Cime tempestose
eBook - ePub

Cime tempestose

Emily Brontë, Margherita Giacobino

  1. 488 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Cime tempestose

Emily Brontë, Margherita Giacobino

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Non ho un'idea precisa del perché, giusto un anno fa, abbia sentito impellente il bisogno di rileggere Cime tempestose. Una consapevolezza però ce l'ho, l'ho sempre avuta: i libri fanno come le persone, ci trovano quando siamo pronti per l'incontro. E proprio per questo spesso capita che debbano tornare nelle nostre vite, perché al primo appuntamento eravamo impreparati a capire fino in fondo il loro valore.
Dalla prefazione di Chiara Gamberale.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
ISBN
9788852072741

1

Ornamento di separazione
1801. Sono appena ritornato da una visita al mio padrone di casa, il solo e unico vicino dal quale sarò infastidito. Che bella zona è questa! In tutta l’Inghilterra, non credo che avrei potuto trovare un altro posto così totalmente distaccato dal trambusto della vita sociale. Un perfetto paradiso per misantropi; e il signor Heathcliff e io siamo la coppia giusta per spartirci questa desolazione.
Che tipo interessante!
Certo non immaginava quale simpatia mi ha suscitato in cuore quando, avvicinandomi a cavallo, ho visto i suoi occhi neri ritrarsi così sospettosamente sotto le sopracciglia, e quando le sue dita, mentre annunciavo il mio nome, si sono sprofondate risolutamente sotto il panciotto.
«Signor Heathcliff!» dissi.
Per tutta risposta, un cenno con la testa.
«Sono Lockwood, il suo nuovo affittuario, signore. Mi onoro di renderle visita appena arrivato, per esprimere la speranza di non averla disturbata con la mia insistenza nel chiedere in affitto Thrushcross Grange. Ieri ho sentito dire che lei pensava…»
«Thrushcross Grange è roba mia, signore» m’interruppe, con un fremito. «Non permetterei a nessuno di disturbarmi, se potessi impedirlo. Entri!»
Quell’“entri” fu pronunciato a denti stretti, e con un tono che significava “va’ al diavolo!”. Perfino il cancello su cui si appoggiava non manifestò alcun movimento in sintonia con le parole. Credo che proprio questa circostanza mi spinse ad accettare l’invito: sentii interesse verso un uomo che sembrava ancora più esageratamente riservato di me.
Quando vide che il pettorale del mio cavallo stava ormai spingendo la sbarra, si decise ad allungare la mano per togliere la catena, e poi imbronciato mi precedette lungo il viottolo, gridando mentre entravamo nel cortile:
«Joseph, prendi il cavallo del signor Lockwood; e porta su del vino.»
“Ecco qui la servitù al completo, suppongo” fu la riflessione che mi suggerì quel duplice ordine. “Non c’è da stupirsi che l’erba cresca fra il selciato, e che a pareggiare le siepi provveda unicamente il bestiame.”
Joseph era un uomo anziano, anzi, vecchio: molto vecchio, forse, benché robusto e vigoroso.
«Che il Signore ci aiuti!» brontolò fra sé stizzito e contrariato, mentre mi liberava del mio cavallo; e nel frattempo mi guardava in faccia con un’acidità tale da farmi pensare, caritatevolmente, che avesse bisogno dell’aiuto divino per digerire il suo pranzo, e che la sua pia esclamazione non avesse alcun riferimento col mio arrivo inatteso.
Wuthering Heights, Cime tempestose, è il nome dell’abitazione del signor Heathcliff; e “Wuthering” è un’espressione provinciale per indicare lo sconquasso atmosferico al quale la sua posizione la espone durante il maltempo. Un’aria fresca e tonificante lassù la devono avere in qualunque stagione, questo è certo. Dall’eccessiva inclinazione di alcuni miseri abeti in fondo alla casa, e da una fila di sparuti spini che protendono i loro rami tutti dalla stessa parte, come se implorassero l’elemosina dal sole, si può immaginare la potenza del vento del Nord che soffia sulla cresta. Per fortuna, l’architetto è stato abbastanza previdente da costruire una casa solida: le strette finestre sono profondamente incassate nei muri, e gli angoli sono protetti da grosse pietre sporgenti.
Prima di oltrepassare la soglia, mi fermai ad ammirare una quantità di sculture grottesche sparse sulla facciata, e specialmente attorno alla porta principale, sopra la quale, in mezzo a una confusione di grifoni sgretolati e di putti impudenti, scoprii la data “1500” e il nome “Hareton Earnshaw”. Avrei voluto fare qualche commento e richiedere al burbero proprietario una breve storia del luogo, ma il suo atteggiamento sulla porta sembrava esigere che entrassi alla svelta, o me ne andassi del tutto, e io non desideravo spazientirlo ulteriormente prima ancora di aver visitato i sacri misteri della casa.
