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Principesse del Regno della Fantasia - 1. Principessa dei Ghiacci
- 280 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
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Principesse del Regno della Fantasia - 1. Principessa dei Ghiacci
Informazioni su questo libro
Vi fu un tempo in cui esisteva il Grande Regno, un immenso territorio ai confini del Regno della Fantasia. Un mago malvagio governava su tutto il reame, fino a quando un valoroso cavaliere lo sconfisse. Poi bandì ogni magia e divise tutto il reame in cinque regni affidandoli alle sue figlie: le Principesse del Regno della Fantasia. Ma ora qualcuno cerca di riunificare i Cinque Regni, qualcuno che vuole conquistare il cuore di Nives, la principessa del Regno dei Ghiacci Eterni.
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Informazioni
Editore
EDIZIONI PIEMMEAnno
2010Print ISBN
9788856603989eBook ISBN
9788858500668PARTE PRIMA
1
L’invito segreto
Una figura incappucciata sgattaiolava silenziosa lungo i corridoi deserti del castello di Arcandida. Di tanto in tanto si appiattiva contro le pareti di ghiaccio e si metteva in ascolto: sembrava non esserci anima viva.
Era presto. Il sole doveva ancora sorgere e c’era tutto il tempo perché la misteriosa figura facesse quello che doveva. Con passo affaticato salì l’ampia rampa di scale coperta da un sontuoso tappeto verde e raggiunse una grande porta di legno scuro a doppio battente. La spinse con una mano, ma riuscì ad aprirne poco più che uno spiraglio, appena sufficiente per far scivolare all’interno la sua figura.
La stanza era enorme, perfettamente circolare e tappezzata di libri in ogni angolo. Ogni cosa era avvolta dal manto grigio delle ultime ore della notte e solo una piccola luce si muoveva incerta lungo uno dei piani della libreria.
– Signor Haldorr – chiamò sottovoce la figura incappucciata.
La luce si fermò, poi cominciò a scendere fino ad avvicinarsi al pavimento di marmo che, una volta illuminato, rivelò meravigliosi motivi floreali.
La vecchia lampada a olio mostrò i contorni del viso di Haldorr, il bibliotecario di Arcandida. Erano tratti spigolosi, che sottolineavano un’espressione assorta in pensieri lontani. Gli occhi erano scuri e asimmetrici, il naso era talmente adunco che quasi toccava il labbro superiore. Ma il suo sorriso, aperto e gioviale, rasserenava tutto, come il sole che stava per sorgere.
– Buongiorno, contessa Berglind. Scusate se vi ho fatto attendere – disse Haldorr, alzando alla luce la piccola boccetta scura che tratteneva nell’altra mano.
La contessa Berglind si fece cadere il cappuccio sulla schiena e si avvicinò per vedere meglio.
Era un’anziana donna dai capelli d’argento, raccolti in un ordinato chignon che, come un piccolo puntaspilli, le adornava la nuca. Per quanto avesse passato da tempo i settant’anni, aveva una pelle rosea e liscia, che le difficoltà della vita non sembravano aver segnato.
Solo la vista la tradiva, e anche stavolta non le permise di leggere l’etichetta sulla boccetta: ‘Inchiostro Hekta’.
– Siete sicuro che questo inchiostro faccia al caso nostro? – domandò l’anziana nobildonna strizzando gli occhi nella speranza di captare qualche lettera.

– Ne sono certo. Potete stare tranquilla... – la rassicurò il bibliotecario. – Si tratta di un inchiostro speciale. Unico, direi. Ho raccolto personalmente alle pendici del vulcano Hekta la brina con cui lo diluisco. È una ricetta antichissima.
La contessa sembrava impressionata dalla spiegazione di Haldorr, che spalancava gli occhi per dare maggior enfasi alle sue affermazioni.
– Quindi ciò che scriveremo apparirà solo agli occhi del destinatario dell’invito? – chiese la contessa.
– Proprio così, impedendo dunque a persone sbagliate di leggere il contenuto del messaggio.
– Ottimo! A questo punto direi che è tutto pronto!
– Dobbiamo solo avvertire la principessa Nives...
La contessa si rabbuiò per un istante. Poi, quasi per scacciare un pensiero, sventolò una mano davanti al viso, sorrise e disse: – Grazie Haldorr, penserò io a Nives. Andrà tutto per il meglio, vedrete. D’altronde non possiamo fare diversamente: è giunto il momento che mia nipote prenda marito.
