CERCARE IL COLPEVOLE
Sapete come fanno i bambini? Non so se è lo stesso in tutto il mondo, ma in India quando sbattono un ginocchio contro la gamba di un tavolo cominciano a piangere e strillare. Gli adulti accorrono gridando: «Chi ti ha colpito? Il tavolo? Cattivo tavolo! Brutto cattivo tavolo!». Allora il bambino si sente meglio. Con i piccoli funziona, ma è davvero infantile questo modo di fare. Eppure anche oggi che siete adulti vi chiedono: «Chi è stato a farti soffrire?». E voi rispondete: «Mia moglie! Mio marito! Il mio capo! Sono terribili!». E allora il bambino piccolo si sente bene.
Mio Dio, quanto può essere infantile la gente! E non se ne rende nemmeno conto. Deve sempre e per forza incolpare qualcuno delle proprie disgrazie. No, non è giusto.
Maturità significa capire che non c’è nessuno da accusare. Maturità vuol dire non concedersi lo sfogo emotivo di rimproverare gli altri o noi stessi, ma, al contrario, capire che cosa non va, individuare le cause e impegnarsi per rimediare. Fare qualcosa. Capito? Non sono gli altri a dover essere incolpati.
L’EDICOLANTE MALEDUCATO
Cosa vuol dire diventare essere umani consapevoli? Ecco una storia.
Tutti i giorni un tale compra il giornale da un edicolante che è sempre sgarbato con lui. Così un giorno un amico gli chiede: «Perché compri il quotidiano da lui? È così maleducato con te. Perché non vai da un altro negoziante?». E lui risponde: «Non vedo perché dovrebbe decidere lui dove devo comprare il mio giornale? Perché mai dovrebbe avere questo potere su di me?».
Questo è un essere umano consapevole e sereno! Uno che non si lascia turbare dai suoi simili che si comportano come scimmie.
L’IMPORTANZA DEL BUON SENSO
Un mio amico della Fordham University mi raccontava di aver letto un libro straordinario sugli scienziati che hanno mandato le astronavi sulla luna. Diceva: «Sai, è tragico che siamo stati capaci di collaborare per realizzare quegli straordinari gioielli tecnologici e non siamo capaci di fare altrettanto nelle nostre famiglie. Non sappiamo come fare, non sappiamo come comportarci con le nostre mogli, i nostri mariti, i nostri figli». Capite che cosa intendo?
Ho conosciuto contadini poco istruiti che sapevano come collaborare con tutti per far fruttificare e fiorire le loro terre. È questa l’intelligenza! La cultura e l’intelligenza non sono la stessa cosa. Potreste essere molto istruiti e non essere per niente consapevoli di voi stessi. Potreste sapere come funziona un’astronave e non sapere come funzionate voi. L’istruzione non rappresenta un grande aiuto. Perciò, quello che serve non sono le nozioni o il sapere, ma il buon senso e la capacità di comprensione e di empatia, che si acquisiscono sezionando, ascoltando, fondendo, facendo domande, rispettando.
COME UN BOOMERANG
«Potrei venire a parlarle stasera, padre?» «Certo, venga pure!»
In verità, io non voglio parlargli, odio parlare con lui.
Tra l’altro, proprio questa sera, vorrei vedere quel certo programma in televisione, ma come faccio a rifiutare? Non ho il coraggio di dirgli di no. «Venga pure, prego» e intanto sto pensando: ‘‘Oddio, mi toccherà sorbirmi questo rompiscatole”.
Non mi fa sentire bene dovergli parlare, ma allo stesso modo mi fa sentire in colpa dirgli di no, e così scelgo il minore dei mali e gli dico: «Va bene». Sarò contento quando il colloquio sarà finito e potrò togliermi quel sorriso forzato dalla faccia.
Inizio il colloquio con lui: «Come va?». «Benissimo», risponde, ma poi diventa un fiume di parole, parla e parla di quanto apprezzi il seminario e di mille altre cose, e io penso fra me: ‘‘Oddio, ma quando si decide a venire al dunque?’’.
Alla fine ci arriva, e io, metaforicamente, lo sbatto al muro con queste parole: «Be’, chiunque potrebbe risolvere un problema tanto banale». E mi libero di lui per le spicce. «Uffa, finalmente me ne sono liberato», dico. E la mattina dopo, a colazione (dal momento che sento di essere stato scortese), mi avvicino a lui e gli chiedo: «Come va?». E lui risponde: «Abbastanza bene». E aggiunge: «Vuole sapere una cosa? Quel che mi ha detto ieri sera mi è stato di grande aiuto. Posso vederla oggi, dopo pranzo?». “Oh, no!’’
TROPPE ASPETTATIVE
Un giovane venne una volta a lamentarsi da me per il fatto che la sua ragazza l’aveva deluso comportandosi in modo falso. Di cosa si lamentava? Si aspettava qualcosa di meglio? Aspettatevi sempre il peggio: avete a che fare con persone egoiste. Era lui l’idiota, l’aveva messa su un piedistallo, vero? Pensava che fosse una principessa, pensava che la gente fosse buona. Non è così!