Un solo gradino, senza nessuna anticamera o corridoio, ci introdusse nella sala. Qui la chiamano “la casa” per eccellenza e di solito comprende cucina e salotto. Ma credo che a Wuthering Heights la cucina sia costretta a ritirarsi in un altro quartiere: o perlomeno, dalle profondità dell’interno, sentii venire un chiacchiericcio e un acciottolio di utensili culinari, e non vidi attorno al vasto camino alcun segno di cottura di arrosti, bolliti o cose al forno; né lo scintillio di paioli di rame o colini di stagno alle pareti. Su un lato, in realtà, sia la luce sia il calore si riflettevano splendidamente da file di immensi piatti di peltro, inframmezzati da brocche e boccali d’argento, che torreggiavano una fila dopo l’altra su un’ampia credenza in quercia, fino al tetto. Quest’ultimo non era mai stato soffittato: la sua intera anatomia si mostrava nuda all’occhio indagatore, tranne là dove un ripiano di legno carico di focacce d’avena e grappoli di cosce di vitello, montone e prosciutti, lo nascondeva alla vista. Sopra la cappa del camino c’era un assortimento di vecchi fucili ribaldi, e un paio di pistole da sella; e, con funzione di ornamento, tre barattoli dipinti con colori sgargianti erano allineati lungo la mensola. Il pavimento era di pietra liscia e bianca; le sedie, dall’alto schienale, di forma primitiva, erano dipinte di verde; un paio, massicce e nere, stavano in agguato nell’ombra. In una nicchia ad arco, sotto la credenza, riposava un’enorme cagna da punta col pelo rossiccio, circondata da uno sciame di cuccioli che guaivano, e altri cani si aggiravano in altri recessi.
Non ci sarebbe stato niente di strano se quell’ambiente e quell’arredamento fossero appartenuti a un semplice fattore del Nord, dal viso caparbio e dalle gambe robuste messe in risalto da calzoni al ginocchio e gambali. Un tipo del genere, seduto nella sua poltrona, davanti al suo boccale di birra schiumante sulla tavola rotonda, si può vederlo dovunque, in un raggio di cinque o sei miglia tra queste colline, se si va all’ora giusta dopo pranzo. Ma il signor Heathcliff è in un singolare contrasto con la sua dimora e il suo stile di vita. Il suo aspetto è quello di uno zingaro scuro di pelle, il modo di vestire e le maniere sono quelle di un gentiluomo: cioè, gentiluomo perlomeno quanto può esserlo qualunque signorotto di campagna. Un po’ trasandato, forse, ma la sua trascuratezza non gli nuoce, perché ha una bella figura dritta; ed è piuttosto sulle sue. Qualcuno potrebbe sospettare in lui un certo grado di orgoglio di bassa lega, ma una corda di simpatia in me mi dice che non è nulla del genere: so per istinto che il suo riserbo nasce da un’avversione per le manifestazioni plateali di sentimento, per le esibizioni di reciproca cortesia. Amerà e odierà ugualmente senza darlo a vedere, e riterrà una specie di impertinenza essere ricambiato nel suo amore o odio. No, sto correndo troppo: gli attribuisco con eccessiva liberalità qualità che sono mie. Il signor Heathcliff può avere ragioni completamente diverse dalle mie per ritrarre la mano quando incontra un presunto conoscente. Voglio sperare che il mio modo di essere sia del tutto particolare: la mia cara mamma mi ha sempre detto che io non avrei mai avuto un focolare confortevole, e solo l’estate scorsa ho dimostrato che ne sono assolutamente indegno.
Mentre mi stavo godendo un mese di bel tempo sulla costa, capitai per caso in compagnia di una creatura estremamente affascinante: un’autentica dea ai miei occhi, fin quando non si accorse di me. Non le “dichiarai il mio amore” a parole, ma, se esiste un linguaggio degli sguardi, anche un idiota avrebbe potuto indovinare che ero pazzo di lei. Lei mi capì, alla fine, e mi lanciò uno sguardo di risposta, il più dolce che si possa immaginare. E come ho reagito io? Lo confesso con vergogna: mi sono ritratto gelidamente in me, come una lumaca; ogni volta che i nostri occhi s’incontravano io mi facevo sempre più freddo e più distante finché quella povera innocente, indotta a dubitare dei propri sensi e sopraffatta dalla confusione per il suo presunto errore, ha persuaso la madre ad abbandonare il campo tutte e due.
Per questo mio assurdo comportamento, mi sono guadagnato la reputazione di uomo premeditatamente senza cuore; quanto immeritata, solo io posso dirlo.
Andai a sedermi all’estremità del focolare, dalla parte opposta a quella verso cui si dirigeva il padrone di casa, e cercai di riempire una pausa di silenzio accarezzando la cagna madre, che aveva abbandonato la sua prole e, con fare da lupa, avanzava furtivamente verso i miei polpacci, col labbro sollevato sui denti bianchi, pronta a mordere.
La mia carezza provocò un lungo ringhio gutturale.
«Sarà meglio che lasci stare il cane» brontolò all’unisono con lei il signor Heathcliff, frenando più violente rimostranze con un colpo di piede. «Non è abituata a essere coccolata; non è una bestia da salotto.»
