La donna di Einstein
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La donna di Einstein

  1. 348 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La donna di Einstein

Informazioni su questo libro

La storia del primo amore del più grande Genio del nostro tempo raccontata anche dalla serie TV "Genius" in onda su National Geographic.
Ci sono amori che fanno la Storia. C'è un personaggio nella vita di Albert Einstein senza il quale la sua storia - e la nostra - non sarebbero quello che sono. Fu il suo più grande amore, ma anche qualcosa di più: la donna che lo ispirò, lo incoraggiò e lo aiutò a concepire quella formula che avrebbe cambiato il mondo.
Mitza Maric era sempre stata diversa dalle altre ragazzine… Appassionata di numeri, fu la prima donna a iscriversi a fisica all'università di Zurigo, più interessata a quello che non a sposarsi come la maggior parte delle sue coetanee. E quando a lezione incontrerà un giovane studente di nome Albert Einstein, la vita di entrambi prenderà la strada che era fin dall'inizio scritta nel destino. La loro sarà un'incredibile unione di anime e menti, un amore romanzesco e tormentato, destinato a finire e, allo stesso tempo, a restare nella storia.
Marie Benedict firma un romanzo potente, intenso e romantico, che è un ritratto di due figure straordinarie, un incredibile affresco storico, e al tempo stesso la grande storia di un amore.

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Informazioni

Parte Seconda

Il cambiamento di moto è sempre proporzionale alla forza motrice impressa, e avviene lungo la linea retta secondo cui tale forza è stata impressa.
SIR ISAAC NEWTON