– Certo, contessa. Vi aiuterò a preparare gli inviti e domani i lupi li consegneranno alle foche messaggere perché attraversino il Mare dei Passaggi e li portino a destinazione.
– Perfetto. Siete un aiuto prezioso, Haldorr.
Poi l’anziana donna si rimise il cappuccio sulla testa e uscì dalla biblioteca.
Haldorr rimase solo e si fermò ad attendere l’alba.
Il primo raggio di sole entrò dalla grande finestra della stanza e avvolse la sua magra corporatura in un fascio di luce rosata. Lui osservò per qualche istante l’ombra proiettata alle sue spalle e ricordò quanto amava creare figure d’ombra quando era bambino. Quindi sollevò gli occhi verso la grande cupola della biblioteca, tutta dipinta come se portasse con sé altre centinaia di libri e, lassù, Haldorr perse lo sguardo e i pensieri.
2
La principessa Nives
Il giorno seguente era una splendida giornata di sole.
Dopo il rigido inverno polare, il bel tempo e la temperatura più mite infondevano buonumore e allegria nei cuori degli abitanti del castello. Con il sole alto nel cielo era più facile svegliarsi felici e operosi.
Nelle grandi cucine del secondo piano, le due cuoche, Arla ed Erla, erano già ai posti di combattimento davanti ai fornelli, impegnate in un’accesa discussione.
– Arla, non insistere! Abbiamo fatto la torta di pere due giorni fa. Oggi è il turno delle mele – affermò Erla stringendo una mela rossa nella mano sinistra.
– Non se ne parla nemmeno, Erla! – ribatté la sorella, con la sua pera in mano. – Si fa quella di pere.
Arla ed Erla erano sorelle, ma non si assomigliavano per niente. Erla, la più anziana, era alta e magrissima, tanto che bisognava guardarla di fronte per accorgersi del suo passaggio. La più giovane invece era l’esatto contrario: bassa e cicciottella, aveva la stessa forma da qualunque parte la si guardasse. I loro caratteri, però, erano molto simili: cocciute e determinate, erano in perenne disaccordo, pronte a discutere ogni cosa fino all’ultimo dei dettagli.

– Ti dico che sarà di mele!
– Ah no! Sarà di pere, oppure...
– E se ne faceste una con pere e mele? – intervenne una voce alle spalle delle due cuoche.
– Principessa Nives, buongiorno! – salutarono in coro, colte un po’ alla sprovvista.
La principessa di Arcandida era particolarmente bella, quella mattina. Il suo viso dolce e candido era eccezionalmente luminoso e il suo sguardo spesso glaciale era calmo e disteso. Sembrava aver dormito a lungo e bene.

Nives ricambiò il saluto delle due cuoche ed entrò in cucina con un bel sorriso.
Indossava un abito piuttosto semplice, ma di una particolare seta preziosa lavorata con la lana. Un abito blu notte che portava con innata grazia ed eleganza, come un fiore porta i suoi petali.
Arla ed Erla si scambiarono uno sguardo d’intesa. Poi Arla, la più pettegola, commentò: – È un giorno di svago, principessa Nives? – alludendo all’abito non proprio in linea con l’etichetta di corte.
– Vado al Grande Albero con Gunnar – rispose la principessa con semplicità. A quel pensiero un sorriso veloce le attraversò gli occhi chiarissimi. Adorava correre al galoppo con Gunnar per i ghiacci del suo amato regno. In questa stagione, la più mite dell’anno, Nives si sentiva rifiorire e la cavalcata al Grande Albero era una vera e propria rinascita.
Poi, quasi di nascosto, appoggiò le dita affilate sul tavolo della cucina, passandole velocemente sullo zucchero a velo...
– Principessa! Non si mettono le dita nello zucchero! – provò a fermarla Erla, con un attimo di ritardo.
Ma Nives, con un’occhiata divertita, si era già portata i polpastrelli alle labbra e sporcata di zucchero anche la punta del naso.
– Oh! Principessa! – sospirò Arla. – Non imparerete mai! Sentirete la contessa vostra zia!
– E chi glielo dirà? – rise Nives. – Voi, forse? Sareste davvero così crudeli da farmi prendere una punizione per un poco di zucchero?
