
eBook - ePub
Fotografia creativa
Corso con esercizi per svegliare l'artista che dorme dentro di te
- 176 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Informazioni su questo libro
«I fotografi creativi riflettono se stessi nel mondo, e del mondo sifanno specchio: così, riescono a rendere visibile l'invisibile e alasciare indelebile traccia del loro sguardo. Anche tu, con questo corso, puoi diventare un fotografo creativo. Tiindurrò a correre rischi e a fare a pezzi le regole.»
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Informazioni
Print ISBN
9788804660132eBook ISBN
9788852071775Lo zen e la fotografia
Quello che ho imparato sull’arte, la creatività e le immagini
La mia forma preferita è il cerchio: contiene tutto eppure è vuoto.
Filosoficamente parlando, ha una caratteristica rara: come ogni cosa ha un inizio e una fine, solo che nessuno li troverà mai. Eraclito, che non giocava in una squadra di calcio, nel suo trattato Sulla natura ha scritto che coincidono. Affascinante, vero? Anche per questo il cerchio è la forma perfetta. La filosofia zen – che di perfezione se ne intende – vi identifica la condizione originaria, quando lo spirito è presente dappertutto, senza bisogno di sostegno. In Lo zen e il tiro con l’arco, si dice: «Simile all’acqua che riempie uno stagno ma è sempre pronta a defluirne, lo spirito può ogni volta agire con la sua inesauribile forza, perché è libero, e aprirsi a tutto perché è vuoto».
«Vuoto»: a noi occidentali fa paura anche solo la parola; figuriamoci il concetto. È sbagliato. Il vuoto non è la camera del diavolo: è lo spazio della crescita. Solo facendo il vuoto dentro di voi potrete conquistare libertà a sufficienza per imboccare una strada davvero vostra, senza fardelli né pesi morti. La mente libera contiene tutto, come il cerchio. Dovete fare in modo che contenga anche la macchina fotografica: la macchina non deve essere nelle vostre mani, ma nel vostro pensiero e nel vostro cuore. Deve essere parte di voi, costituire con voi un’unità inscindibile, perché solo quando la macchina fotografica sarà nel fotografo e il fotografo nella macchina fotografica potranno fluire creatività e indipendenza.
Io faccio così quando fotografo. A volte mi succede di trovare un paesaggio così irresistibile che dimentico tutto il resto. Lascio andare desideri, rancori, aspettative, la fretta. Lascio andare l’idea del passato e quella del futuro e rimango solo io, con la mia macchina e il paesaggio. Me ne lascio permeare: io divento il paesaggio e il paesaggio diventa me. Lo vivo. Permetto al paesaggio di riempire il mio vuoto, ne gioisco, e solo allora scatto. Mi piace dire che il paesaggio attraverso di me si fa l’autoritratto.
Questo libro raccoglie le riflessioni nate in più di trent’anni di corsi di fotografia. Ho scelto di cominciarlo parlando proprio del cerchio perché la sua forma disegna un percorso simile a quello che vi suggerirò di compiere: partire per poi ritornare a voi stessi, accettando di fare il vuoto dentro di voi, per accogliere una verità che vi assomiglia più di una cartolina e imparare a significarla al meglio.
Fotografare è un atto di conoscenza
Quando qualcuno mi chiede che macchina fotografica uso, mi picchietto la testa con un dito, sorrido e rispondo: «Questa».
La macchina da sola non fa niente. Nessuna attrezzatura costosa e nessuna tecnologia, per quanto avanzatissima, avranno mai il potere che ha lo sguardo, inteso come frutto del pensiero e del cuore. Lo sguardo ridisegna la realtà; la macchina fa soltanto clic, tanto quanto la penna, da sola, disegna semplicemente un tratto. La mia la uso come un arco: punto, inquadro e colpisco; ma sono io a decidere dove puntare, a scegliere cosa inquadrare, come e, soprattutto, perché.
C’è poco da fare: scattare è una questione di pensiero. Bisogna fotografare quello che si pensa, non quello che si vede. Si scatta con la mente, non con le dita. Le immagini sono un’emanazione del fotografo, traducono in un linguaggio universalmente comprensibile la sua interpretazione del mondo.
Con «immagini» non intendo le illustrazioni. Per quanto l’ennesima veduta di Venezia possa essere perfetta (con la luce giusta, il contrasto giusto, i colori giusti), rimarrà sterile e muta se il suo autore non è stato prima disposto a scendere nelle proprie viscere e a scoprire cosa, di sé, intende comunicare.
Bando alle cartoline, sto parlando di fotografie, una forma d’arte. L’artista non ritrae la realtà: la possiede, la «violenta» per piegarla al suo pensiero. Interpretandola, crea un mondo.
Voglio proporvi un esempio. Anni fa, alcuni amici sono andati in vacanza in Provenza. Al ritorno, mi hanno detto: «Franco, ci dovevi essere, abbiamo visto i tuoi paesaggi!». I miei paesaggi? I paesaggi della Provenza c’erano ben prima di me e ci saranno dopo: perché li attribuivano proprio a me? Perché prima delle mie fotografie, evidentemente, nessuno li aveva mai interpretati in quel modo, nessuno aveva conferito loro quella specifica identità, e i miei amici non li avevano mai visti così.
Questo significa che il paesaggio da solo «non esiste». Il paesaggio non sa di esserci: è l’artista a testimoniarlo.
