C’è un uomo di 50 anni che considero con sufficienza. È in buona forma fisica. Ha sopportato eventi avversi e drammatici e ha reagito bene. Le sue ore sono più corte delle mie: quindi mi fa un po’ pena. È colto, lavora sodo, ma è antiquato. Non se ne vanta e non si gloria di usare ancora una penna stilografica con il pennino d’oro, ma non ha nemmeno un personal computer. Scrive libri discreti. Li ho letti tutti e talora li rileggo e li trovo inaspettatamente interessanti. Usa una macchina da scrivere anche per i suoi articoli, i suoi progetti e le sue relazioni. Non conosce Internet. Ha lavorato con computer grossi e sa di informatica (l’ha anche insegnata), ma non sa che cosa siano Google, Windows, né Word, né i fogli elettronici Excel.
Per controllare i movimenti del suo conto corrente, va in banca e, magari, fa la fila. Batte a macchina le sue lettere, le imbusta, le affranca e le spedisce. Ne conserva copie carbone. Ha una buona biblioteca ed è bene informato, ma gli sfuggono le notizie più recenti. Oltre ai libri, ha raccolto enciclopedie, annuari, manuali, annate di riviste scientifiche alle quali è abbonato. Si tiene al corrente, ma così lentamente che fa cadere le braccia. Quando trova interessante la recensione di un libro appena uscito, lo ordina al libraio per telefono o manda un assegno all’editore. Poi aspetta giorni o settimane per riceverlo. Non ha vita facile, ma non è colpa sua.
Quell’uomo sono io 38 anni fa. Mi rendo conto di come lavoravo allora quando riordino i miei libri (annotati in margine e sui fogli di guardia), quando mi addentro nelle mie raccolte di opuscoli (non schedati), quando estraggo informazioni dalle mie vecchie agende. Il mio io cinquantenne mi sembra un mio antenato, forse deceduto.
Ogni tanto ritrovo miei antichi dattiloscritti sbiaditi. Non sono male. Un mio lavoro del 1976 sul terrorismo e uno del 1984 sul disarmo nucleare sono ancora attuali. Me ne hanno chiesto copia alcuni studiosi che li hanno trovati citati da altri. Non ne ho fatto fotocopie: li ho passati sul mio scanner che fa anche il riconoscimento ottico dei caratteri e li ho codificati in Word. Ora li distribuisco agli interessati.
Le ricerche di dati e documenti, che mi prendevano giornate intere e visite a biblioteche, ora le completo in poche decine di minuti utilizzando i motori di ricerca. Non metto più piede in biblioteca, tranne in casi eccezionali.
Uso poco i quotidiani on line: troppo dispersivi (specie quelli italiani). Però sono abbonato (gratis) ai notiziari giornalieri della Technology Review del MIT (Massachusetts Institute of Technology), che fornisce brevi notizie e link su innovazioni tecnologiche, scientifiche e informatiche.
In ogni giornata lavoro e imparo molto di più di quel che riuscivo a fare 38 anni fa. Se il mio orologio scandisse i contenuti e non solo le durate brute delle ore che passano, prendendo le ore del 1977 come unità di misura, dovrebbe contarne quaranta al giorno e non ventiquattro sole. Posso dedicare parecchie delle mie quaranta ore equivalenti a riposarmi. Pare che una dormitina pomeridiana faccia bene.
Così a 89 anni vivo in un mondo più amichevole, efficiente, scattante, vivo e variopinto. Mi aiuta a lavorare e mi permette (senza dispendio di soldi, né di tempo) di fare arrivare le mie idee, proposte, progetti a migliaia di corrispondenti. Sono venuto a sapere dell’esistenza di persone interessanti. Siamo entrati in corrispondenza e ho amici e amiche nuove. Coltivare queste affinità elettive è un aiuto valido all’igiene mentale dell’anziano.
Queste risorse moderne potrebbero essere usate da tutti, ma la maggioranza degli anziani (senior citizens, in inglese) se ne giova poco. Non molti di loro hanno abbracciato la moda digitale, che ha pervaso giovani e giovanissimi in modo casuale e disordinato dando anche a loro vantaggi ineguali e inadeguati. Così la semplice esistenza degli anziani – in proporzione crescente nella popolazione – secondo alcuni costituisce un problema serio.
Nel 2035 gli over 65 in Italia saranno 17 milioni: in Cina sono già 131 milioni. La popolazione invecchia di più nei paesi più avanzati. La disoccupazione è molto alta tra i giovanissimi (in Europa meridionale raggiunge il 40-50 per cento). I guadagni dei giovani contribuiscono poco a produrre fondi da cui trarre pensioni. Quando i giovani di oggi raggiungeranno l’età della pensione, si teme che i fondi accumulati dallo Stato o da enti privati saranno inadeguati.