Le due cuoche sorrisero rassegnate: non c’era nulla da fare. Per quanto tutte loro, e la contessa Berglind, si sforzassero di trasmettere a Nives quel po’ di etichetta e di usanze di corte per cercare di farne una regina degna di tale nome, la ragazza sfuggiva a ogni regola e continuava a comportarsi come una ragazzina pestifera. E dire che ormai non era più una bambina, ma una ragazza nel pieno delle sue energie!
– Un’altra cosa, signore... – aggiunse con tono dispettoso, saettando tra loro come un fulmine nel suo abito da campanula.
– Sì, principessa? Volevate dirci qualcosa in particolare... – domandò Arla guardando la sorella.
– ... a parte il fatto che andrete con Gunnar al Grande Albero?! – aggiunse Erla completando la frase della sorella con un certo timore.
Il Grande Albero era, infatti, un albero molto particolare, decisamente magico, cresciuto e custodito in un giardino segreto, la cui esistenza era nota solo ai pochissimi fidati della corte di Nives, e che portava con sé tutto il timore e il rispetto delle cose magiche.
Ma non era solo il Grande Albero a intimorire Erla; anche Gunnar era motivo di angoscia, il suo aspetto feroce e possente la intimoriva terribilmente.
Nives si fermò sulla porta, fingendo un attimo di indecisione: – No, non ho altro da dirvi, mi pare... perché? – rispose la ragazza con un sorriso dispettoso e facendo finta di non aver capito il motivo della richiesta.
– Non saprei, sua altezza. Mi sembrava aveste detto un’altra cosa, poco fa... – insistette Arla.
– Sei sicura, Arla? Ultimamente il tuo udito ti gioca strani scherzi... – la punzecchiò la sorella.
– Ma certo, Erla! Ho sentito perfettamente... – poi la cuoca si zittì di colpo.
Dal corridoio si sentì un rumore di passi e, dopo qualche istante, da dietro lo specchio della porta comparve l’enorme muso di un lupo bianco. Era un animale robusto, dalla pelliccia folta e uniforme, con qualche leggera striatura grigia sulla testa e sul collo.
Aveva due occhi azzurri grandi e magnetici, che alla povera cuoca, però, sembravano semplicemente spaventosi. Li vedeva affilati e crudeli. Era il più grande lupo del regno, il capo di tutti i lupi della principessa. Era Gunnar.
Nives gli sorrise con lo sguardo: – Eccoti Gunnar! Noi andiamo, allora! – disse, accarezzando il muso dell’animale. – E non litigate troppo, voi due.
– Chi? Noi? Ma quando? Non io di certo! Forse Erla – ribatté Arla.
– Io? Figuriamoci! Sei sempre tu che inizi – replicò Erla, minacciandola con una mela che le puntava dritto in mezzo agli occhi.
Nives scosse la testa, divertita e rassegnata. Quelle due non sarebbero mai cambiate, ma la cosa non le dispiaceva affatto: i cambiamenti la disturbavano e preferiva che tutto rimanesse come era sempre stato.
3
Il Grande Albero
L’arrivo della primavera era imminente. Il Regno dei Ghiacci Eterni lo aspettava, e la sua natura lo lasciava presagire.
La pianura rivelava i primi stralci di terra bruna sotto lo spesso strato delle nevi invernali e lungo le strade i rigagnoli di acqua si ingrossavano giorno dopo giorno. Tra i radi cespugli si aggiravano i primi orsi risvegliati dal letargo e i conigli grigi saltellavano qua e là per controllare la direzione del vento. Nel cielo nuovamente azzurro gli uccelli si sgranchivano le ali con i loro primi voli e persino il vento, gelido e tagliente fino a qualche settimana prima, sembrava aver trovato una certa quiete.
La principessa Nives galoppava sulla schiena di Gunnar, stretta alla sua folta pelliccia. Aveva indossato un pesante mantello blu, come l’abito che portava, e teneva slacciato il grande cappuccio che le cadeva sulle spalle. Non aveva freddo. Quel giorno il sole riscaldava intensamente i corpi e i cuori.
Il Regno dei Ghiacci Eterni era una pianura immensa, circondata a nord e a est...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Colophon
- Introduzione
- PARTE PRIMA
- Parte Seconda
- Conclusione