitori tu vedi solo Marco Antonio e Cleopatra, i nemici di Ottaviano.»
«La tua rabbia ti rende ingiusta, moglie. Sai bene quale sia l’ammirazione che nutro per tua madre.»
«Ottaviano mi ha dato una famiglia, è vero, ma dopo avermi condotta in catene nel suo trionfo. E io ero poco più che una bambina, terrorizzata, umiliata. In quanto a Ottavia» proseguì con tono sommesso, dopo una breve pausa, «hai certamente ragione e posso dire lo stesso anche di Giulia, che per me è come una sorella. Ma si tratta di un’altra questione. Loro sono state la mia vera famiglia, le uniche persone davvero care che mi siano rimaste dopo la morte dei miei due fratelli; o dovrei dire, piuttosto, dopo la loro uccisione.»
«Cosa vorresti insinuare? Credo che tu stia esagerando.»
«Non voglio insinuare nulla. Tuttavia, lo sai anche tu, sono in molti a pensare che i miei fratelli, gli eredi di Marco Antonio, prima o poi sarebbero diventati un simbolo per quanti sono rimasti fedeli a mio padre e un pericolo per qualcun altro…»
«Adesso basta!» tuonò Giuba, reagendo con uno scatto che sorprese Cleopatra. «Alessandro Helios e Tolomeo Filadelfo sono morti di morte naturale. Non c’è stato nessun complotto, nessun omicidio. Comunque» seguitò tornando subito calmo e rivolgendosi alla moglie con tono amorevole, «comprendo la tua sofferenza, che è anche la mia. Devi però accettare il fatto che, adesso, il nostro regno è parte di Roma; e lo siamo anche noi. Dici che mi nascondo dietro alle ragioni di Stato e all’ineluttabilità della storia. Non mi nascondo, semplicemente ne sono parte, come lo sei anche tu. So che comprendi perfettamente, anche se il tuo cuore resterà sempre ferito per ciò che hai sofferto. Viviamo un tempo in cui le cose stanno cambiando rapidamente. L’Egitto che fino a ieri apparteneva a tua madre è ora sotto il diretto controllo di Roma, e temo che verrà un tempo in cui lo sarà anche la Mauretania. Il destino ha voluto restituirci la dignità attraverso coloro che ce l’avevano tolta. E se il nostro destino ha un nome, quello è il nome di Ottaviano. Placa il tuo rancore, metti da parte l’orgoglio e torna a essere colei che ho sposato, la donna nobile e saggia che conosco. La donna che amo.»
«Se chiudi gli occhi» gli chiese lei a bassa voce, facendosi triste «riesci a ricordare il viso di tua madre?»
Giuba si sentì scosso da quella domanda che lo aveva colpito come un dardo nel profondo dell’animo. Ebbe un’esitazione.
«Ne ho solo un ricordo vago, sfuggente» rispose infine.
«È comprensibile, eri troppo piccolo quando ti strapparono da lei» lo rassicurò Cleopatra, accorgendosi dell’amarezza che trapelava dalle sue parole.
«Sì, hai ragione» ammise Giuba quasi volesse giustificarsi.
«Questa è la differenza, capisci? Io ho conosciuto mia madre per dieci anni. Se chiudo gli occhi posso ancora sentire il calore del ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. REX IUBA
  4. PROLOGO
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. 27
  32. 28
  33. 29
  34. 30
  35. 31
  36. 32
  37. 33
  38. 34
  39. 35
  40. 36
  41. 37
  42. 38
  43. 39
  44. 40
  45. 41
  46. 42
  47. EPILOGO
  48. ISOLA DI GRAN CANARIA, LUGLIO 2008
  49. NOTA DELL’AUTORE
  50. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  51. GLOSSARIO
  52. RINGRAZIAMENTI
  53. Copyright