Non è solo questione di alzare l’età della pensione e di dedicare più tempo ad attività produttive, ma di innalzare la cultura media del paese. C’è bisogno urgente di iniziative che integrino le esperienze passate con le innovazioni e gli strumenti più recenti, perché il circolo vizioso dell’ignoranza è più minaccioso in Italia che altrove. La bassa qualità media dell’insegnamento riduce i livelli di cultura. I decisori pubblici e, soprattutto, quelli privati sono male addestrati e sono incapaci di investire in ricerca e sviluppo. Non fondano, né sponsorizzano scuole eccellenti. Intanto i media, che veicolano contenuti volatili o vuoti, usano la tecnologia per scopi insulsi; cercano di convincere il pubblico che l’illusorio progresso tecnologico sia soddisfacente. La diffusione degli studi superiori nella popolazione e la percentuale della forza lavoro qualificata in scienza e tecnologia sono scarse. Gli italiani che hanno un diploma di scuola terziaria sono il 22,5 per cento. La media europea è 34 per cento, in Nord Europa 49 per cento. Negli Stati Uniti la media è 28 per cento, ma fra gli abitanti di origine asiatica raggiunge il 49 per cento: le tradizioni familiari di predilezione per cultura e apprendimento sono un fattore decisivo.
La Commissione Europea ha definito un insieme di parametri atti a misurare innovazione, sviluppo, livello culturale dei vari paesi. Fra questi indicatori: investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, numero di brevetti (europei, americani, validi in Europa, Giappone, Stati Uniti) per milione di abitanti, bilancia tecnologica dei pagamenti, venture capital, investimenti in informatica, numero e qualità delle scuole, lavori tecnico-scientifici pubblicati, numero di ricercatori ogni cento lavoratori, numero annuale di nuovi laureati in discipline tecnico-scientifiche, percentuale delle esportazioni di alta tecnologia sul totale. Sulla scala così costruita – detta “Eurobarometro” – l’Italia si piazza al quindicesimo posto fra i 27 paesi dell’Unione Europea. In Italia c’è una università ogni 700.000 abitanti. Negli Stati Uniti ce n’è una ogni 100.000 abitanti, in Inghilterra ogni 200.000, in Finlandia ogni 215.000, in Francia ogni 230.000.
Di queste situazioni negative non se ne stanno occupando gli adulti – e nemmeno i giovani, che si concentrano sui nuovi strumenti (efficientissimi, ma talora mirati a risolvere problemi irrilevanti oppure usati per giocare e per disseminare messaggi inessenziali, effimeri, inutili). Sarà bene allora che se ne occupino quelli che conservano parole e concetti antichi. Quando cercano di raccontarli, però, non vengono ascoltati o sono considerati noiosi. Così si dispiacciono, deperiscono, si staccano da tutto, si chiudono, non producono idee, né opere. Spesso cominciano a degradare appena vanno in pensione. Sentono la mancanza degli automatismi del lavoro e non se ne creano di nuovi. Potrebbero tornare a lavorare, ma incontrano difficoltà. In genere preferiscono occupazioni a tempo parziale, con orario flessibile; possibilmente senza uscire di casa. L’offerta è scarsa.
Un’opzione, attraente solo per i più facoltosi, è quella di lavorare gratis per organizzazioni non governative non profit. In vari paesi esistono fondazioni che aiutano i vecchi, usciti dal mercato del lavoro, nella ricerca di altre attività purché non remunerate. Temono che altrimenti potrebbero essere criticate perché tolgono occasioni di lavoro ai giovani. L’argomento non sembra valido: sarebbe opportuno lasciare che si manifestino gli effetti della legge della domanda e dell’offerta. Il valore delle prestazioni fornite va stimato in modo oggettivo a prescindere dall’età del lavoratore.
Naturalmente – attenti! – su Internet si trovano occasioni che, a prima vista, sembrano attraenti, ma che, ad esempio, impongono a chi cerca lavoro di pagare prima l’iscrizione a un corso di addestramento e che, in definitiva, si rivelano essere truffe. Altri siti suggeriscono tipi di lavoro adatti ai veterani. Qualche esempio:
- fiscalista – ma è rischioso, richiede competenza e aggiornamento continuo;
- consulente in project management – richiede notevole esperienza;
- croupier (!);
- sondaggista – facile, ma ci sono molti concorrenti;
- promotore di attività non profit;
- assistente sanitario per viaggi di altri anziani;
- istruttore per pensionati;
- Babbo Natale per feste e promozioni di fine anno;
- mediatore o giudice di pace – ci vogliono laurea in legge e abilitazione;
- dietologo – richiede competenze certificate.
Intanto le pensioni inadeguate e il desiderio di sfuggire alla noia spingono chi ha lasciato il lavoro a ricorrere a conoscenze e parentele per trovare di nuovo un impiego. In Europa, dal 2003 al 2013, il numero di lavoratori dai 55 ai 64 anni di età è cresciuto del 20 per cento. Anche fra gli over 65 la percentuale dei lavoratori è cresciuta.
L’incremento è più frequente nei paesi in cui l’economia sta andando meglio. Negli Stati Uniti, dal 1992 al 2012, il numero di lavoratori fra i 65 e i 74 anni è raddoppiato – da 3 a 6 milioni – e quello dei lavoratori over 75 è quadruplicato – da 0,5 a 2 milioni. In Inghilterra, negli ultimi anni il 30 per cento dei nuovi posti di lavoro è stato occupato da pensionati ultrasessantenni.
