Dal momento in cui la staffetta ferrarese inviata a prelevare la sposa era giunta a Roma, per espressa volontà del papa, balli, feste e banchetti si erano susseguiti a ritmo incessante, con immensa gioia delle giovani dame, che potevano esibire le loro grazie ed essere corteggiate dai numerosi cavalieri.
Ogni sera nuove passioni si accendevano e nuove relazioni sbocciavano, bruciando le vecchie con la rapidità con cui si consumavano le centinaia di candele che rischiaravano a giorno le sale dei festeggiamenti.
I fratelli d’Este brillavano per la loro bellezza, classe e distinzione, conquistando i cuori di molte madonne, ma fra essi brillava soprattutto, come sempre, l’astro del cardinale Ippolito il quale, agghindato, come sua abitudine, in abiti alla moda che nulla rivelavano del suo stato clericale, era il più ricercato, il più ambito e anche il più incostante nelle passioni.
Il culmine dei festeggiamenti si raggiunse la sera del 30 dicembre, data della celebrazione delle nozze per procura, le quali, per volere del papa, dovevano essere sontuose e solennizzate da lui in persona.
Lucrezia, dignitosa e compresa del suo ruolo, avanzò lungo la navata in un abito di velluto cremisi e broccato d’oro foderato d’ermellino, il cui lunghissimo strascico era sorretto da piccoli paggi vestiti di tessuto d’oro. I capelli erano intrecciati in fili d’oro e annodati con un nastro nero, il collo era ornato da una collana di perle che terminava in un gigantesco pendaglio di smeraldo, i cui bagliori esaltavano la sua delicata carnagione. A tal punto appariva seducente che le più anziane nobildonne romane, le quali avevano assistito a decine di nozze altolocate ed erano animate da una considerevole propensione alla critica, dovettero convenire che eclissava in eleganza e in sfarzo altre due spose di alto rango di cui si era molto conversato, Isabella d’Este e Anna Sforza, prima moglie di Alfonso d’Este.
Ai lati di Lucrezia, don Ferrante e don Sigismondo la scortavano rigidi e distinti, fieri del ruolo di rappresentanti della famiglia d’Este e di procuratori del fratello Alfonso.
Seguivano sedici dame d’onore e cinquanta nobildonne romane che recavano rami di mirto, simbolo di amore e di gloria. Il corteo era chiuso da cento paggi nei loro vestiti d’oro, che sbandieravano i vessilli degli Este e dei Borgia.
Accompagnata dalla luce di migliaia di fiaccole, Lucrezia giunse a San Pietro fra due immense ali di folla che le rendeva omaggio gridandole «Bellissima!» e «Viva la duchessa di Ferrara!».
Al cospetto del papa e dei vari principi della chiesa, il vescovo di Andria, Niccolò d’Este, rivolse ai presenti una allocuzione di auguri e poi pronunziò la formula di rito.
«Illustre madonna Lucrezia, l’illustre don Alfonso vi manda di buon grado questo anello di matrimonio e io ve lo offro a suo nome.»
«E io di buon grado l’accetto» replicò Lucrezia.
Allora le si accostò don Ferrante il quale, a nome del fratello, prese l’anello e lo infilò al dito di colei che, da quell’istante, diventava a tutti gli effetti sua cognata e futura duchessa di Ferrara.
Il cardinale Ippolito d’Este, inappuntabile, l’alta figura eretta in una postura regale, la lunga chioma mantenuta liscia e ordinata da lunghi pettini di avorio, sorvegliava la scena dalla posizione che il protocollo gli aveva affidato, proprio di fronte alla sposa, distraendosi spesso per ammirare lo spettacolo delle damigelle che l’avrebbero accompagnata a Ferrara e ambivano a rimanere ospiti fisse della corte estense. Le aveva già intraviste nei giorni precedenti e chiesto informazioni su un paio di loro, che apparivano decisamente apprezzabili. Ma si era guardato bene dal tentare alcun approccio, riservandosi di intraprenderlo con tutta comodità a Ferrara.
Roma gli offriva già fin troppe alternative. Come non bastassero le dame della buona società , Cesare Borgia lo costringeva ad accompagnarlo nei suoi vagabondaggi notturni, sempre alla ricerca delle più leggiadre ed esperte cortigiane, e lui, trattandosi dell’onnipotente fratello della sua prossima cognata, non poteva certo rifiutarsi.
Concluso lo scambio dell’anello cui aveva provveduto Ferrante, ora sarebbe toccato a lui rendere omaggio alla sposa e consegnarle i doni di casa d’Este.
Si fece avanti, seguito dal suo segretario personale, Giovanni Ziliolo, che recava un cofanetto con i doni che Alfonso d’Este inviava alla moglie.