9

12 aprile 1898
Zurigo, Svizzera

Spolverata di bianco da una tarda nevicata primaverile e coronata dalle guglie ghiacciate delle torri dell’orologio, simili alle eburnee cime di marzapane dei dolci che avevo visto alla pasticceria Schober, Zurigo mi diede il bentornato. Le ragazze e io ci riassestammo in fretta nella nostra routine. Pasti, whist, tè, musica. Ma via via che i giorni si inanellavano avvicinandomi al motivo del mio ritorno, il rientro al Politecnico, tutto ciò che provavo era terrore.
La mancata risposta del signor Einstein alla mia lettera all’inizio mi aveva fatto provare un gran sollievo: potevo riprendere i miei studi universitari senza dover temere i suoi approcci. Però, a mano a mano che si avvicinava il momento di rincontrarlo, la realtà di quel silenzio mi investì in pieno. Gli sarei rimasta seduta accanto in quell’aula per i successivi due anni e mezzo, quanto mancava a terminare il corso. Ma cosa mi sarei dovuta aspettare da lui? Sdegno perché l’avevo respinto? Pettegolezzi tra i compagni per quel nostro unico bacio? Quel legame tra noi sarebbe stato la mia rovina? La mia reputazione di studentessa seria era tutto. Alle donne scienziato non venivano concesse seconde occasioni.
I giorni passavano, e con loro cresceva la mia paura che quel ritorno a Zurigo fosse stata una scelta tutt’altro che saggia.
Il primo giorno del semestre, posticipai l’ingresso in classe fino all’ultimo istante. Ma quando udii il grattare delle sedie che venivano spinte sotto i banchi, mi resi conto che non potevo aspettare oltre. Mi decisi, aprii la porta e notai subito che la mia solita postazione era vuota. Le altre erano occupate dai cinque studenti che già vi avevano stazionato l’anno precedente. Nessun allievo nuovo era entrato nella Sezione VI A nel corso del semestre invernale che io avevo saltato, e nessuno dei vecchi si era ritirato. La seggiola mi aveva atteso per tutto quel tempo? Aveva un’aria derelitta, proprio come mi sentivo io. Vi claudicai piano, badando a tenere lo sguardo inchiodato sul mio banco senza permettergli di vagare, ma sentendomi addosso gli occhi castani del signor Einstein.
Una volta preso posto, mi concentrai solo sul professor Weber. In un primo momento fece come se fossi invisibile. E poi, d’un tratto…
«Vedo che la signorina Marić ha deciso di tornare tra noi da quel di Heidelberg. Per quanto sia certo che avrà assistito a qualche esperimento interessante durante questo suo congedo sabbatico, mi chiedo se riuscirà a mettersi al passo con i concetti cruciali che voi tutti avete imparato a padroneggiare nel primo semestre di quest’anno. L’anno miliare del mio corso di fisica, vi ricordo, quello su cui si fonda il vostro diploma universitario.»
E poi partì con la lezione.
Rossa in viso per quei commenti molesti, mi misi a prendere appunti con la stessa rapidità con cui lui parlava. Il messaggio era chiaro: il mio semestre a Heidelberg era stato recepito male, da Weber e da chissà chi altri, e di certo non dovevo aspettarmi un occhio di riguardo. Ricordai a me stessa che tornare lì era stata la scelta giusta, che avevo rivendicato il mio diritto di diventare docente di fisica a dispetto del signor Einstein. Non potevo concedermi di mostrare debolezze, né con Weber né con nessun altro del Politecnico. Avevo lavorato sodo – più di qualunque mio compagno, e di sicuro più del signor Einstein – per arrivare lì, per prendere in esame gli interrogativi che i filosofi si ponevano da sempre, quelle domande cui le più grandi menti scientifiche dei nostri giorni erano sul punto di rispondere: la natura di realtà, spazio, tempo, e i loro contenuti. Volevo analizzare i principi di Newton – le leggi di azione e reazione, forza e accelerazione e gravitazione – e studiarli alla luce delle ultime ricerche sugli atomi e sulla meccanica per vedere se esistesse una teoria unica in grado di spiegare quella che in apparenza era una serie infinita di fenomeni naturali differenti e caos. Morivo dalla voglia di sviscerare le idee più recenti in merito al calore, alla termodinamica, ai gas e all’elettricità, così come le loro basi matematiche: i numeri erano l’architettura di un enorme sistema fisico sotteso a tutto. Era la lingua segreta di Dio, non avevo dubbi. Quella era la mia religione, ero partita per una crociata, e i crociati non si possono permettere fragilità. Sentendomi addosso gli occhi del signor Einstein, ricordai a me stessa che i crociati non si permettono nemmeno idilli amorosi.
«Per oggi basta così, signori. Questa sera voglio che ripassiate Helmholtz. La prossima volta intreccerò le sue teorie a quanto visto oggi.» Weber ci scoccò un’occhiata caustica e uscì dall’aula, con la toga che strisciava sul pavimento. A parte il fatto che chiaramente ce l’aveva con me, chissà cos’altro avevamo combinato per meritarci la sua ira? C’era una miriade di modi in cui ogni volta ci rivelavamo indegni di lui, che aveva studiato con i grandi maestri della fisica Gustav Kirchhoff e Hermann von Helmholtz.
Il chiacchiericcio cominciò solo quando l’insegnante fu a distanza di sicurezza. I signori Ehrat e Kollros mi diedero un caloroso bentornata, e il signor Grossmann mi salutò con un inchino. Contraccambiai parole e gesti gentili con una piccola riverenza, ma proprio allora mi accorsi che si stava avvicinando il signor Einstein. Mi affrettai a riporre i libri e infilare il cappotto per precipitarmi fuori. Quel momento imbarazzante non doveva per nessuna ragione svolgersi davanti ai nostri compagni. La mia reputazione e il fragile rapporto che avevo costruito con loro avrebbero subito un duro colpo.