Poi, dirigendosi a grandi passi verso una porta laterale, gridò di nuovo: «Joseph!».
Joseph borbottò indistintamente nelle profondità della cantina, ma non diede segno di voler salire. Così il suo padrone si tuffò giù da lui, lasciandomi vis-à-vis con la malefica cagna e un paio di torvi e irsuti cani da pastore, che insieme con lei si divisero il compito di una gelosa sorveglianza di ogni mio movimento.
Non avendo alcun desiderio di entrare in contatto con le loro zanne, rimasi immobile; ma, immaginando che non avrebbero capito degli insulti non verbali, ebbi la pessima idea di lasciarmi andare a una serie di smorfie e sberleffi rivolti al terzetto; alcuni aspetti della mia fisionomia irritarono la signora a tal punto che esplose in una furia improvvisa e mi saltò sulle ginocchia. La ributtai giù, e mi affrettai a mettere il tavolo fra me e lei. Questo gesto aizzò l’intero sciame: una mezza dozzina di demoni a quattro zampe, di varie taglie ed età, saltò fuori da covi nascosti e si precipitò verso il bersaglio comune. Gli attacchi principali erano diretti verso i miei talloni e le falde della mia giacca; e, mentre con l’attizzatoio tenevo a bada alla meglio gli avversari più grossi, fui costretto a chiedere a gran voce l’aiuto di qualcuno della casa per ristabilire la pace.
Il signor Heathcliff e il suo uomo risalirono dalla cantina con irritante lentezza. Non credo che accelerassero di un secondo il loro passo, nonostante che attorno al focolare si fosse scatenato un pandemonio di morsi e latrati.
Per fortuna, una delle abitanti della cucina fu più veloce: una dama robusta, con la gonna rimboccata, le braccia nude e le guance arrossate dal fuoco, irruppe nella mischia brandendo una padella; e usò quell’arma e la sua lingua con tale efficacia che la burrasca si acquietò come per magia; quando il suo padrone apparve sulla scena non rimaneva che lei, ansante come il mare dopo un forte vento.
«Che diavolo succede?» domandò lui, guardandomi in un modo che mi indispose alquanto, dopo quel trattamento inospitale.
«Che diavolo davvero!» brontolai. «Il branco di porci indemoniati non poteva essere posseduto da spiriti più maligni di queste sue bestie, signore. Tanto varrebbe lasciare uno sconosciuto in compagnia di una nidiata di tigri.»
«Non danno fastidio a chi non tocca nulla» affermò lui, appoggiando la bottiglia di fronte a me, e rimettendo a posto il tavolo. «È giusto che i cani facciano la guardia. Un bicchiere di vino?»
«No, grazie.»
«Morsicato, per caso?»
«Se così fosse, avrei lasciato il mio sigillo sul colpevole.»
Heathcliff sogghignò, rilassandosi.
«Su, su» disse, «si è agitato, signor Lockwood. Forza, prenda un po’ di vino. Gli ospiti sono una tale rarità in questa casa che io e i miei cani, lo ammetto, non sappiamo più come vanno ricevuti. Alla sua salute, signore!»
Ricambiai il brindisi con un cenno del capo; stavo cominciando a rendermi conto che sarebbe stato stupido mostrarmi risentito per le malefatte di un branco di cani ringhiosi; inoltre, preso atto di come si era messo il suo umore, mi seccava enormemente che quel tipo continuasse a divertirsi alle mie spalle.
Lui, probabilmente spinto dalla prudente riflessione che sarebbe stata una follia offendere un buon affittuario, allentò non di molto quel suo stile laconico a base di omissioni dei pronomi e dei verbi ausiliari, e introdusse un argomento che riteneva m’interessasse: un discorso sui vantaggi e gli svantaggi del mio attuale luogo di ritiro.
Lo trovai molto competente su ciò di cui parlammo, e prima di tornare a casa mi rianimai talmente da proporre un’altra visita per il giorno dopo.
Era evidente che non desiderava una replica della mia intrusione. Ciononostante, ci andrò. È incredibile quanto mi sento socievole se mi paragono con lui.

2

Ornamento di separazione
Ieri il pomeriggio si annunciava freddo e nebbioso. Avevo una mezza idea d...

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Stili delle citazioni per Cime tempestose

APA 6 Citation

Brontë, E. (2016). Cime tempestose ([edition unavailable]). Mondadori. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3297665/cime-tempestose-pdf (Original work published 2016)

Chicago Citation

Brontë, Emily. (2016) 2016. Cime Tempestose. [Edition unavailable]. Mondadori. https://www.perlego.com/book/3297665/cime-tempestose-pdf.

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Brontë, E. (2016) Cime tempestose. [edition unavailable]. Mondadori. Available at: https://www.perlego.com/book/3297665/cime-tempestose-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Brontë, Emily. Cime Tempestose. [edition unavailable]. Mondadori, 2016. Web. 15 Oct. 2022.