«Vogliate gradire, incantevole madonna Lucrezia, questo segno di apprezzamento da parte del mio illustre fratello e ora vostro marito, che tuttavia non può che risultare modestissimo, giacché qualunque gioiello, per quanto prezioso, sarà sempre offuscato dalla vostra incomparabile bellezza.»
Poi, con un elegante inchino, depositò il cofanetto su un cuscino posto ai piedi di Lucrezia.
Nel sollevarsi, però, lo sguardo si posò su una fanciulla che si trovava appena alle spalle della sposa…
Fu in quel momento che, per la prima volta, la notò.
E la visione lo colpì al punto da rapirlo, da sottrargli per un istante la consapevolezza di dove fosse e del compito che stava svolgendo.
Esisteva davvero un tale incanto?, si ritrovò a pensare. E come mai gli era sfuggito sino a quel momento? Dove si era nascosta? Com’era giovane! Una meraviglia! Un bocciolo, da cogliere così, nel primo dischiudersi… Ah, lui l’avrebbe colto! Non se la sarebbe lasciata sfuggire per nulla al mondo.
Con rammarico si costrinse a tornare in sé e si avvide che doveva essere trascorso più di qualche istante perché Lucrezia Borgia, con un sorrisetto tra il divertito e l’imbarazzato, attendeva che concludesse il suo compito. Ippolito le dedicò un radioso sorriso, un nuovo inchino e un vago accenno di baciamano.
Lucrezia ricambiò con una lieve riverenza e un cenno del capo, quindi affidò il cofanetto al tesoriere, il quale, appartatosi, lo aprì e verificò che contenesse quanto concordato dalle due cancellerie nel corso delle trattative, aiutandosi, per sicurezza, con un piccolo promemoria in cui aveva appuntato il contenuto: una cuffia ornata da sedici diamanti, sedici rubini e centocinquanta perle – non aveva tempo di contare le pietre a una a una ma l’oggetto era presente – quattro collane di pietre preziose appartenute a Eleonora d’Aragona, defunta duchessa (quante discussioni per strapparle a quello spilorcio di Ercole d’Este, che non voleva privarsi di quei gioielli per amore verso sua moglie, sosteneva, per attaccamento ai suoi beni, ritenevano gli ambasciatori papali), otto catene d’oro, quattro rosari e una seconda cuffia, anch’essa tempestata di gemme preziose.
Il cardinale Ippolito, riguadagnato nel frattempo il suo posto, aveva chiamato a sé con un impercettibile gesto dell’indice destro il suo segretario Ziliolo, il quale si inchinò e accostò l’orecchio alle labbra del suo signore, affinché nessun altro udisse quello che aveva da dire.
«La damigella che è alle spalle di madonna Lucrezia, sulla destra» bisbigliò muovendo appena le labbra. «Voglio sapere tutto di lei.»
Ziliolo si limitò a un breve cenno di assenso e si allontanò in tutta fretta.
La mattina del sei gennaio 1502 si aprì con uno sgradevole cambiamento del tempo, il quale si era mantenuto per un lungo periodo mite e solatio, consentendo ai romani di godere a pieno dei festeggiamenti. Quel giorno, invece, un gelido vento di tramontana staffilava la città .
Lucrezia oziava a letto, sebbene la sua cameriera le avesse segnalato più volte che era tempo di alzarsi. Si sentiva sfinita dal susseguirsi di celebrazioni cui lei, come suo dovere, si era prestata con grazia e pazienza, sfoggiando un perenne sorriso sulle labbra, sebbene un’inquietudine, cui si sforzava di non prestare attenzione, le mordesse il cuore.
Era in procinto di abbandonare Roma, che aveva sempre rappresentato il fulcro della sua esistenza, e tanti volti familiari e amati, con il rischio concreto di non rivederli mai più. Si avventurava verso un luogo sconosciuto, che forse le si sarebbe mostrato ostile e che avrebbe dovuto affrontare da sola. Si sentiva turbata e ansiosa.
«Ancora tra le coltri, mia signora?» la rimproverò Angela Borgia, entrando nella stanza con l’irruenza e la spensieratezza che le erano proprie. «Arriva il gran giorno e voi poltrite a letto? Ma come è possibile? Io sento il fuoco della curiosità che mi brucia in petto, non sono riuscita a chiudere occhio! Su, animo…»
Lucrezia mugugnò, voltandosi dall’altra parte e tirandosi il lenzuolo sugli occhi per velare la luce che Angela stava facendo piovere nella stanza, via via che scostava i pesanti tendaggi.
Ma poi ci ripensò. Si sollevò su un braccio, socchiudendo gli occhi per ripararli dalla luce, e fissò la cugina.
«Fossi in voi,» disse «non avrei davvero tutta questa fretta di recarmi a Ferrara.»
«E perché mai?»