Tonfo, trascinata. Il rumore dei miei passi disuguali riecheggiò nel corridoio vuoto. Pensavo di essere riuscita a sfuggire, ma poi udii un tacchettio affrettato alle mie spalle. Era lui.
«Lo so che è arrabbiata con me.»
Non risposi. Neppure smisi di camminare. Le mie emozioni erano talmente instabili che avevo paura di aprire bocca.
«Ha ragione a essere seccata. Non le ho mai risposto. È stato davvero villano da parte mia, e ingiustificabile» si scusò.
Rallentai il passo, ma continuai a tacere.
«Non so bene cos’altro fare, a parte chiedere perdono e implorare la sua indulgenza.» Ammutolì.
Ci pensai su. Non sembrava risentito per il mio rifiuto. Ero io ad avercela con lui? Davvero mi stava solo offrendo delle scuse, senza chiedere altro? Rivederlo aveva riacceso tutti i soliti sentimenti: tenerezza, affetto, persino voglia di resa. Erano le sue scuse, e solo quelle, la cosa che desideravo? Non ne ero sicura, ma non potevo tornare indietro. Avevo immolato un semestre intero per garantirmi una strada indipendente, e avevo fatto delle promesse a papà. Dovevo fingere ciò che non provavo.
«Ma certo che la perdono per non avermi risposto.» La voce mi era uscita atona, formale. E dai! Sii la solita vecchia Mitza che lo prendeva in giro. Vuoi che il vostro rapporto torni alla normalità, no? Agisci come se non fosse successo nulla. «Dopotutto lei mi ha perdonata per essere stata via, no?» aggiunsi sarcastica.
Il viso gli si aprì in un sorriso. «Che sollievo, signorina Marić! È partita tanto in fretta, temevo…» Tacque di colpo. Sapevo che stava per nominare il nostro bacio, ma grazie al cielo ci ripensò. «Sono sicuro che non si pentirà di essere tornata, anche se nella nostra facoltà non abbiamo professori insigni come quelli di Heidelberg. Nessun Lenard, qui.»
Chiese di potermi accompagnare in biblioteca e acconsentii. Attraversammo la piazza mentre mi intratteneva con aneddoti legati ai più recenti dibattiti divampati al Café Metropole, alle sue scarpinate sui monti circostanti Zurigo e alle uscite in barca a vela sul lago, cui di recente si era dedicato. Le storie fluivano una dopo l’altra con tanta scioltezza che ebbi l’impressione che se le fosse ripetute tra sé apposta per potermele raccontare.
«Deve proprio venire in barca con me e il signor Besso, appena arriverà il bel tempo. Forse potrebbero unirsi a noi anche le sue amiche della pensione? Hanno l’aria di essere un gruppetto intraprendente» commentò mentre entravamo in biblioteca.
«Non sarà un po’ troppo pericoloso? Da come l’ha descritto…» lo presi in giro.
Un bibliotecario di passaggio ci guardò di traverso, così come due studenti irritati dal nostro tono, perciò ci azzittimmo e ci accomodammo in due cubicoli adiacenti. Il signor Einstein pescò nel disordine della sua cartella e tirò fuori una pila di taccuini. Di norma a lezione ne portava solo uno. Probabile che fossero per me. E infatti…
«Qui troverà tutto il necessario per mettersi in pari» sussurrò porgendomeli. «Ci sono appunti delle lezioni di Hurwitz sulle equazioni e il calcolo differenziale, e dovrei aver messo anche quelli di Herzog sulla resistenza dei materiali. Per quanto riguarda i discorsi di Weber sulle proprietà del calore, ho fatto il possibile per non tralasciare nulla. Ah, e mi sono ricordato anche gli appunti sulla geometria proiettiva e sulla teoria dei numeri di Fiedler.»
Li scartabellai e mi sentii mancare. Avevo cercato di tenermi in esercizio mentre ero a Heidelberg, ma davvero erano andati tanto avanti? Come avrei fatto a rimettermi in pari? Non solo mi ero persa metà delle lezioni chiave di Weber, ma anche tutti quegli altri corsi fondamentali. Se volevo anche soltanto iniziare a capire le mie lezioni del momento, per non parlare di quelle future, dovevo arrivare a conoscere a menadito tutto ciò che c’era su quei taccuini. Per la prima volta mi resi conto di quanto fosse stato stupido andare via per un semestre. Mi resi conto di come, nel tentativo di essere forte e non lasciare che un uomo mi allontanasse dalla mia strada, gli avessi di fatto concesso di dettarne il percorso.
Tirai fuori un sorriso, ma doveva essere esangue. Senza dubbio il signor Einstein mi lesse la preoccupazione in volto, perché smise di cianciare di teorie e calcoli che avrei dovuto imparare a padroneggiare e mi scrutò, senza più pensare a se stesso, per un istante. Mi posò una mano sul braccio, cercando di rassicurarmi. «Andrà tutto bene, signorina Marić. La aiuterò io.»
Trassi un respiro profondo. «Grazie, signor Einstein. È stato davvero generoso e disponibile a radunare tutti questi appunti per me. Tanto più dopo che me ne sono andata come ho fatto e…»
Scosse appena la testa. «Non c’è bisogno di parlarne» mi disse in un tono grave che non gli avevo mai sentito prima. «Lei sa cosa provo, e ha chiarito la sua posizione. Non andrò certo contro i suoi desideri e le garantisco la mia perpetua amicizia. Non ho nessuna intenzione di mettere a rischio il nostro rapporto.»
«La ringrazio.» Mi sentivo più combattuta che mai.
La sua mano mi corse su e giù per il braccio in una carezza gentile. «Sappia solo che sarò qui ad aspettarla. Dovesse mai cambiare idea.»
Cercai di elaborare quelle parole mentre lui toglieva la mano e tornava a rivolgermi il solito sorriso malandrino. «E ora al lavoro, piccola fuggiasca!»