VIVERE NELL’ILLUSIONE
In occasione di una delle mie conferenze, una persona fece la seguente osservazione: «Voglio condividere con voi una cosa meravigliosa che mi è accaduta. Sono andato al cinema; poco dopo mi trovavo al lavoro, e avevo grossi problemi con tre persone. Così mi sono detto: ‘‘Bene, proprio come ho imparato al cinema, adesso uscirò da me stesso per osservare la mia situazione dall’esterno’’. Per un paio d’ore sono riuscito a entrare in contatto con i miei sentimenti di ripulsa nei confronti di quelle persone. Ho detto: ‘‘Odio davvero quelle persone?’’. Un attimo dopo mi sono messo a piangere, perché ho capito che loro non potevano fare a meno di essere com’erano e che forse non se ne rendevano neppure conto. Quello stesso pomeriggio ho deciso di parlare con quelle persone. Ho spiegato loro le questioni aperte che avevo con loro e mi hanno detto che ci avrebbero pensato. Dopo, non ero più arrabbiato con loro e non le odiavo più». Ogni volta che avete un sentimento negativo nei confronti di qualcuno, vivete in un’illusione. C’è qualcosa di sbagliato. Occorre esaminare con coraggio la realtà e affrontarla.
SCHIAVI DELL’INCONSAPEVOLEZZA
La cosa peggiore che possiate fare è dimenticare voi stessi quando vi dedicate agli altri con il cosiddetto atteggiamento altruista. Questo mi è stato insegnato in modo indelebile molti anni fa, quando studiavo psicologia a Chicago. Seguivo un corso di assistenza ai fedeli, dedicato ai preti. Era aperto solo ai preti effettivamente impegnati nell’assistenza ai fedeli, che accettassero di portare in classe una cassetta con la registrazione di un incontro. Dovevamo essere una ventina di allievi. Quando toccò a me, portai una cassetta con la registrazione di un colloquio avuto con una giovane donna. L’insegnante inserì il nastro e tutti iniziammo ad ascoltarlo. Dopo cinque minuti, come faceva sempre, l’insegnante fermò il registratore e chiese: «Qualcuno vuole fare un commento?». Un allievo chiese: «Perché le hai fatto quella domanda?». Io risposi: «Non mi sembra di averle fatto una domanda. Anzi, sono sicuro di non averle fatto alcuna domanda». Lui insistette: «Invece sì». Io ero ben certo di ciò che dicevo, perché a quell’epoca stavo seguendo scrupolosamente il metodo di Carl Rogers, orientato alla persona e tendente a non dare direttive. Non si fanno domande e non si interrompe, né si danno consigli. Per questo ero ben consapevole di non dover porre domande. Tuttavia iniziammo a discutere di questo, e così l’insegnante propose di riascoltare il nastro. Lo riascoltammo e, con mio grande orrore, mi accorsi che avevo fatto senza accorgermene una domanda enorme, alta come l’Empire State Building, una domanda immensa. La cosa interessante, per me, è che avevo ascoltato quella domanda tre volte: la prima volta, presumibilmente, quando l’avevo fatta, la seconda quando avevo ascoltato la cassetta in camera mia (perché volevo portare in classe una buona registrazione) e la terza in classe. Ma non l’avevo registrata con la mente! Non ero conscio.
Dopo aver ascoltato l’intera cassetta, là a Chicago, l’insegnante disse: «Qualcuno ha da fare qualche commento?». Uno dei preti, un cinquantenne che mi piaceva, mi disse: «Tony, vorrei farti una domanda personale. Posso?». Risposi: «Certo, falla pure. Se non vorrò risponderti, non lo farò». Mi chiese: «La donna del colloquio è graziosa?». A dir la verità, tutta la verità, io mi trovavo in una fase del mio sviluppo (o sottosviluppo) in cui non notavo se la persona con cui parlavo fosse o meno di bell’aspetto. Non mi importava. Quella donna era una pecora del gregge di Cristo, io ero un pastore. Dispensavo aiuto. Non era il massimo? Eravamo stati educati in questo modo. E così gli chiesi: «Cosa c’entra?». E lui: «Perché quella donna non ti piace, vero?». E io: «Cosa?!». Non mi aveva mai colpito l’idea che gli individui mi piacessero o meno. Come la maggior parte della gente, provavo occasionalmente una certa avversione che la mia coscienza registrava, ma per lo più il mio era un atteggiamento neutro. Gli chiesi: «Cosa te lo fa pensare?». Rispose: «La cassetta». Riascoltammo la cassetta, ed egli mi disse: «Ascolta la tua voce: senti come si è fatta suadente. Sei irritato, no?». Lo ero, ma me ne rendevo conto solo allora. E cosa le stavo dicendo, in modo sottinteso? Le stavo dicendo: «Non tornare più». Ma non me n’ero reso conto. Il mio amico prete mi disse: «È una donna, e dunque l’avrà captato. Quando la dovresti rivedere?». Risposi: «Mercoledì prossimo». E lui: «Secondo me non verrà». E lei non venne. Attesi una settimana, senza risultato. Attesi una settimana ancora, e non si fece viva. Allora le telefonai. Infransi così una delle mie regole: non essere il salvatore. La ...