In qualsiasi gruppo di umani adulti, solo uno su dieci, o pressappoco, è mancino. È un dato valido, a quanto ne sappiamo, per tutte le razze e tutte le civiltà in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi momento storico. A giudicare dagli attrezzi che hanno lasciato dietro di sé, già gli uomini dell’età della pietra preferivano usare la mano destra. Ma che dire dei bambini? A che età compare la predisposizione a usare la destra?
Secondo uno studio recente, pubblicato dalla British Health Education Authority, «quasi tutti i bambini usano indifferentemente la destra o la sinistra fino ai tre anni circa» e ciò che vediamo comunemente sembra confermarlo. Un giorno il bambino tende la mano sinistra per prendere il giocattolo che gli viene offerto e qualche settimana dopo ripete lo stesso gesto con la destra. La conclusione più ovvia è che non ha ancora stabilito ciò che preferirà da adulto ed è, nella sostanza, ambidestro. Ma questa è solo una mezza verità. La verità intera è più complicata e molto più interessante.
Secondo uno studio più approfondito, il piccolo dell’uomo attraversa, durante la crescita, tutta una serie di passaggi dall’uso della sinistra all’uso della destra, in questa successione:
1. A dodici settimane il bambino risponde all’offerta di un oggetto tendendo tutt’e due le mani. I movimenti di solito sono alternati, prima è più attiva una mano, poi l’altra. La predisposizione a usare l’una o l’altra mano è scarsa o inesistente a questa età e i movimenti delle braccia non portano al contatto diretto. Non è ancora venuto il momento in cui il bambino si protende verso un oggetto e lo prende.
2. A sedici settimane i bambini, tendendo una mano, arrivano al contatto con l’oggetto offerto. In questa fase preferiscono, quasi tutti, usare la sinistra, ma non significa che da grandi saranno mancini. È curioso osservare che qualche volta, quando sono a metà di un test, passano con uno scatto improvviso da una mano all’altra e poi rimangono fedeli a quest’ultima scelta come se avessero preso in esame entrambe le possibilità e si fossero fissati su quella che ritenevano migliore.
3. A venti settimane i bambini non presentano più questi bruschi passaggi da una mano all’altra durante i test, ma continuano a mostrare una preferenza per la mano sinistra.
4. A ventiquattro settimane tutte e due le mani si tendono contemporaneamente verso l’oggetto offerto dall’adulto.
5. A ventotto settimane i bambini tornano a tendere una mano sola ma, questa volta, la preferita è la destra. Non sempre, però; può capitare infatti che, di nuovo, durante un test, entri in gioco la sinistra, a sostituire bruscamente la destra o per unirsi a lei. È evidente che i bambini stanno ancora studiando le proprie possibilità, anche se si servono soprattutto della mano destra.
6. A trentadue settimane i bambini tendono di nuovo tutte e due le mani contemporaneamente.
7. A trentasei settimane ricompare una preferenza, ancora una volta, a favore della sinistra, con minori possibilità di cambiamenti bruschi durante i test.
8. A quaranta settimane i bambini usano di preferenza una mano sola che, fino almeno alla quarantaquattresima settimana, è quasi sempre la destra.
9. A quarantotto settimane si verifica, in alcuni bambini, un temporaneo ritorno alla sinistra, ma la destra predomina ancora.
10. A cinquantadue settimane quasi tutti i bambini usano, di preferenza, la destra.
Nonostante sia arrivato così al termine della prima infanzia, il bambino cambierà ancora la sua scelta nell’uso delle mani. A ottanta settimane c’è un momento di confusione e ricompare l’abitudine a usare indifferentemente tutte e due le mani. A due anni la destra prevale ancora, ma tra i due anni e mezzo e i tre e mezzo i bambini attraversano un altro periodo di un uso indifferenziato di tutte e due le mani; infine, a quattro anni, stabiliscono quale mano avrà la funzione dominante. Questa scelta si andrà facendo sempre più definitiva fino agli otto anni, poi non cambierà più per tutta la vita.
