Quando le donne governavano la terra
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Quando le donne governavano la terra

  1. 252 pagine
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Quando le donne governavano la terra

Informazioni su questo libro

Millecinquecento anni prima di Cristo, ci furono donne che decisero di governarsi da sole. Dopo sanguinose guerre contro l'impero egiziano che decimarono gli uomini sciti, le loro donne furono costrette a farsi guerriere.
La fama di arciere abilissime, di combattenti indomite e coraggiose le precedeva ovunque e i popoli vicini si sottomisero o furono conquistati. Depositarie di poteri sciamanici e del grandioso segreto della fecondazione, gli uomini che sceglievano, stipulando lunghe tregue dedicate ai riti erotici della riproduzione, erano scacciati dopo la breve stagione dell'amore. Istituirono un regno tutto al femminile, dove trionfavano giustizia e solidarietà: il primo matriarcato che la storia ricordi. Le chiamavano Amazzoni.
Per i contemporanei, incarnavano la donna assoluta, un pericoloso miscuglio di sensualità femminile e violenza maschile, un essere indipendente e non bisognoso di protezione. Una minaccia carica di seduzione alla nascente società patriarcale. Da estirpare o sottomettere.
Ma, come un fiume carsico, l'essenza ribelle e combattiva delle Amazzoni non si è mai estinta perché nessuno è mai riuscito a soffocarla.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858517529
Argomento
Storia
PARTE PRIMA

