LA SALVEZZA DAL MALE
Il tema della grazia nella Lettera ai Romani
«Chiediamo al Signore che ci assista con la sua grazia, perché solo la grazia di Dio ci può dare la forza di vivere nella libertà la nostra vocazione.»
In questa meditazione vorrei fare ancora qualche riflessione sul capitolo primo della Lettera ai Romani, quindi ancora sull’ira di Dio. Poi passare, saltando alcuni brani, al capitolo terzo e al capitolo quinto che potrebbe essere intitolato La salvezza dal male. Ma prima riflettiamo ancora un momento sul brano che abbiamo letto perché c’è un verbo che mi colpisce, ripetuto tre volte al versetto 24 del capitolo primo, poi al versetto 26 e infine al versetto 28: «Dio li ha abbandonati...».Abbandonati all’impurità, abbandonati a passioni infami, abbandonati in balía di una intelligenza depravata. Ciò significa che Dio non punisce, come pretende di spiegare Dante nell’Inferno, con pene dirette, ma “abbandona”. L’uomo abbandonato è capace di tutti i peggiori mali, perde il lume dell’intelletto, perde il senso dei valori morali. Questa è la storia del mondo, la storia del peccato. Tanto è vero che in un movimento ecclesiale che ho avuto modo di apprezzare, vi sono giovani che vanno in cerca di altri giovani per la strada, nei bar, nelle discoteche. Il loro modo di affrontare altri coetanei è molto semplice e molto coraggioso. Hanno una carica evangelizzatrice formidabile e il loro argomento fondamentale è «tu hai l’inferno nel cuore». Questi giovani sono allora spinti a chiedersi perché si sono lasciati sprofondare nel baratro della droga, della frustrazione, della noia e dell’apatia. Ricordo che parlavo con uno di questi ragazzi e gli chiedevo: «Ma tu quando avvicini un altro ragazzo sai già cosa dire?». «No, gli dico: io sono Giorgio, ciao. E tu chi sei? Poi si comincia il discorso». Questi giovani evangelizzatori e “cercatori di uomini” partono dall’idea che l’abbandono di Dio, il suo allontanamento dal peccatore, crea sofferenza. San Paolo ha una parola precisa per dire questo, per esprimere questo senso di disagio e di malessere, che è l’aggancio a cui riferirsi per avvicinare questi giovani disorientati: «Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il Giudeo prima e poi per il Greco» (Romani 2,9). Ci si avvicina all’oscurità e alla solitudine di questi ragazzi dicendo: «So che stai male e forse posso aiutarti». E allora vengono offerte a questi giovani varie possibilità di aiuto: dalle comunità terapeutiche, ma anche soltanto l’amicizia o un sostegno per trovare insieme una luce in fondo al tunnel di degrado e di confusione mentale. Questo volevo dire commentando la parola di san Paolo «Dio li ha abbandonati». Il castigo è l’abbandono.
La seconda considerazione che desidero fare è a partire da un passo degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio che dice: «Chiederò per intercessione di Maria tre grazie: la prima di sentire il male dei miei peccati e detestarlo; la seconda di sentire il disordine delle mie operazioni per potermi ordinare in seguito; e la terza sentire la vanità del mondo per rimuoverla da me». Quindi sant’Ignazio suppone che non c’è soltanto il peccato formale da confessare, ma c’è anche un disordine nella vita. Io vi invito a esaminarvi anche su questo disordine. Non è vero peccato, ma è un senso di confusione nell’esistenza. Mi pare che questo disordine sia soprattutto riferito a tre cose: disordine nell’orario, disordine negli impegni, disordine negli interessi.
Disordine nell’orario: come quel predicatore anch’io vorrei dire: «Beato quell’esercitante che conclude gli esercizi spirituali con un solo proposito: andare a letto sempre alla stessa ora». Occorre arrivare a un certo ordine: quando vado a letto, quando mi alzo, quando dico l’Ufficio, quando faccio la meditazione, la lectio divina. Perché se no la vita è tutta regolata da urgenze, dal telefono, da internet, dalle chiamate degli altri. Uno poi si svuota. Invece l’ordine è quello che aiuta ad avere momenti di ripresa. Nell’ordine io ci metto una cosa molto importante che ho sempre praticato come vescovo. Una mezza giornata libera alla settimana, uscendo dalla parrocchia, dal luogo del nostro impegno, in cerca della solitudine e della preghiera. Respirare, dare un calcio a tutte le occupazioni quotidiane. Io andavo nei sentieri di montagna, da solo, camminando; là si respira molto e si torna con qualche idea piú chiara. Una stradina di montagna. Dio ci avvolge e sgrana con noi un lento rosario. Il Padre nostro al fondo della decina è come un bivacco. Una sosta per ristorarsi e riprendere fiato, prima di ricominciare a salire.
Abbiamo bisogno di bivacchi nel cammino della vita. Quindi l’ordine è molto importante. Non mi sento di lodare quei preti che mi dicono: «Io in settant’anni non ho mai preso un giorno di vacanza». Hanno fatto male, perché bisogna avere qualche giorno di stacco e di riposo ogni tanto, avere dei giorni in cui darsi al silenzio, al raccoglimento, alla preghiera, alla lettura. Gesú stesso lo ha chiesto ai suoi: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’» (Marco 6,31). Solitudine e silenzio sono elementi essenziali alla formazione di uno spirito profondo – o piú semplicemente – umano. L’uomo del nostro tempo si ritrova, sovente, a vivere esistenze parallele: una esteriore, in cui appare sicuro di sé, disinvolto, professionalmente serio e comunicativo, ricco di hobby; una interiore, ben nascosta, piena di insicurezze, ansie, inquietudini e dubbi, connotata dall’incapacità di trovare vie d’uscita.