Queste osservazioni rivelano, una volta di più, l’affascinante complessità del piccolo dell’uomo. Lungi dall’essere «senza scelta», come la Health Education Authority vorrebbe farci credere, l’uso di una mano piuttosto che dell’altra passa attraverso una serie di oscillazioni che si potrebbero paragonare a quelle di un pendolo, da sinistra a destra, poi di nuovo a sinistra, mentre il bambino vive la prima infanzia. È come se provasse prima una mano poi l’altra per stabilire, in un periodo che dura mesi, quale gli serve meglio mentre esamina gli oggetti che gli vengono proposti da un adulto. Ma perché le sue preferenze vanno prima alla mano sinistra, mentre la scelta definitiva cade sulla destra? Per capirlo dobbiamo dare uno sguardo al comportamento degli altri primati.
Tutte le scimmie preferiscono leggermente, ma in modo evidente, usare la mano sinistra. Tra i macachi giapponesi in libertà il quaranta per cento non mostra preferenze per una mano o l’altra, ma nel restante sessanta per cento due su tre scelgono la sinistra. Dunque, quando il piccolo dell’uomo, a sedici settimane, comincia a mostrare un’inclinazione a usare la mano sinistra, forse si comporta come il primate di un tempo. Poi ha inizio il sopravvento della mano destra che, alla ventottesima settimana, guadagna il primo posto. La competizione tra la sinistra dell’antico primate e la destra dell’uomo moderno continua a spingere in qua e in là il bambino che, dopo qualche anno, decide, nella maggioranza dei casi, di usare di preferenza la mano destra.
Nell’ambito dell’evoluzione, questa scelta della mano destra è relativamente recente e non ha ancora raggiunto il livello del cento per cento che è lecito aspettarsi in futuro. Sappiamo dagli studi condotti sulle asce dell’età della pietra, il cui taglio era disposto ad angolo retto col manico, che duecento milioni di anni fa l’uso della mano destra tra gli uomini non era diffuso come oggi. Solo per il sessantacinque per cento queste asce sembrano fatte in modo da essere usate con la destra. Gli studi più approfonditi sull’uso delle mani nell’età moderna sono stati fatti negli Stati Uniti nel 1953 ed è risultato che su 12 159 reclute il 91,4 per cento usava di preferenza la mano destra. Dunque, a partire dall’età della pietra la tendenza a servirsi della mano destra è diventata sempre più diffusa e non c’è ragione di aspettarsi che cambi. Nei nostri bambini, quando oscillano come un pendolo dalla mano sinistra alla destra, si riflette la lotta avvenuta in passato per convertire l’antica abitudine nella nuova e contrapposta scelta umana e noi vediamo, nel loro graduale progredire, l’affermarsi della superiorità della mano destra sull’antica abitudine a usare la sinistra.
Tutto questo può descrivere quello che è successo ma non basta a spiegarcene il perché. La maggior parte degli studiosi ha accantonato la questione senza nemmeno tentare una risposta. Molto tempo fa, Thomas Carlyle ha eluso la domanda dicendo che non valeva la pena di porsela se non «come un indovinello». In realtà una risposta varrebbe la pena di darla, perché questa preferenza è molto strana. Come mai non usiamo al cinquanta per cento la destra o la sinistra? Per la nostra evoluzione come creatori e utenti di attrezzi meccanici siano stati costretti a lasciare che in ciascuno di noi una mano prevalesse sull’altra, ma perché nove persone su dieci hanno scelto la destra? E se è così, perché solo nove su dieci e non tutti?
L’anatomia del bambino ci dà qualche suggerimento. Anche prima della nascita, il lato destro del corpo è leggermente favorito dal sistema nervoso. Ci sono più nervi che portano dal cervello al lato destro del corpo piuttosto che al sinistro. Inoltre, a poche ore dalla nascita, i bambini mostrano un’attività elettrica cerebrale superiore dalla parte del cervello che controlla il lato destro del corpo. È stato anche scoperto che il sessanta per cento dei bambini, durante la gestazione, sta col lato destro più vicino alla superficie del corpo della madre. Questo potrebbe significare che il lato destro del corpo del bambino riceve maggiori stimoli prima della nascita e così diventa un po’ più «progredito». Si è anche detto che fin dalla ventinovesima settimana di gestazione i due emisferi del cervello sono già sviluppati a un grado di asimmetria che favorisce l’emisfero sinistro, quello che controlla la parte destra del corpo. Questo emisfero ha uno sviluppo maggiore in una porzione del lobo temporale sinistro e anche questo potrebbe, più tardi, favorire la mano destra.
