Da grande farò il calciatore
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Da grande farò il calciatore

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Da grande farò il calciatore

Informazioni su questo libro

Pietro ha due passioni: il calcio e la piccola isola dove vive con la mamma. Il giorno del suo compleanno seduto in cucina, trova laki il Magnifico, il suo calciatore preferito, il suo mito!

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Informazioni

Print ISBN
9788838435584
eBook ISBN
9788858500576

1

Nello spogliatoio
dell’Inter

CHI L’AVREBBE detto che per giocare a calcio servono anche le foche e i canguri? Eppure è così. Le vedete tutte queste scarpe da pallone allineate davanti alle panche? Sono state fatte con la pelle di canguro e sono state lucidate con il grasso di foca, che le rende morbide e impermeabili.
Poi uno si chiede come mai i calciatori saltino così tanto. Per forza… hanno i canguri ai piedi!
Questo è lo spogliatoio dell’Inter. Tra poco entreranno i giocatori a cambiarsi, perché tra un’ora comincia la partita. Come vedete, le loro divise da gioco sono già pronte: a ogni attaccapanni è appesa una maglietta nerazzurra; sotto, ben piegati sulla panca, potete vedere i calzoncini e i calzettoni; e ai piedi delle panche, come vi ho detto, ci sono le scarpe di ognuno, pulite e lucide di grasso. Tutto in ordine, come se l’Inter avesse una mamma…
Eccolo il posto di Iaki: la sua maglia numero 9, i suoi calzettoni, i suoi calzoncini e le sue scarpe rossicce. Queste lunghe come due barche, invece, sono le scarpe di Francesco Toldo, il portiere: ha due piedoni enormi e due manone che sembrano pale per infornare la pizza. Io ho quasi paura a salutarlo, Francesco. Prima o poi mi ridurrà la mano in un purè di ossicine…
Il lettino al centro della stanza? No, non serve per un riposino dopo il primo tempo… Su questo lettino si fanno i massaggi.
Tra poco i giocatori entreranno nello spogliatoio, si toglieranno scarpe e vestiti, poi, in mutande, a turno, si sdraieranno sul lettino per farsi massaggiare le gambe. È un po’ come fare la punta alla matita prima di disegnare.
Se i muscoli non sono belli caldi e sciolti, un giocatore rischia di farsi male al primo scatto, soprattutto se la giornata è molto fredda.
I massaggiatori dell’Inter, Marco e Massimo, sono due fratelli molto in gamba, che hanno imparato il mestiere dal loro papà; un po’ come mio padre, che aveva imparato dal suo il lavoro del faro.
Per fare i loro massaggi usano l’olio e, alla fine, le cosce dei calciatori, tutte unte, sembrano dei polli spennati da mettere in forno… L’olio ha un profumo buonissimo, si chiama olio canforato. È il vero profumo del calcio, per me.
IL CALCIO non è soltanto un pallone da prendere a pedate, per me è una specie di paese in cui vado spesso perché ci trovo tante cose che mi piacciono un sacco. La nebbiolina delle docce, per esempio.
È bellissimo starsene fermi, immobili, sotto la doccia a discutere della partita appena finita con i tuoi compagni di squadra che vedi e non vedi, perché il vapore dell’acqua calda ha riempito la stanza di una specie di fumo. Parli, discuti e intanto la pioggia dello spruzzino si porta via il fango e il bagnoschiuma.
E poi la musica dei tacchetti. Se c’è un suono che mi piace e che non smetterei mai di ascoltare è quello che fanno i tacchetti delle scarpe da calcio sulle piastrelle dello spogliatoio, soprattutto quando ci muoviamo tutti insieme verso il campo e si sente l’orchestra di una trentina di scarpe da calcio… Tic, tic, tic, tic… È come una stanza piena di segretarie che scrivono a macchina, decine di sveglie che battono il tempo. Tic, tic, tic…
Non dimenticherò mai la prima volta che ho suonato io quella musica.
Le mie non erano in pelle di canguro, ma di plastica ruvida, coi tacchetti di gomma. Forse non erano le scarpe più belle del mondo, ma per me sì perché erano le mie prime, vere, scarpe da calcio.
