Nella vita dei genitori di oggi, molto più informati rispetto a quelli di un tempo su temi come l’alimentazione equilibrata da proporre ai figli, prima o poi arriva, fatidica, la domanda: «Perché tutto quello che mi piace non fa bene?». Per fortuna non è esattamente così.
NON È (SEMPRE) L’ALIMENTO IN SÉ A ESSERE «CATTIVO»,
MA LA QUALITÀ E LA QUANTITÀ CHE NE INGERIAMO.
SOPRATTUTTO CI DOBBIAMO DOMANDARE SE,
IN BASE ALL’ETÀ, AL PESO E AL NOSTRO STILE DI VITA, ABBIAMO DAVVERO BISOGNO
DI TUTTI I NUTRIENTI CHE CONTIENE.
Una delle prime questioni da affrontare è la facilità con cui oggi abbiamo accesso al cibo. Ecco perché tutti, sia da piccoli sia da grandi, tendiamo a comportamenti compulsivi: nel mondo occidentale non mangiamo perché abbiamo la pancia vuota. Molto più spesso, mangiamo in base allo stato d’animo, per allegria, noia, tristezza, abitudine. C’è poi anche una questione sociale: stare a tavola, specialmente per noi europei, rientra nelle esperienze fondamentali delle nostre relazioni interpersonali. La prova è che, come lamentano molte mamme allarmate, ci sono sempre più bambini che non mangiano. Ma la ragione è molto semplice: tendiamo a offrire loro troppo cibo (e con troppa facilità) rispetto alle reali necessità del loro organismo in crescita.
Ma arriviamo alla questione centrale di questo capitolo. Dopo gli errori circa la quantità e la frequenza con cui ci nutriamo, le nostre scelte (quindi cosa mangiamo) dipendono in buona parte dal gusto.
Vi siete mai chiesti perché ci sono bambini che adorano la frutta, mangiano volentieri quasi ogni tipo di verdura e prediligono i sapori semplici? Mentre altri vivrebbero solo di pasta, pane, biscotti, amano le salse e i condimenti saporiti e se vedono una foglia di insalata fanno i capricci? Dipende tutto dal gusto. Ecco perché il primo compito educativo dei neogenitori, specie (nei primi nove mesi) della mamma, riguarda proprio il gusto del loro bambino.
Come si possono condizionare le preferenze alimentari in un neonato? Si tratta di un lungo percorso, che ha inizio nell’utero, prosegue con il latte materno e si potenzia e modifica nel tempo grazie a un mix di fattori: innati, educativi e ambientali.
Oggi sono proprio questi ultimi a prevalere sugli altri due, complice la necessità dell’industria alimentare moderna di attrarre sempre nuovi consumatori. Attenzione: gli alimenti in commercio non sono da demonizzare. Ma, se vogliamo occuparci della salute nostra e dei nostri bambini, dobbiamo imparare a essere primi attori e non comparse della nostra vita quotidiana, scegliere con intelligenza, senza farci troppo condizionare dal marketing. Lo dobbiamo a noi stessi e, naturalmente, alle future generazioni.
Il neonato riconosce i sapori
Tra i nostri cinque sensi, il gusto è quello che, con l’olfatto, entra in gioco subito dopo la nascita, a partire dal «primo pasto» con il latte sia materno sia adattato.
Si tratta di un senso molto importante perché permette anche a un neonato, cioè a un individuo apparentemente inesperto, di rifiutare un sapore «cattivo» (ossia per il suo cervello velenoso, pericoloso) da uno «buono» e, quindi, sano. Per farlo, il gusto si fa aiutare da questi altri «cinque sensi»: amaro, dolce, acido, salato e umami. Ciascuno è come una piccola arma di sopravvivenza, che all’inizio della vita poco ha a che fare con i piaceri della buona tavola.
Individuare l’amaro, per esempio, in natura permette di riconoscere potenziali sostanze velenose; il «senso dell’acido», invece, ci tiene alla larga dagli alimenti avariati, mentre a quello del dolce va il merito di individuare al primo morso i cibi più energetici, quindi utili per muoversi, lavorare, essere attivi.1 Ci sono poi il gusto salato, che ci guida all’assunzione di sodio e di altre molecole preziose per il mantenimento del nostro equilibrio idrosalino, e il meno conosciuto umami. Si chiama così la facoltà di «riconoscere» il glutammato monosodico, un aminoacido particolarmente presente negli alimenti ricchi di proteine come carni e formaggi stagionati.2 E se vi sembra abbastanza, sappiate che è stato da poco scoperto una sorta di «sesto senso» del gusto: all’interno dei bottoni gustativi (si chiamano così i 9000 recettori che abbiamo sulla lingua e nella mucosa della faringe e dell’epiglottide) sono attivissimi anche dei «radar» capaci di percepire le molecole di grasso. Il vostro piccolo bambino, dunque, viene al mondo con questo complesso e raffinatissimo corredo di sensori. Ancora vergini, naturalmente. Ma, dalla prima poppata in poi, entreranno pienamente in funzione, creando la sua impronta mnemonica del gusto. Quella che condizionerà tutta la sua futura vita alimentare.
Oggi naturalmente il gusto ha in gran parte perso la sua originaria funzione evolutiva, legata alla sopravvivenza della specie in un ambiente ostile e sconosciuto. Ciononostante, o forse a maggior ragione, rimane uno dei più importanti fattori nel determinare il modo in cui selezioniamo il cibo. A questo si sovrappone un trend culturale che vede, negli ultimi anni, sempre più persone cucinare, seguire corsi da chef o cimentarsi nell’autoproduzione domestica di verdura e frutta, piuttosto che puntare nella spesa a «chilometro 0». E anche chi è sempre stato tiepido di fronte a questi argomenti, nel suo nuovo ruolo di genitore si trasforma: fin dal principio (come dimostrano alcune delle testimonianze raccolte in questo libro) fa molta più attenzione a quello che mette nel carrello della spesa.