Sono tutte indicazioni che tendono a dimostrare che il lato destro avrà possibilità leggermente più elevate di dominare sul sinistro, ma non rispondono alla domanda: perché la destra e non la sinistra? Un guerriero mancino può tirare una lancia e colpire il bersaglio con la stessa precisione di un altro che l’avesse tirata con la destra, ma allora perché solo un guerriero su dieci è mancino?
Per rispondere dobbiamo cercare qualche altra asimmetria nel comportamento umano che potrebbe influenzare questa predisposizione a usare la mano destra. Come diremo più avanti, la maggioranza delle donne, mancine o no, culla il bambino tenendolo appoggiato al braccio sinistro, portando inconsapevolmente il suo piccolo orecchio vicino al proprio cuore, il cui battito ha un sicuro potere calmante. La maggioranza dei bambini, quindi, voltando la testa a destra, otterrà un compenso da parte della madre, latte, calore, consolazione, contatto e protezione. Voltare la testa a destra è, per molti bambini, più piacevole che voltarla a sinistra e pare che ne sia derivato un movimento abituale del collo che si chiama «riflesso tonico del collo». Questo riflesso compare ogni volta che il neonato viene disteso a faccia in giù. Stando prono, la posizione della testa che dovrebbe adottare per non soffocare sarebbe quella simmetrica alla posizione prona, ma non ne è capace, quindi deve voltare la testa da una parte o dall’altra. La sua tendenza a voltarla a destra, già presente alla nascita, significa che è più facile per lui ruotare il collo verso destra che verso sinistra. La rotazione del collo verso destra è sempre accompagnata da una asimmetria degli arti quando il bambino è disteso a faccia in giù. Questa asimmetria può contribuire alla futura scelta della mano destinata a diventare la più importante. Allo stesso modo quel movimento infantile del collo potrebbe essere collegato al gesto con il quale la madre culla il neonato e infine alla preferenza che mostrano gli uomini a usare la mano destra.
Perché allora ci sono ancora tanti mancini? Si dovrebbe pensare che i mancini stanno tornando alla primitiva condizione di primati e, per qualche ragione, non ricevono le «nuove» influenze umane ancora in fase di sviluppo. In altre parole, non godono nella stessa misura dell’essere cullati. Si possono trovare delle cause: un parto difficile che alteri la salute della madre; un periodo di disagio sociale provocato da una guerra, da una depressione economica o da una rivoluzione che tolgano tranquillità alla madre; un fratello gemello che renda difficile o impossibile alla madre cullare col braccio sinistro tutti e due. Se l’incidenza di mancini aumenta in questi casi, si conferma la spiegazione del cullare col braccio sinistro. Il numero dei mancini, infatti, sale dove ci sono stati parti difficili, gravi disordini a livello nazionale, nascite di gemelli.
La spiegazione sembra più sensata di quella che descrive i mancini come ribelli alle leggi della vita sociale che si rifiutano di seguire la strada della maggioranza e persistono nel voler essere diversi. Sono argomenti comuni ma, osservando un bambino molto piccolo, appare chiaro che la tendenza a usare una mano piuttosto che un’altra si stabilizza molto prima che ce ne rendiamo conto. Nelle società autoritarie, dove per ragioni di religione o di superstizione i mancini vengono repressi severamente nelle scuole, solo i veri ribelli saranno disposti a lottare contro la tirannia di tutti quelli che usano la destra, ma in altre società, dove questo tipo di repressione non esiste e ai bambini è permesso usare la mano che preferiscono, i mancini costituiscono una minoranza non di ribelli ma di persone vagamente stupite che il loro corpo gli imponga una preferenza per la sua parte sinistra. La definizione di «ribelli» in questo caso è veramente inadeguata.
La domanda può apparire assurda, ma negli ultimi anni si sono levate varie voci in contrasto con il concetto che l’istinto materno sia insito nella natura della donna. Certe femministe, che difendono i loro ideali ignorando con testardaggine l’evidenza antropologica, hanno avanzato l’ipotesi che l’«unità familiare» non sia altro che un ingegnoso espediente inventato dagli uomini ai danni delle donne. Sostengono che si tratti di un’invenzione recente, vecchia non più di diecimila anni, frutto della rivoluzione agricola, una rivoluzione che avrebbe visto i maschi guardare alle femmine adulte, appartenenti o no alla specie umana, come a utili strumenti per la riproduzione.