art
La mamma me le fece trovare sul letto la mattina di Natale.
Io me le infilai e, senza neanche togliermi il pigiama e lavarmi la faccia, corsi al faro. Feci tre volte su e giù tutti i 124 gradini fino alla lampada, avanti e indietro per tre volte, ascoltando la canzone dei tacchetti. La mia prima canzone!
Mi piace anche quando giochiamo al mattino presto e il pallone, correndo sul prato, solleva le goccioline di rugiada. Ecco, il paese del calcio, fatto di nebbie, rugiada e tacchetti che cantano, per me ha il profumo dell’olio canforato che usano i massaggiatori.
Ma ora usciamo da questa stanza. Sto diventando troppo romantico. Mi succede sempre, con l’olio canforato.
DIETRO LA PORTA col cartello “Ospiti” c’è lo spogliatoio degli avversari. Lì si cambieranno i giocatori che tra un’ora affronteranno l’Inter.
Attraverso quella porta, invece, entrerà l’arbitro con i due guardalinee.
Seguitemi ora. Per di qua. Eccoci. Dopo essersi cambiati e aver fatto i massaggi, i giocatori verranno in questa piccola palestra per il riscaldamento: corsette, piccoli scatti, un po’ di ginnastica, tutto ciò che serve per sciogliere bene i muscoli ed essere nelle migliori condizioni possibili al momento di iniziare la partita. Siccome il pavimento della palestra è duro e scivoloso, i calciatori faranno il riscaldamento con le scarpe da tennis. Si infileranno quelle coi tacchetti solo al momento di scendere in campo.
A quel punto le due squadre usciranno dai loro spogliatoi e si fermeranno davanti a quello dell’arbitro che verrà fuori con il pallone in mano. Un pallone nuovo di zecca. L’arbitro chiederà ai capitani se sono pronti e ordinerà a tutti di seguirlo. Javier Zanetti, con la fascia di capitano al braccio sinistro, si metterà al fianco dell’arbitro e tutti gli interisti si schiereranno in fila dietro di lui. Lo stesso faranno gli avversari, allineati dietro al loro capitano.
Così disposti, percorreranno il breve tragitto indicato dalle frecce appese alle pareti del corridoio - voi continuate a seguirmi - e si ritroveranno ai piedi di una scalinata di cemento, perché gli spogliatoi stanno più in basso rispetto al campo, sono interrati come una cantina. Eccoci qui.
Se alzo la testa vedo la luce di fuori, come al mare quando mi immergo per pescare i ricci e, tornando su, vedo la luce della superficie.
Manca ancora un’ora all’inizio della partita, ma lo stadio dev’essere già pieno perché si sentono i cori dei tifosi. Salire questa scala sarà come alzare il volume dei canti, perché a ogni scalino la voce della gente arriverà sempre più potente finché le due squadre si affacceranno in campo e allora tutto lo stadio diventerà un unico boato di urla e di applausi. Aveva ragione zio Oreste quando, per descrivermi San Siro, mi diceva: «Immagina una radio enorme posata in mezzo a un posteggio pieno di macchine».
Tra un’ora emergerò in superficie, alla luce di un grande stadio, finalmente. Tutti i passi che ho fatto in vita mia, compresi quelli a gattoni inseguendo una pallina di gomma a quattro zampe, li ho fatti per arrivare un giorno davanti a questa scala. Ancora pochi scalini e avrò percorso per intero il mio sogno di piccolo calciatore.
Quanti anni ho? Dieci. Sì, dieci, avete capito bene. Dieci anni e tra un’ora scenderò… anzi, salirò in campo a San Siro con l’Inter di Iaki, il Magnifico.
No, un momento! Dove andate? Vi prego, amici! Aspettate, prima di darmi del bugiardo e buttare via questo libro! Vi prego!
È tutto vero e se avrete la pazienza di ascoltare la mia storia ve ne renderete conto. È una bella storia, sul serio, e neppure tanto lunga. Dura solo un anno. Cioè, non è che ci metterò un anno a raccontarvela, tranquilli: i fatti di cui voglio parlarvi e che mi hanno portato davanti a questa scala sono accaduti nell’ultimo anno, ma io ci metterò molto meno a ricordarli. Promesso. Anzi, guardate, inizio subito per non perdere tempo.
Mi chiamo Pietro.