LE AMAZZONI NELLA STORIA

Capitolo Primo

FURONO CHIAMATE AMAZZONI

Nascere dalla guerra

Verso l’inizio dell’età del bronzo, nel 2000 a.C. circa, un popolo nomade di uomini a cavallo avanzò dalle steppe orientali verso l’Europa. Armato di arco e di frecce, portava con sé donne e figli, e pochi beni stivati nei carri1.
Era il popolo degli sciti. Si diressero verso sud, invasero l’area che dal Caucaso scende verso il Mar Nero e si arrestarono alle porte dell’Asia Minore.
Nella stessa epoca, Sesostri, re del Basso Egitto, fondava la disciplina medica, costruiva monumentali edifici, si occupava della scrittura. Aristotele lo ricorda come legislatore primordiale, colui che riconobbe il diritto materno, a cui si collega la certezza della discendenza, cardine della divisione in caste. In questo regno arcaico, dove la dea Iside e il dio Sole avevano pari diritti e poteri, vigeva un profondo rispetto per la donna e a ogni cittadino erano riconosciuti gli stessi privilegi. La libertà di cui ciascun individuo godeva era di carattere antichissimo, e affondava le sue radici proprio nel riconoscimento del diritto materno, nell’importanza conferita alla figura femminile. Lontano dalle fertili terre del Nilo, oltre l’Asia Minore e lungo le sponde del Mar Nero, gli sciti ignoravano di condividere con gli egiziani un concetto del sesso femminile che non era proprio uguale ma certo simile: la donna scita non era soggetta all’uomo, ma pari a lui, compagna di caccia, di guerre e di percorsi di conquista.
Ma solo questo accomunava i due popoli, fra cui stava per iniziare un grave conflitto.
Sesostri, che non per nulla aveva ricevuto l’appellativo di Conquistatore, si era dapprima spinto a sud per allargare i confini del regno. Successivamente aveva rivolto la sua attenzione a est. Il re aveva stabilito di invadere le terre che si estendevano fra l’Egitto e l’Oriente. Avrebbe combattuto e sottomesso tutti i popoli che l’esercito egiziano avrebbe incontrato lungo il percorso.
Sesostri non si era lanciato in questa grandiosa guerra di espansione perché il suo popolo era affamato da carestie, e nemmeno per impadronirsi di pascoli e acqua. Inseguiva, piuttosto, la gloria, disposto a compiere qualsiasi eccidio per guadagnarsi un primato: quello del re che aveva trionfato su tutti, affinché l’Egitto e la sua cultura fossero sovrani del mondo circostante.
Gli eserciti egiziani si misero in marcia. Puntarono con decisione verso l’Asia Minore, e aggredirono i popoli che incontrarono sulla loro strada. Alcuni opposero resistenza ma vennero annientati. Altri, senza aprire alcuna ostilità contro gli egiziani, si affrettarono a riconoscere Sesostri come loro re.
Egli passò da una vittoria all’altra, e arrivò con i suoi guerrieri fino alle spiagge del Mar Nero. Qui si fermò. Intorno a lui e dietro di lui tutti avevano chinato la testa, dopo aver seppellito orgoglio e cadaveri. Ormai, il sovrano ne era convinto, non valeva più la pena di muovere l’esercito. Ovunque preceduto dalla sua fama, si rese conto che era sufficiente il suo nome, il suo nome terribile, perché coloro che ancora non erano assoggettati si affrettassero a dichiararsi sudditi del re d’Egitto.
Ma c’erano gli sciti, che vivevano lungo le rive del Mar Nero e nel Caucaso. E gli sciti non erano come gli altri popoli. Essi possedevano quella qualità rara e indomabile, che di un uomo può fare un eroe: la fierezza. Tanto più se unita al carattere impetuoso di gente decisa da sempre a salvaguardare la propria indipendenza. Gli sciti erano consci di saper usare le proprie armi con la forza e l’abilità di un dio, e di sapersi muovere a cavallo come fossero stati essi stessi centauri.
Forse reso cieco dalle proprie vittorie, Sesostri non si preoccupò di valutare a fondo chi avesse di fronte questa volta. Era ormai convinto di essere simile a un’aquila reale, contro cui nessuno avrebbe più osato scagliare una sola freccia.
In una ventosa giornata autunnale, gli ambasciatori di Sesostri entrarono nei territori sciti e vennero condotti alla presenza del re Tanai. Non notarono gli allevamenti di cavalli, non badarono all’eccezionalità di figure femminili che si muovevano cavalcando a pelo, impugnando arco e frecce. Gli ambasciatori rivolsero a Tanai la richiesta di resa, che se incondizionata sarebbe stata incruenta. Lo sollecitarono a riconoscere Sesostri sovrano e padrone di quei territori.
Ma, questa volta, ricevettero una risposta sorprendente.
Come mai era venuto in mente a un così grande sovrano, replicò Tanai, di rinunciare a ogni barlume di saggezza e avventurarsi tanto lontano dal proprio paese per fare la guerra a uomini come loro? Gli sciti non possedevano che lo stretto necessario per sopravvivere e nulla che potesse dar esca ad avidità, ambizione e gelosie.
Il re proseguì ammonendo gli stupefatti ambasciatori: che dicessero al loro sovrano di badare alla pace e alla sicurezza dei suoi possedimenti. E concluse con ironia insinuante: la guerra ha sempre esito incerto.
Agli ambasciatori egiziani non rimase che tornarsene all’accampamento per riferire al loro re ciò che avevano udito. Sesostri ignorò il consiglio di Tanai, considerandolo unicamente dettato dall’arroganza. Radunò i suoi uomini e marciò deciso verso le terre degli sciti. «O con me o contro di me»: quella era la sua legge. D’improvviso, si trovò davanti uno sterminato esercito di cavalieri, che si stagliava contro il cielo, invadendo tutto l’orizzonte. Agli sciti di Tanai si erano infatti aggiunti altri gruppi nomadi. Tutti impugnavano l’arco, arma strategica in quei tempi.
Gli sciti si lanciarono al galoppo contro gli egiziani, sui quali, come una pioggia fatale, iniziarono a cadere le frecce. Fu una strage. Gli uomini di Sesostri cadevano uccisi uno dopo l’altro, senza riuscire a opporre resistenza. E lui, che si era celebrato re della guerra e delle conquiste, si affrettò a voltare le spalle, abbandonando i suoi guerrieri al loro destino. Fuggì, rifugiandosi nel proprio regno.
Gli sciti massacrarono quelli che erano rimasti. Poi inseguirono Sesostri, ma arrivati ai confini dell’Egitto si arrestarono: i canali del Nilo formavano infatti una sorta di baluardo invalicabile.
Dopo qualche incertezza, Tanai e il suo esercito decisero di rinunciare. Adesso erano loro i padroni delle regioni che Sesostri credeva di aver conquistato una volta per tutte.
Poiché non davano importanza al danaro, gli sciti imposero tasse molto basse, quanto bastava per farsi riconoscere sovrani di quelle terre.
Erano passati alcuni anni ormai da quando i guerrieri sciti avevano abbandonato città e accampamenti per entrare in guerra contro gli egiziani. In loro assenza, le donne scite, fiere, coraggiose, abituate a cacciare e cavalcare, capaci di maneggiare le armi, avevano preso il posto degli uomini: dovevano sopravvivere e soprattutto difendere se stesse, la propria gente, i propri figli. I tempi non lo imponevano, forse? Da un momento all’altro orde sconosciute, dense di minaccia e di ferocia, avrebbero potuto fare irruzione nei loro territori. L’improvviso attacco di nemici e la devastazione erano all’ordine del giorno, un’ordinaria brutalità che dovevano saper fronteggiare.
Ma a un certo punto, narra Diodoro, si stancarono dell’assenza dei loro uomini. E posero un aut-aut: o tornate subito, o ci cerchiamo altri uomini, scegliendoli fra i popoli che abitano intorno a noi. Per niente disposti a rinunciare all’altra metà del cielo, gli sciti ubbidirono e levarono le tende dalle terre conquistate, di cui rimasero sovrani per alcuni secoli fino a quando, sullo scenario della storia, avanzarono gli assiri.
Quindi, circa tremilacinquecento anni fa, le amazzoni fecero la loro prima comparsa, durante il periodo della dominazione scitica sull’Asia Minore: discendevano dalle valorose tribù nomadi che avevano saputo sconfiggere Sesostri il Conquistatore.

