CARVER PERCORSE A GRANDI FALCATE la sala controllo, passando in rassegna lo schieramento delle quaranta torri. Davanti a lui la distesa dei server in file perfettamente ordinate. Emettevano un mormorio di quieta efficienza. Nonostante l’assoluta competenza in materia, Carver non poteva fare a meno di meravigliarsi ogni volta al cospetto del progresso tecnologico. Quantità immense in spazi così ridotti. Tutti i giorni gli scorreva davanti un torrente, anzi, meglio, un fiume in piena di dati, che poi risaliva in alti fusti d’acciaio. A lui non rimaneva che entrarci, dare un’occhiata e scegliere. Come separare al setaccio l’oro dalla sabbia.
Ma ancora più facile.
Alzò lo sguardo per controllare le spie della temperatura. Nella sala server tutto era perfetto. Abbassò gli occhi sugli schermi delle postazioni: i suoi tre ingegneri erano al lavoro sullo stesso progetto.
Grazie all’abilità e alla prontezza di Carver, avevano sventato un tentativo di violazione del sistema. Adesso era arrivato il momento della resa dei conti.
L’aspirante intruso non era riuscito a penetrare nella web farm, la “fattoria”, ma aveva lasciato tracce di sé ovunque. Carver osservò con un sorriso i collaboratori mentre raccoglievano le briciole di pane che aveva perso lungo la strada e risalivano all’IP attraverso i nodi di traffico, una ricerca a ritroso ad alta
velocità fino alla fonte originaria. Di lì a poco Carver avrebbe saputo chi era il suo antagonista e scoperto per chi lavorava, che cosa stava cercando e quale profitto contava di ottenere. Aveva tutte le intenzioni di scatenare una rappresaglia che avrebbe annientato lo sventurato contendente. Carver non aveva pietà. Mai.
Dall’alto si udì il ronzio della porta antirapina.
«Schermi» disse Carver.
I tre ragazzi alle postazioni digitarono contemporaneamente i comandi sulla tastiera e il loro schermo si oscurò. La porta si aprì ed entrò McGinnis, insieme a un uomo in giacca e cravatta. Carver non lo aveva mai visto.
«Questa è la nostra sala controllo. Da qui, oltre la vetrata, può vedere quello che noi chiamiamo lo “schieramento dei quaranta”» disse McGinnis. «Qui sono concentrati tutti i servizi di housing. E qui è dove verrebbero principalmente ospitati i dati del vostro studio. In queste quaranta torri sono alloggiati quasi un migliaio di server dedicati. Naturalmente di spazio ne abbiamo ancora. Non restiamo mai senza.»
L’uomo in giacca e cravatta annuì pensieroso.
«Non è lo spazio che mi preoccupa. La nostra prima esigenza è la sicurezza.»
«Certo, per questo siamo qui. Volevo presentarle Wesley Carver. Da noi, Wesley ricopre diversi ruoli. È responsabile dello sviluppo tecnologico, della sicurezza, nonché il progettista capo del centro dati. È lui la persona che può dirle tutto quello che le serve sapere.»
La solita commedia. Carver strinse la mano a Giacca-e-Cravatta. Gli fu presentato come David Wyeth, dello studio legale Mercer & Gissal di St. Louis. Un nome che sapeva di tweed e camicie bianche fresche di bucato. Carver notò che Wyeth aveva una macchia di salsa barbecue sulla cravatta. McGinnis portava a pranzo da Rosie’s Barbecue chiunque arrivasse in città.
Carver recitò meccanicamente la sua parte, toccando tutti gli argomenti e raccontando all’avvocato in calze di seta tutto quello che voleva sentire. Wyeth era in missione “carne alla brace e due diligence”. Sarebbe tornato a St. Louis raccontando la buona impressione ricevuta: avrebbe detto ai colleghi che la strada da seguire era quella, se volevano tenersi al passo con i tempi e con l’evoluzione della tecnologia.
Da parte sua, McGinnis avrebbe ottenuto un altro contratto.
Mentre parlava, Carver non aveva smesso nemmeno per un secondo di pensare all’intruso cui stava dando la caccia. Era là fuori, da qualche parte, ignaro della giusta punizione che incombeva su di lui. Carver e i suoi giovani discepoli avrebbero saccheggiato il suo conto in banca, gli avrebbero rubato l’identità e nascosto foto di uomini che facevano sesso con bambini di otto anni sul computer, per poi mandarlo in crash con un virus replicante: non riuscendo a ripararlo, l’intruso avrebbe chiamato un tecnico, le foto sarebbero state scoperte e qualcuno avrebbe avvertito la polizia.
Quel tizio non sarebbe più stato un problema. Un’altra minaccia sventata dall’uomo di paglia, lo Spaventapasseri.
«Wesley?» disse McGinnis.
Carver si riprese dai suoi pensieri. Giacca-e-Cravatta aveva fatto una domanda. Non ricordava già più come si chiamasse.
«Prego?»
«Il signor Wyeth ha chiesto se è mai capitato che qualcuno si infiltrasse nei server.»
McGinnis, che conosceva già la risposta, aveva un sorriso sulle labbra.
«No, signore, mai. In tutta onestà, qualche tentativo c’è stato. Ma senza successo e con conseguenze catastrofiche per chi ci ha provato.»
Giacca-e-Cravatta annuì con gravità.
«Noi rappresentiamo la crema della società di St. Louis. L’integrità dei file e la lista dei clienti sono di primaria importanza per quello che facciamo. È per questo che sono venuto qui di persona.»