2

Mamma mia,
che regalo!

TUTTO COMINCIÒ un giorno di agosto del 2000, l’11 agosto per essere precisi. Posso dirlo con assoluta certezza perché era il giorno del mio compleanno.
Vito mi aveva regalato le racchette di legno per la spiaggia, Sara un cd degli 883. Come al solito avevamo passato la giornata in acqua, nuotando e giocando a un po’ di tutto: a pallone, ai tuffi dagli scogli, alla battaglia di spruzzi, al tesoro dei pirati: lattine nascoste sul fondo e ripescate con la maschera.
Siamo cresciuti in mare, noi tre, tanto che un po’ assomigliamo ai pesci… Mio cugino Vito può restare con la testa sott’acqua anche due minuti e se si tuffa a riva è capace di spuntare quasi al faro; Sara ha una strana pellicina tra le dita dei piedi che li fanno sembrare delle pinne; io con un fischio speciale so far uscire i granchi dagli scogli.
Durante le vacanze estive abbiamo sempre uno strato di sale sulla pelle scura, una specie di ombra bianca che ci togliamo soltanto la sera sotto la doccia, prima di andare a dormire.
È inutile chi mi parliate dei Caraibi o delle Maldive. Anche se non li ho mai visti, so già che il mio mare, blu e pieno di sole, è il più bello di tutti. Non chiedetemi perché, ma ne sono sicuro.
Il mio mare è quello della Sicilia, o, meglio, dell’isola di Roccaventusa, dove abitiamo.
Cioè, a essere veramente pignoli, solo Vito e Sara abitano sull’isola di Roccaventusa, io vivo su uno scoglio che sta a cinque minuti di barca da Roccaventusa. È uno scoglio grande come la metà di un campo da calcio, sul quale sta la mia casa, l’orto della verdura, un faro alto trenta metri e una spiaggetta di sabbia con un pontile di legno. Il resto è tutta roccia.
La mia casa è bianca e ha tre stanze: la cucina dove mangiamo e guardiamo la televisione, la camera della mamma e la mia. Più un bagno con la doccia e un ripostiglio. Io dormo in un letto a castello.
Mia mamma si chiama Selene, che vuol dire luna, è ancora giovane e bella come Monica Bellucci, e di lavoro si occupa del faro. Ho un cane nero di razza indecifrabile, Giacomo, che ha il coraggio di un coniglio: appena sente il grido di un gabbiano, si accuccia tra gli scogli con le zampe sulla testa. Meno male che, in mezzo al mare, un cane da guardia serve poco. Con una sentinella come Giacomo, sarebbe come consegnare le chiavi di casa in mano ai ladri…
Ho anche una tartaruga di nome Giovanna e un gatto rosso, Claudio, che insegue i granchi come fossero topi.
Io non sopporto i nomi finti che si danno sempre agli animali: Fuffi, Lillo, Bobbi… A me piace chiamarli come le persone: mi sembra di trattarli meglio.
Attraccata al pontile teniamo una piccola barca a motore che però non usiamo quasi mai perché il vecchio Salvo è sempre pronto a traghettarci: mi porta a scuola, mi riporta a casa e torna a riprendermi nel pomeriggio, accompagna mia madre sull’isola quando deve fare la spesa, viene a caricarci la domenica mattina per la messa… Di notte esce a pescare, ma durante il giorno la barca di Salvo è a nostra completa disposizione. Basta che suoniamo la vecchia campana del pontile e lui arriva.
Non prende un soldo per tutti questi viaggi, ma noi non ci sentiamo in colpa. Sappiamo benissimo che lo facciamo solo contento, perché gli diamo l’occasione di rendersi utile e di togliersi un piccolo peso da dentro. A ogni viaggio un sassolino in meno. È una storia un po’ strana, più avanti forse ve la racconterò. C’entra anche mio papà che non c’è più.
MA TORNIAMO a quell’11 agosto 2000. Era quasi sera, ormai. Stavo camminando proprio verso la barca di Salvo per farmi riaccompagnare a casa dopo una giornata di giochi alla spiaggia Paradiso. Arrivai al porto di Roccaventusa e trovai una confusione terribile. Non meno di cinquanta persone sul molo. Naturalmente tra mille voci si sentiva solo quella di zio Oreste. Lui parla sempre.
Un po’ è colpa del suo lavoro, perché si sa che i parrucchieri hanno la lingua lunga. Zio Oreste ha un negozio proprio in piazza: Lo Scalpo.
Lo so che non è un nome molto incoraggiante. Tutti abbiamo provato a spiegargli che quando gli indiani facevano lo scalpo ai visi pallidi non era per accorciargli le basette, ma per scotennarli. I clienti di Roccaventusa potevano anche spaventarsi. Ma lui: niente. Gli piaceva quel nome e quel nome ha messo sull’insegna del negozio, accanto alla faccia pitturata di un indiano.