Trovare lavoro non è solo questione di buona volontà, anche se lo sostenevano e lo sostengono alcuni moralisti di destra poco informati. Si riteneva che i disoccupati fossero in gran parte fannulloni, magari corrotti da cattivi compagni. Una canzone dell’inizio del secolo scorso recitava:
In questo fango con te non ci rimango
Andrò come una volta in officina.
Non è attuale. Anche chi è stato operaio non trova offerte di lavoro da industrie manifatturiere, a meno che non abbia imparato a utilizzare sofisticate tecnologie moderne. Il numero dei posti di lavoro, poi, diminuisce di continuo man mano che progrediscono le tecniche di automazione.
A oggi, solo il 26,5 per cento dei lavoratori italiani è impiegato nell’industria; il 3,5 per cento lavora nell’agricoltura e il restante 70 per cento nei servizi. Oggi sono richiesti operatori nel terziario avanzato. L’impiegato modello deve sapere di informatica, elaborazione dati, grafica computerizzata.
A ogni età dovremmo, quindi, rifare da capo il percorso dei nostri studi e della nostra formazione professionale: diventare esperti nei campi più avanzati, quelli “di frontiera”. Sembra una missione impossibile, specialmente per gli anziani. Anche se hai già diplomi o lauree in discipline tecnico-scientifiche, dovresti lavorare per anni per aggiornarti e raggiungere un livello che ti permetta di progettare computer innovativi, grafeni, nanostrutture o automobili elettriche. Non hai abbastanza tempo.
Le industrie più avanzate e innovative non impiegano solo progettisti superesperti e scienziati. Hanno bisogno anche di collaboratori che eseguano compiti tradizionali di amministrazione, organizzazione, comunicazione interna ed esterna o che studino problemi tecnici o scientifici particolari che non siano di frontiera, ma che si siano rivelati essenziali in contesti nuovi. Gli anziani potranno utilizzare le cose che sanno fare e le energie di cui dispongono. Saranno messi insieme a giovani brillanti, ma non è necessario che provino a creare con loro start-up innovative atte a soddisfare una domanda ancora inespressa di nuove funzioni e servizi, sfruttando tecnologie nuove. Non basta ricorrere a nuovi strumenti di moda, come i “fotocopiatori” in 3D, o strutture come i social network. Il successo è più probabile se nuove tecnologie vengono applicate alla soluzione di problemi industriali o dei consumatori. Hanno spesso vita breve i gruppi di lavoro formati per creare start-up che cominciano a lavorare in un garage. Sono rari quelli che si sviluppano e diventano grosse aziende di successo, come Hewlett Packard o come la Apple di Steve Jobs.
I vecchi esperti in industria e marketing dovrebbero essere ingaggiati da grosse aziende che si rendano conto di quanto siano stati lenti e insoddisfacenti i loro progressi negli ultimi decenni. Le cause delle loro inadeguatezze sono gli investimenti esigui in ricerca e sviluppo e la scarsa abilità nel cercare, riconoscere e accaparrarsi i più brillanti giovani addestrati in tecnologie avanzate (informazione, comunicazione e nuovi materiali).
Chi usa i computer sa quanto siano insoddisfacenti certe nuove versioni di sistemi operativi e applicazioni. Anche alcuni prodotti e applicazioni che hanno avuto un successo notevole si stanno rivelando effimeri. Come ha detto Peter Thiel, cofondatore di PayPal, alludendo a Twitter: “Volevamo automobili che volano e ci hanno dato 140 caratteri”.
Il settore delle innovazioni in software è destinato a produrre ottimi successi. Questi potranno arridere a start-up che sfruttino breakthrough di alto valore prodotti da singoli scienziati. Non si incontrano ogni giorno dei Larry Page e dei Sergey Brin, i fondatori di Google, però vanno tenuti gli occhi aperti e vanno finanziati i giovani che mirano molto in alto: qualche volta riescono davvero a realizzare cose impossibili.
Il grande deposito di saggezza e conoscenze dei vecchi andrà utilizzato per provare a risolvere gravi problemi che – certo – loro stessi avrebbero dovuto risolvere tanti anni fa. Non lo hanno fatto: si diano da fare ora. Riflettano, però, se le missioni che si accingono ad affrontare siano possibili. Per deciderlo dovranno passare in rassegna tutte le loro esperienze – e non basterà ancora. Nei capitoli che seguono discuterò come si possano utilizzare tante risorse diverse. Alla fine sarà opportuno identificare quali grandi processi in corso, o imminenti, possano condizionare il nostro habitat e, quindi, ogni nostra forma di partecipazione. Per esempio, ci attendono nuove rivoluzioni scientifiche e industriali, o stiamo per raggiungere uno stato stabile?
Ne parlo nel Capitolo 20, “Crescita, innovazione, futuro”.