“Per questo e per lo strip club dove McGinnis ti ha portato”
pensò Carver, ma non aprì bocca. Offrì invece un sorriso che non aveva nulla di cordiale. Era solo contento che McGinnis gli avesse ricordato il nome di Giacca-e-Cravatta.
«Non si preoccupi, signor Wyeth» replicò. «In questa web farm i vostri clienti sono al sicuro.»
Wyeth ricambiò il sorriso.
«Era quello che volevo sentirmi dire.»
NEL TRAGITTO DALL’UFFICIO di Kramer al mio cubicolo mi seguirono gli sguardi della redazione al completo. Quelle occhiate interminabili resero interminabile il percorso. Tutti sapevano che avevo appena ricevuto la “notizia” dal momento che i cartellini rosa – gli avvisi di licenziamento – venivano sempre fuori di venerdì. Solo che non si chiamavano più cartellini rosa. Adesso c’era il modulo RFO, o Riduzione Forze in Organico.
Avevano tirato un sospiro di sollievo perché non era toccato a loro, ma provavano anche un leggero stato di ansia: nessuno poteva ritenersi al sicuro. La prossima volta poteva toccare a uno qualsiasi di loro.
Evitai di incrociare i loro occhi mentre passavo sotto il cartello che indicava la redazione della cronaca locale e mi dirigevo verso Cubicolandia. Raggiunsi la mia scrivania e scivolai sulla poltroncina, sottraendomi alla vista come un soldato che si tuffa nella buca di una trincea.
Il mio telefono squillò all’istante. Dal display vidi che era il mio amico Larry Bernard. Si trovava ad appena due scrivanie di distanza, ma sapeva che venire di persona avrebbe significato un esplicito invito agli altri a correre in massa da me a chiedermi ciò che ormai era ovvio. I giornalisti adorano muoversi in branco.
Misi l’auricolare e risposi.
«Ehi, Jack» disse lui.
«Ehi, Larry» dissi a mia volta.
«Allora?»
«Allora che?»
«Cosa voleva Kramer?»
Pronunciò il nome del vicedirettore come “Crammer”, il soprannome affibbiato anni addietro a Richard Kramer, quando era un caporedattore che sollecitava i suoi cronisti a privilegiare la quantità delle notizie più che la qualità. Nel tempo non erano mancate altre modifiche del nome, del cognome o di entrambi.
«Lo sai cosa voleva. Mi ha licenziato. Sono fuori.»
«Stracazzo di merda, ti sei beccato il cartellino rosa!»
«Già. Ma ricordati, adesso si chiama separazione involontaria.»
«Devi levare le tende subito? Ti do una mano.»
«No, il 22 maggio. Due settimane, e sarò il passato.»
«Due settimane? Perché due settimane?»
La maggioranza delle vittime dell’RFO doveva sgombrare immediatamente. Questa disposizione era stata presa dopo che il giornale aveva permesso a uno dei primi destinatari del preavviso di licenziamento di rimanere per il resto del periodo di paga. I colleghi lo vedevano girare sempre per la redazione con una pallina da tennis in mano. La faceva rimbalzare, simulava dei lanci, la stringeva. Nessuno si era accorto che non era sempre la stessa pallina: ogni giorno lui ne buttava una nello scarico del cesso. Circa una settimana dopo che se ne fu andato, i tubi si intasarono con conseguenze devastanti.
«Mi hanno dato un po’ di tempo in più a patto che accettassi di formare il mio rimpiazzo.»
Larry rimase in silenzio, pensando forse a quanto dovesse essere umiliante lavorare per istruire il proprio sostituto. Ma per me due settimane di paga erano due settimane di paga, e non potevo rinunciarci. E poi quei quindici giorni mi avrebbero permesso di salutare in modo adeguato i colleghi che lo meritavano. Mi sembrava più umiliante l’alternativa di farmi scortare fuori dalla porta con uno scatolone di effetti personali da un uomo della sicurezza. E comunque mi avrebbero tenuto d’occhio per controllare che non venissi al lavoro giocherellando con delle palline da tennis. Potevano stare tranquilli, però, non era nel mio stile.
«Tutto qui? Non ha detto altro? Due settimane e sei fuori?»
«Mi ha stretto la mano, poi mi ha detto che sono un bell’uomo e dovrei tentare la carriera televisiva.»
«Oh, vecchio mio. Stasera ci vuole una sbronza.»
«Io ci sto, poco ma sicuro.»
«Non è giusto, amico.»
«È il mondo che è ingiusto, Larry.»
«Chi è il rimpiazzo? Almeno qualcuno che sa di essere al sicuro.»
«Angela Cook.»
«Bella ragazza. I poliziotti la adoreranno.»
Larry era un amico, ma in quel momento non me la sentivo di sviscerare con lui tutta la faccenda. Avevo bisogno di riflettere. Mi sporsi a guardare sopra le pareti del cubicolo alte poco più di un metro. Nessuno mi guardava più. Lanciai un’occhiata verso gli uffici dei caporedattori, chiusi da vetrate a mezza altezza. Quello di Kramer era sull’angolo; lo vidi che osservava il salone della redazione. Quando i nostri occhi si incrociarono, si affrettò a distogliere lo sguardo.
«Cos’hai intenzione di fare?» chiese Larry.
«Non ci ho ancora pensato, ma inizierò a farlo adesso. Dove vuoi andare, Big Wang’s o Short Stop?»
«Short Stop. Da Wang ci sono stato ieri sera.»
«Allora ci vediamo là.»
Stavo per riagganciare, ma Larry non rinunciò a un’ultima domand...