Quando non chiacchiera, zio Oreste canta le canzoni di Domenico Modugno, il suo cantante preferito. Forse “canta” non è il verbo giusto, sarebbe meglio dire “urla”, visto che una volta don Walter è uscito di corsa dalla chiesa per chiedere a zio Oreste di abbassare la voce perché i fedeli non riuscivano a sentire la predica.
Mi feci largo tra le gambe della gente ammassata al porto: – Cos’è successo, zio?
Zio Oreste aveva in mano un fazzoletto con cui si asciugava la fronte. Sembrava che avesse la febbre. Sudava tanto perché aveva al collo una strana sciarpa nerazzurra. Dico “strana” perché era di lana e quella sera d’agosto il termometro segnava 32 gradi.
– Un miracolo, Pietro! – mi rispose. – C’è Iaki sull’isola! Il Magnifico! L’ho fatto entrare nel mio negozio!
– Gli hai tagliato il treccino? Ma cosa ti è saltato in mente, zio? –. La gente scoppiò a ridere.
– Ma no, gli ho solo rifatto il treccino…
– E adesso dov’è?
– Lo stiamo aspettando. È uscito in mare con un motoscafo bellissimo, ma deve ritornare. Alloggia all’Hotel Panorama. Ha prenotato una stanza in gran segreto, con un altro nome. Io l’ho saputo da Nando, il cameriere del Panorama. Gli ho promesso in cambio dieci tagli gratis più un tubetto di gommina, e lui ha confessato. Iaki dorme lì!
– Lo aspettiamo per festeggiarlo – disse agitato Tonino il fruttivendolo, che mia mamma però chiama “l’Orefice”, perché, a giudicare dal prezzo, i suoi pomodori sembrano ripieni d’oro. Aveva in mano una bandiera dell’Inter, come Guglielmo il postino, che aggiunse: – Io gli dirò di guarire bene perché lo vogliamo vedere presto in campo. Quest’anno dobbiamo vincere lo scudetto. Giusto?
art
– Giusto!!! – urlarono tutti in coro. Poi zio Oreste, col suo vocione, intonò la famosa canzone degli interisti e tutti gli andarono dietro: – Senza il Magnifìco, non vincerete un fico! Senza il Magnifìco non vincerete un fico!
Attenzione, però. Per cantarla bene dovete parlare come Stanlio e Ollio, cioè spostare l’accento sulla seconda “i”: Magnifìco. Altrimenti la rima con “fico” non viene bene. Capito?
Sarei rimasto con loro in attesa di Iaki anche tutta la notte, ma Salvo mi stava già aspettando sulla barca, ero in ritardo. Poco male, l’avrei incontrato sicuramente il giorno dopo.
Non ci potevo credere: Iaki, il calciatore più bravo del mondo, il centravanti della mia squadra del cuore, quello che chiamano “il Magnifico”, dorme a cinque minuti di barca dal mio letto!
Lo dissi subito a Salvo, appena saltato in barca, e lui rispose: – Ah –. Tutto qui, sollevando un poco il mento: – Ah.
Ma a Salvo il calcio non piace e parlare gli piace ancora meno. I nostri viaggi dall’isola allo scoglio, e viceversa, sono lunghi silenzi. Ogni tanto, mentre rema, solleva il suo cappello di paglia che sembra l’avanzo di un pranzo di topi e mi sorride. Io gli sorrido ed è tutto. Non servono parole, ognuno sa benissimo che cos’ha in testa l’altro. È un silenzio buono.
Voglio dire, io gli amici li riconosco anche dal silenzio. Ci sono persone con cui faccio fatica a restare zitto; dopo pochi secondi di silenzio mi viene da dire qualcosa perché a starmene lì muto, vicino a loro, mi sento in imbarazzo. Con Sara e Vito, invece, potrei starmene su uno scoglio a pescare un giorno intero senza dire una parola. Anche con mia mamma, naturalmente. Con zio Oreste non lo so, perché non ho mai fatto la prova: parla sempre… Suo figlio Vito è come lui: un chiacchierone, però mi fa più ridere del solletico... Ne inventa di tutti i colori. Come quella volta che qualcuno disse «freddo cane» e lui se ne venne fuori con «freddo Giacomo», che è il mio cagnolone…
Io invece sono come mio papà che, mi hanno detto, parlava p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. 1. Nello spogliatoio dell’Inter
  5. 2. Mamma mia, che regalo!
  6. 3. Una stella sul letto
  7. 4. Le torture di Oscar
  8. 5. Simone e i due cagnolini
  9. 6. Bianchi, Porfirio Bianchi
  10. 7. La finta del granchio
  11. 8. Le torture di Sara
  12. 9. Ma io non sono un terzino!
  13. 10. Una lettera al prosciutto
  14. 11. Anche i tonni decidono così
  15. 12. L’Oliva, il Poeta, il LampaDario
  16. 13. Un elastico al pollicione
  17. 14. Ora ti ho capito, papà
  18. 15. Specialità treccini
  19. 16. La luna al terzo piano
  20. 17. Faro-farò!!!
  21. Come diventare un calciatore di serie A
  22. Indice