Il mistero della statua ittita

Autorevoli studiosi come John Garstang e Arcibald Henry Sayce2 sostengono invece l’ipotesi di una discendenza diretta delle amazzoni dal popolo ittita.
Fra le rovine della città di Hattusas fu rinvenuta una curiosa statua guerriera raffigurante un personaggio androgino rivestito di una cotta e con il capo coperto da un cimiero. I tratti del volto sono marcatamente femminili e i seni, sotto la corazza, ben disegnati.
Su questo reperto si scatenò un’accanita disputa accademica: maschio o femmina? Guerriero o amazzone? La disputa non è ancora risolta3.
La ragione del contendere non è secondaria, né oziosa: se si trattasse di una donna guerriera verrebbe provata in modo quasi inoppugnabile la matrice ittita di alcune tribù amazzoniche.
Questo popolo sviluppò la sua civiltà in un’epoca compresa fra il 2500 e il 1200 a.C., un periodo che potrebbe coincidere con l’esistenza delle amazzoni provata da altre fonti e testimonianze.
Fra le genti del periodo arcaico, il popolo ittita si è distinto per la cultura e il sistema sociale assolutamente originali. Si sostiene che tale civiltà, debitrice in parte di quella hurrita, assai più antica e misteriosa, abbia sviluppato nel periodo di massimo splendore, fra il 1500 e il 1200 a.C., un’economia e un impero superiori a quelli dell’Egitto e dei popoli mesopotamici.
Gli ittiti occuparono il centro dell’Asia Minore spingendosi fino ai territori orientali, e costruendo città favolose come Hattusas, la capitale. Conobbero, come pochi altri loro contemporanei, l’arte della domesticazione degli animali e in particolare quella del cavallo. Si tratta di un’analogia con la cultura amazzonica che non può non far riflettere. Ma, soprattutto, una delle caratteristiche peculiari degli ittiti fu la loro legislazione, assolutamente unica, originale. Tolleranti, libertari, matriarcali, parevano ignorare qualsiasi forma di autoritarismo e di prevaricazione. La loro regina era la prima sacerdotessa dei più importanti culti religiosi, celebrati nel pantheon. Nelle loro città anche gli schiavi erano protetti dalla legge e le donne avevano gli stessi diritti degli uomini. In materia sessuale, poi, vigeva la più grande libertà. La cultura amazzonica pare avere alcuni punti di contatto con questa civiltà che i popoli successivi hanno ignorato e cancellato, fra cui l’autonomia sessuale e la specificità del rapporto con il maschio.
Nella legislazione ittita, tuttavia, persino l’incesto non era punito, se avveniva in modo consensuale. L’amore libero era concesso anche nelle forme di giochi erotici fra più persone di entrambi i sessi. La fornicazione era ammessa legalmente, così come l’omosessualità sia femminile sia maschile. Non veniva punita la zoofilia, qualora il rapporto fosse consumato con cavalli o muli. E quando si trattava di cani o maiali, spettava al re un’eventuale liberatoria.
Straordinarie analogie con i culti religiosi delle amazzoni si ritrovano fra i reperti archeologici delle loro divinità. Kubaba, la dea delle montagne e delle belve, diventerà presso i frigi la Grande Madre, che verrà onorata più tardi anche dai popoli greci e romani sotto il nome di Cibele. La dea guerriera Hepat o Ipat, inizialmente adorata con il nome di Comana, darà desinenza rituale a molte regine, come Tadu-ipa e Pudu-ipa.
La statua misteriosa non rappresenta probabilmente un’amazzone ma, come ha sostenuto E. Cavaignac, immortala le sembianze della dea guerriera Hipa. È indubbio, però, che ancora una volta le amazzoni accendono l’immaginario, costringono a interrogarsi su tracce che alcuni definiscono mitiche e altri vogliono storiche. Nello sguardo della statua misteriosa è contenuto il segreto di un mondo lontano, che la dea, o la guerriera, ha contemplato nella profonda notte dei tempi.
Allora, il sistema autoritario patriarcale non si era ancora affermato, e non aveva ancora cancellato un popolo la cui legislazione tendeva a forme societarie tolleranti, armoniche, improntate al femminile.

I primi passi

Nel regno delle tribù scite che vivevano lung...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. QUANDO LE DONNE GOVERNAVANO LA TERRA
  4. Presentazione
  5. Introduzione
  6. PARTE PRIMA. LE AMAZZONI NELLA STORIA
  7. PARTE SECONDA. MORIRE IN GUERRA E PER AMORE
  8. PARTE TERZA. ALLA RICERCA DELLE AMAZZONI
  9. Bibliografia fondamentale
  10. Ringraziamenti
  11. Copyright