10

8 giugno 1898
Zurigo, Svizzera

«Come può ignorare i teorici moderni? Per un uomo di scienza è una cosa del tutto irragionevole!» Il signor Einstein gesticolava infervorato rivolgendosi a me e ai signori Grossmann, Ehrat e Kollros al Café Metropole. Lo ascoltavo e intanto pensavo che, sotto molti aspetti, le mie giornate trascorrevano identiche a prima che partissi per Heidelberg. O anche meglio. Proprio come lui aveva promesso.
Guardai i nostri compagni di corso mentre Einstein continuava a inveire. Avevamo preso l’abitudine di recarci nel nostro caffè preferito tutti i venerdì, al termine dell’ultima lezione, e i miei colleghi si erano rivelati molto più affabili e amichevoli di quanto avessi pensato. E più umani, anche. Avevo scoperto che il signor Ehrat era molto ansioso e faceva una gran fatica a tenersi al passo all’università. Il signor Kollros, che arrivava da un paesino della Francia, gli assomigliava parecchio, a parte il suo forte accento francese. Rampollo di un’antica casata aristocratica svizzera, il signor Grossmann era l’unico ad avere un vero talento naturale, soprattutto per la matematica.
Tra un sorso di caffè e una tirata di sigaro, tutti esprimemmo la nostra frustrazione per la cocciutaggine con cui il nostro docente si ostinava a prendere in considerazione solo le teorie dei fisici classici, rifiutandosi categoricamente di sondare le idee più recenti. Il viso del signor Einstein esprimeva rabbia allo stato puro. Una volta capito che Weber non avrebbe preso in esame nulla che fosse successivo alle teorie del suo adorato insegnante Helmholtz, il che significava escludere argomenti di grande attualità quali la meccanica statistica o le onde elettromagnetiche, era diventato furibondo.
Gettai uno sguardo all’orologio mentre lui elencava quelli che riteneva i difetti del nostro professore di fisica. Dovevamo uscire in fretta o avremmo fatto tardi all’appuntamento con le ragazze per il solito concertino, e non avevo nessuna intenzione di deluderle, come il signor Einstein ben sapeva. Gli scoccai un’occhiata e richiamai la sua attenzione sull’ora, e lui balzò subito in piedi.
Nel tentativo di fare il prima possibile non badammo molto alle pozzanghere, lanciavamo schizzi da tutte le parti. Una leggera pioggerella, una folla di ombrelli e le risate rallentarono il rientro alla pens...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA DONNA DI EINSTEIN
  4. Prologo
  5. Parte Prima
  6. Parte Seconda
  7. Parte Terza
  8. Epilogo
  9. Nota dell’autrice
  10. Ringraziamenti
  11. Copyright