«Siete stata notata, mia cara. Questo mi ha riferito una spia fidatissima. La vostra bellezza non è passata inosservata.»
«Puah» ribatté Angela, scrollando le spalle con indifferenza. Per quanto giovanissima, aveva già fatto l’abitudine a essere molto ammirata dagli uomini.
«Sono avvezza alle attenzioni maschili ma mi lasciano indifferente. Per ora, almeno.»
«Non sareste così sprezzante e spavalda, se sapeste da chi siete stata notata.»
«Mmm… E chi sarà mai?»
«Un potente.»
«Ah,» replicò Angela, delusa. «Non sono sensibile al fascino del potere e neppure del denaro. Solo a quello della bellezza.»
«Ai potenti interessa poco che voi siate o meno interessata a loro, mia cara» replicò Lucrezia, la voce velata di tristezza. «Hanno modi e strumenti per raggiungere i loro obiettivi anche senza il vostro consenso.»
«Rivelatemi il nome di questo grand’uomo che mi degna della sua attenzione» domandò Angela, un sorrisetto impertinente sul volto e gli occhi brillanti di curiosità . La nuova vita che aveva da poco conquistato al fianco della sua altolocata cugina le pareva così eccitante, così avvincente da non volerne perdere neppure un instante. Bei vestiti, danze, incontri, galanterie di ogni genere. Come aveva potuto vivere fino a quel momento in una oscura località della Spagna, senza godere di quella incredibile girandola di piaceri e divertimenti? Non avrebbe voluto perderla per nulla al mondo.
Lucrezia trasse un sospiro. Angela era una fanciulla così avventata, esuberante e avida di vita e, al tempo stesso, così ingenua, candida e inconsapevole delle terribili passioni che la sua bellezza poteva scatenare, da suscitarle apprensioni sul futuro.
«Si tratta del cardinale Ippolito d’Este.»
«Davvero?» domandò Angela, scoppiando in una risata fragorosa. «Quel damerino impomatato e pieno di sé?»
«Che io non senta mai più dalle vostre labbra un giudizio così irrispettoso sul fratello di mio marito!» la redarguì Lucrezia con asprezza.
«Domando scusa, mia signora» replicò Angela, mortificata. «Pensavo di poter essere sincera, visto che siamo sole.»
Lucrezia ammorbidì la severità del rimprovero con una carezza.
«Voi siete una ragazza impulsiva, mia cara, anzi, spesso avventata e simili apprezzamenti potrebbero sfuggirvi anche in pubblico, se non apprendete fin da subito la difficile arte della censura e della diplomazia. Dovete diventare più riflessiva e giudiziosa, contare fino a dieci, prima di parlare. Lo dico per il vostro bene. Pensate a come reagirebbe la corte di Ferrara se vi scappasse qualche giudizio sconsiderato, come quello che avete appena pronunziato, alla presenza di orecchie indiscrete. Saremo sempre spiate, tenetelo a mente, e da più di una persona. Il cardinale verrebbe informato del vostro incauto commento un istante dopo. E voi vi sareste fatta un nemico, procurandolo anche a me, che rispondo del comportamento delle mie damigelle. La vostra esuberanza e gioia di vivere sono parti integranti del vostro fascino. Ma sono pericolose. I potenti sono vendicativi, cara cugina. Non vorrei che doveste impararlo a vostre spese. E neppure che mi cagionaste imbarazzo con mio marito, a causa di osservazioni sventate.»
«Non mi interessano le attenzioni del cardinale Ippolito, mia signora» ribadì Angela, imbronciata.
«Ne dovreste essere lusingata, invece. Che una persona del suo livello si degni di mostrare considerazione verso di voi, che siete ancora una bambina, quando può scegliere tra una pletora di donne pronte a cadergli fra le braccia, va interpretato come un grandissimo onore e…»
«Non mi interessa quell’uomo» insistette Angela, ancora più cupa in volto.
«Ah, siete così inesperta! Spesso le donne si lasciano conquistare proprio da coloro che pensavano di detestare, se questi è abile nell’arte del corteggiamento e della seduzione. E vi posso garantire che il cardinale Ippolito gode di una notevole fama, in questo ambito. In ogni caso, possiede un altissimo concetto di sé, che lo rende molto permaloso. Dovrete usare con lui molta diplomazia e prudenza, in modo da non offendere la sua suscettibilità . Mai fargli intendere che lo disprezzate o, peggio, che gli preferite qualcun altro.»
«In ogni caso, sono troppo giovane per lui.»
Lucrezia scoppiò in un’amara risata.
«Non immaginate di cosa sono capaci gli uomini per soddisfare i loro interessi o piaceri. Io, più o meno alla vostra età , sono stata data in sposa a un uomo di quattordici anni più vecchio perché a mio padre, in quel momento, la sua alleanza tornava comoda. E nessuno ha ...