I CIBI CHE CI PIACCIONO
Nel 2001 l’azienda alimentare McCormick, una società americana che produce spezie e additivi alimentari, commissionò una ricerca sul gusto degli americani. I risultati? In cima alle preferenze degli uomini c’erano carne e costine cotte sul barbecue, mentre le donne erano più attratte da cioccolatini e gelati. La ricerca confermò che la maggior parte delle persone è facilmente condizionabile dagli aromi artificiali in grado di rendere irresistibile qualunque prodotto. E che un ruolo fondamentale lo giocano il marketing (gli aggettivi usati per descrivere un alimento, per esempio: croccante, soffice, succulento, saporito e così via) e gli abbinamenti (gelato con succo di amarena e noccioline, patate al gusto di pancetta, rosmarino con crema di formaggio ecc.). A condizionare le nostre scelte, infine, sembra incredibile ma interviene anche il mouth behavior, cioè il comportamento della bocca.3 E voi che tipi siete? Più sgranocchiatori o più «amanti del soffice»?
Fin qui gli americani. Esistono però naturalmente anche ricerche di marketing circa i gusti di noi italiani. Una delle più recenti4 conferma come, in fatto di cibo, noi badiamo moltissimo, più della media europea, alla qualità e all’origine del prodotto. Una buona premessa per dei neogenitori! Ma torniamo al nostro neonato e alle sue prime esperienze alimentari. Non tutti sanno che queste, come altre, sono strettamente legate all’evoluzione della sua mente e dei suoi neuroni.
DOVE SONO I RECETTORI DEL SAPORE?
Il modo di percepire i diversi sapori è stato classificato all’inizio del secolo scorso secondo uno schema che tutti abbiamo studiato alle scuole elementari: la base della lingua percepisce l’amaro, la punta il dolce, i lati l’aspro e i sapori tra l’aspro e il dolce o tra l’aspro e il salato. Da allora nessuno ha pensato di modificarlo, finché l’industria alimentare non si è resa conto di come il gusto poteva influenzare i consumi. Si è scoperto così che tale schema non è del tutto attendibile: le papille gustative, infatti, non si trovano solo sulla lingua, ma in tutta la bocca, nell’esofago e perfino nello stomaco e nelle vie respiratorie. Perché anche il naso, naturalmente, ha un ruolo, come sperimentiamo quando ci capita di mangiare con il raffreddore e tutto ci sembra anonimo e poco invitante. Sono solo due esempi che ci aiutano a comprendere quale complessità di meccanismi entri in gioco tutte le volte che portiamo del cibo alla bocca. Non solo, si è da poco capito che tutti questi recettori sono collegati ai centri nervosi del piacere del nostro cervello.
Per capire meglio questo sistema citeremo i risultati dello studio svolto dal professor Rudolf Cardinal e dal suo gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge. Il team ha osservato che i topi con una lesione nell’area della porzione anteriore del cervello coinvolta nel piacere, che viene chiamata nucleus accumbens, diventano più impulsivi – cioè scelgono sempre la ricompensa piccola e immediata anziché quella più sostanziosa che, però, non possono avere subito. Cosa significa? Che a tavola comanda la mente.
Gusto e cervello da 0 a 2 anni
È dimostrato che le esperienze vissute nell’infanzia possono condizionare il resto dell’esistenza. La ragione è che, come vere e proprie impronte, le «prime volte» incidono e plasmano la formazione delle nostre sinapsi, i collegamenti tra neuroni,5 e, quindi, interferiscono con lo sviluppo del cervello, come si è visto grazie agli studi compiuti attraverso la Risonanza magnetica nucleare funzionale (RMF).
Al momento della nascita un bambino possiede la completa dotazione di neuroni che avrà anche da grande, ma nel corso dei 700 giorni successivi al parto nella sua mente si continueranno a formare moltissime sinapsi, molte più di quante ne avrà a 20 anni, all’interno di un processo di fioritura e potatura (chiamato Blooming and Pruning) continuo. Nel corso degli anni, poi, le sinapsi si ridurranno fino alla quantità effettivamente necessaria e utilizzata. Lo sviluppo e, in particolare, la distribuzione delle cellule neuronali sono controllati in parte da fattori genetici ma, soprattutto, dall’ambiente e dallo stile di vita. In pratica,
PIÙ TUO FIGLIO RICEVERÀ STIMOLI,
ANCHE RIGUARDO AL GUSTO,
PIÙ SINAPSI SI FORMERANNO NEL SUO CERVELLO.
E, ovviamente, più spesso riceverà informazioni e più le sinapsi diventeranno stabili. Altrimenti, prima o poi verranno «potate».
ULTIME NOVITÀ SUL CERVELLO
La nostra mente è divisa in aree cerebrali ben distinte: quella della vista, quella della parola scritta o parlata e così via. Però il cervello è anche un corpo unico e – di conseguenza – perfino le più semplici attività cerebrali finiscono sempre per coinvolgere molte aree contemporaneamente e farle «dialogare» tra di loro. Ma vediamo come procede il suo sviluppo.
Nei primi sei mesi di vita intrauterina, iniziano a formarsi il sistema nervoso centrale a partire dal tubo neurale (2 settimane dopo il concepimento) e le prime sinapsi tra i neuroni (7 settimane). Grazie a queste connessioni, il feto riesce già a compiere i primi movimenti, poi si costituisce la struttura vera e propria del cervello, che assume il tipico aspetto che conosciamo tutti, e si forma la corteccia cerebrale. Negli ultimi tre mesi prima della nascita, grazie alla maturaz...