Quando affermo che la fotografia è un atto di conoscenza, intendo proprio questo: l’artista, fotografando, inventa soggettivamente la sua realtà. Vladimir Majakovskij diceva: «L’arte non è lo specchio in cui riflettere il mondo, ma un martello per forgiarlo». Se questo non accade, se nessuno impugna quel martello e forgia la realtà, la realtà non esiste.
Come si verifica invece l’altro processo? Come, cioè, l’artista arriva a significare se stesso? Grazie a una particolare sinergia: solo annullandosi davanti al suo soggetto, dissolvendosi nella simbiosi con esso, il fotografo crea un’immagine significante, una foto di pensiero.
Parlo di «foto di pensiero» con cognizione di causa, perché quello che finisce impresso nell’immagine non è un semplice ritratto bidimensionale di ciò che l’artista aveva davanti, ma una rappresentazione dell’artista stesso.
Prendiamo una delle mie fotografie, quella scattata a Baia delle Zagare.

Baia delle Zagare, 1970.
La luce era splendida e la foto è venuta tecnicamente bene subito. Per dare rilievo ai contrasti, ho puntato sulla parte più luminosa e chiara dell’immagine, le altre si sono saturate e così sono riuscito a valorizzare al massimo i colori. Ricordo di aver usato una Kodacrom 25 ASA, la migliore pellicola mai inventata, ancora perfetta dopo più di quarant’anni.
È del 1970, avevo ancora qualche capello nero. In quel periodo andavo a caccia di foto con alcuni cari amici che purtroppo non ci sono più. Partivamo per un weekend, ci alzavamo all’alba e andavamo in giro fino al tramonto. A farci da guida in Puglia era Renzo Cambi, un modenese che abitava a Foggia da prima della guerra. Ciascuno ha poi visto le cose a suo modo, ma a condurci sui «luoghi del delitto» è stato lui.
Secondo il «New York Times», Baia delle Zagare è una delle coste più belle del mondo. È proprietà di un privato che negli anni Settanta, al tempo di questa fotografia, aveva appena aperto un albergo. Prima di scendere in spiaggia, ci siamo fermati su un balconcino. Eravamo in quattro ma, di fronte alla medesima materia prima, ciascuno di noi ha scattato in modo diverso. Cambi fece un paesaggio in bianco e nero. Era un fotoamatore pluridecorato: con i suoi paesaggi, tutti diversi dai miei, aveva vinto un sacco di premi. Gli altri hanno ripreso chi la donna in bikini sdraiata al sole, chi il faraglione davanti alla costa.
Io ho scattato così. Ho trovato ciò che avevo dentro, togliendo il superfluo per eleggere il necessario. Non ho fatto tante fotografie: solo una, e quell’una potevo farla solo io, perché mi apparteneva.
Questa immagine è una delle icone del mio lavoro. Finì in un volume che riuniva i miei paesaggi, Skyline, uscito nel 1978 sia in Italia per Punto e Virgola, fondata da Luigi Ghirri, sia in Francia per Contrejour, guidata da Claude Nori. In Francia Skyline ebbe un notevole successo, tanto che venne ristampato a una sola settimana dall’uscita. Una funzionaria del ministero della Cultura francese vide la foto, mi chiamò per dirmi che, secondo lei, esprimeva perfettamente lo spirito del loro Paese, e mi chiese il permesso di utilizzarla su un manifesto per la diffusione del «pensiero francese». Quel manifesto (insieme ad annessi e connessi, ricordo con sicurezza un catalogo) è stato distribuito in tutte le ambasciate e i consolati di Francia.

Più avanti, la stessa foto è stata utilizzata anche sulla copertina di un libro di filosofia, A Companion to Environmental Philosophy di Dale Jamieson.
Non è un caso che questo destino sia toccato proprio a quella foto. È stata scattata sul Gargano, ma non ritrae le coste pugliesi. È un archetipo, un paesaggio assoluto, slegato dalla verità geografica. A fare la differenza è il pensiero sotteso all’immagine: i francesi l’hanno capito e l’hanno scelta per rappresentare, guarda caso, proprio il loro «pensiero».
La scimmia e la macchina fotografica
Quando è in grado di conferire identità alle cose – come abbiamo fatto io con i miei paesaggi, Luigi Ghirri con le sue atmosfere, Henri Cartier-Bresson con l’attimo che fugge – la fotografia è cultura, tanto quanto la pittura, la letteratura e tutte le arti tradizionalmente intese. Solo, è più democratica.
Nessuno pensa che Picasso abbia dipinto Guernica grazie a un colpo di fortuna, né si sognerebbe di chiedergli: «Scusi, come ha fatto questo quadro?», quasi fosse sufficiente scoprire un qualche «segreto tecnico» per riuscire a realizzare un dipinto dello stesso livello. Chi crede di poter dipingere come Picasso, scrivere come Shakespeare o comporre come Bach? Nessuno, è chiaro.
Invece, con la fotografia succede esattamente questo. Si tende a pensare che basti conoscere il tempo di esposizione di Mario Giacomelli per scattare come lui, o la complementarietà dei colori per esporre al posto di Ernst Haas. Non è così. Con le impostazioni giuste, anche una scimmia può fare un ritratto: le metto in mano una macchina, le insegno a fare clic e voilà, ecco decine di ritratti. Magari, qualcuno verrà anche discretamente e tutti si affretteranno a commentare: «Però... Capito la scimmia?». Ma chi avrà davvero fatto quella foto? La scimmia o la macchina fotografica? La macchina, evidentemente!
La democr...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Fotografia creativa
- Lo zen e la fotografia
- Tornare principianti
- La luna nel pozzo
- Biografia
- I suoi allievi dicono di lui
- Copyright