Secondo questo principio della non-maternità, le donne non sono portate ad amare i propri figli da un istinto naturale, non è la natura che le ha rese materne, ma il condizionamento di una società dominata dagli uomini. Questa teoria favorisce il principio secondo il quale sarebbe molto più naturale per la nostra specie che il compito di allevare i bambini fosse diviso tra gruppi di adulti. I bambini dovrebbero crescere in comunità, affidati a specialisti, e le madri dovrebbero essere libere di percorrere le strade del potere.
È comprensibile che per alcune donne questi princìpi abbiano un’attrattiva, ma possiamo dire che sia fondata su una realtà biologica? I bambini hanno bisogno della propria madre, come molti tradizionalisti sostengono, o sarebbe sufficiente che qualsiasi altro adulto si occupasse di loro? Ci sono due sistemi per scoprirlo. L’osservazione diretta del comportamento delle madri con i loro bambini e l’analisi del destino che hanno avuto i bambini allevati in comunità, con il metodo della non-famiglia.
L’osservazione diretta prova che, in realtà, la madre e il bambino lavorano entrambi strenuamente per rafforzare il legame che cresce, secondo natura, tra di loro. Per i primi tre mesi, in media, i bambini non si curano in modo particolare di chi si occupa di loro, nonostante abbiano già cominciato a distinguerne l’odore, l’aspetto e la voce. Quando arrivano a quattro mesi diventano improvvisamente selettivi, piangono quando vedono un estraneo e cercano solo la compagnia della madre (o di chiunque abbia accettato la parte sostanziale della responsabilità di allevarli). Contemporaneamente le madri «rispondono» sempre più intensamente al richiamo del proprio bambino, distinto dagli altri. Il legame si stringe fino all’angoscia sofferta da entrambi di fronte a una separazione forzata. I sentimenti fortissimi che si sviluppano in questo processo affettivo sono spesso irrazionali nella loro intensità e a un biologo appaiono esattamente uguali a quelli osservati in «unità familiari» di altre specie. L’ipotesi che il bambino sia spinto a desiderare una figura materna o che la madre sia indotta a occuparsi del bambino da un senso di colpa e di responsabilità sociale appare ridicola a chiunque sia stato testimone della profondità di quelle emozioni.
Coloro che contrastano questo giudizio non mancano di segnalare l’alta incidenza di bambini maltrattati, abbandonati e altri esempi di madri non-materne. Riportano nelle loro argomentazioni i numerosi casi di divorzi e infedeltà e insistono nell’affermare che l’unità familiare è retta, e debolmente, dall’esterno e non da forti legami interni di attrazione che potrebbero rientrare nel nostro antico programma genetico. Queste osservazioni prescindono da una realtà evidente, e cioè l’aumento indiscriminato della popolazione umana, e dal fatto che quando le altre specie sono soggette a tali fenomeni di sovrappopolazione si verifica anche presso di loro un cedimento nell’unità familiare come sistema per allevare la prole. Creando un sovraffollamento anche tra le specie maggiormente legate da vincoli naturali, si assisterà inevitabilmente al crollo dell’unità familiare. I bambini verranno uccisi, mangiati, stuprati, abbandonati e lasciati morire di fame là dove una volta venivano nutriti, lavati, riscaldati e protetti. I legami della coppia si spezzeranno dove una volta c’erano fedeltà e assistenza reciproca. Non dobbiamo, quindi, aspettarci miracoli dall’unità familiare umana solo perché è un aspetto biologicamente programmato dal nostro comportamento.
Il confronto determinante tra queste teorie opposte si ha, naturalmente, osservando il comportamento dei bambini quando diventano adulti. Ha risultati migliori nella vita adulta chi aveva avuto da bambino una educazione familiare o una educazione di gruppo? Se nella vita di un bambino una figura materna (una «figura di riferimento») ha avuto un ruolo dominante, quel bambino avrà da adulto una vita sociale soddisfacente o farà parte di una minoranza anti-sociale? Il luogo più adatto a svolgere questo tipo di indagine è il carcere, dove è innegabile che si trovi un campione di umanità con una forte tendenza verso una condotta antisociale e destinata alla sconfitta. Qual è stata l’infanzia di chi oggi è in carcere?
Da uno studio condotto in alcune regioni d’Europa è risultato che una percentuale della popolazione carceraria più alta del previsto aveva sperimentato nell’infanzia privazioni o abusi. Nel 1977, per esempio, la cifra era salita, in un carcere, al trentaquattro per cento. Quando si è chiesto ai carcerati se avevano avuto, nell’...