A quanti non intendono rassegnarsi a tale stato di cose e desiderano ricreare unità tra il mondo interiore e quello esteriore, suggerisco un metodo efficace: fare silenzio dentro e intorno a sé per ritrovarsi a tu per tu con la Scrittura, che parla a “tutta” la persona e produce effetti benefici.
Ho sperimentato che – anche in una breve sosta – la Parola è in grado di rigenerare il nostro umore e le nostre energie consumate dalla dispersione. Poche briciole di pane biblico ci nutrono di sapienza, illuminano il sentiero della vita e ci fanno conseguire un maggior equilibrio.
La vita interiore va coltivata e aiutata anche con piccole cose molto concrete.
Un quaderno dove appuntare quotidianamente i propositi, gli stati d’animo, gli eventi, le vittorie e le sconfitte... è uno strumento prezioso per non vivere alla giornata, ma lasciarsi accompagnare da Dio mettendo ai suoi piedi tutto, ma proprio tutto della nostra piccola e povera esistenza.
page_no="47" Disordine negli impegni: un altro aspetto dell’ordine è l’impegno. Chiediamoci: ho un ordine nei miei impegni? Oppure faccio quello che mi viene richiesto come ultima cosa pressato da una telefonata o dall’urgenza? All’inizio non si può essere molto rigidi. Ma poi occorre avere un ordine di priorità, per cui io so che certe cose valgono la pena, mentre altre sono meno importanti.
Quindi mi regolo, senza essere scortese, in maniera da mettere in primo piano le cose che ritengo veramente valide.
Ci vuole ordine nella giornata, ordine negli impegni e, infine, ordine anche negli interessi.
Disordine negli interessi: un prete non può non avere interessi teologici, pastorali, filosofici, culturali... Quindi deve aiutarsi con riviste, con qualche lettura e occasioni di approfondimento come corsi e master. E se non sappiamo cosa leggere rivolgiamoci a chi ci può consigliare.
Avere ordine nei propri interessi è molto molto importante, perché permette di sopravvivere, di perseverare, di andare avanti non riducendo le risorse o le riserve, ma accrescendole. Ancora un’ultima annotazione. Forse non ne avete bisogno (ma qualche volta ce n’è bisogno), ma l’ordine richiede che non mi ritenga pienamente padrone di me quando sono nella notte di fronte al televisore o a internet e sto cercando qua e là. Pensare che sono padrone di me, che posso con decisione interrompere quando voglio è un’illusione. Devo pensarci prima, perché altrimenti si cade nell’assuefazione e si passa da una sollecitazione all’altra, da una curiosità all’altra. Si può pensare: voglio un po’ vedere di cosa si nutrono i miei giovani; voglio conoscere i siti e i social network che frequentano abitualmente sul web per capirli di piú. Interesse di per sé lodevole. Poi resto anch’io avvinto dalla rete. Bisogna fare molta attenzione a non lasciarsi risucchiare da un vortice di immagini, di realtà virtuali e di provocazioni che annebbiano e tolgono lucidità. La cosa può non aver fine. Bisogna rompere con queste abitudini e avere mezzi efficaci per contenerle. E i mezzi efficaci ci sono.
Un ultimo disordine è quello sulla confessione e lo spiego segnalando due errori frequenti. Primo errore: pensare che una confessione sia piú facile se è piú rara. No! Una confessione quanto piú è frequente, tanto piú è facile. Secondo errore: pensare che una confessione sia piú efficace quando è piú breve; al contrario è piú facile quando è un po’ piú prolungata e articolata; quando non solo ci accusiamo delle colpe formali, ma cominciamo col ringraziamento a Dio e mettiamo sul tavolo anche i nostri disordini, le nostre vanità, le nostre mondanità, le nostre antipatie, le nostre paure, le nostre vigliaccherie e le lasciamo purificare dalla grazia. Questa è una confessione che aiuta molto perché non caratterizzata dalla fretta e dalla superficialità.
Non possiamo fare una lettura completa della Lettera ai Romani, ma vi indico quei passi che a mio avviso sono nodali per comprendere lo sviluppo tematico della Lettera. Abbiamo detto che nel capitolo primo si mostra come i peccatori possono essere abbandonati da Dio. L’ira di Dio è il suo allontanamento da noi, il suo progressivo abbandono. Ma Paolo nel capitolo secondo dice: anche gli ebrei, anche noi giudei siamo sotto questa condanna. L’ebreo non è migliore degli altri davanti a Dio: «Ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che proibisci l’adulterio, sei adúltero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge?» (2,21-23). Paolo incalza: «La circoncisione è utile, sí, se osservi la legge; ma se trasgredisci la legge, con la tua circoncisione sei come uno non circonciso» (2,25). Questo secondo capitolo è una requisitoria contro gli ebrei che si vantano di obbedire a precetti rigidi, i quali però non servono se non c’è una vita santa. A conclusione di tutto questo discorso si può allora dire che possono esserci pagani giusti che si salvano e, al contrario, ebrei peccatori che non si salvano.
page_no="50" «Che dunque? Dobbiamo noi ritenerci superiori? Niente affatto! Abbiamo infatti dimostrato precedentemente che Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato» (3,9). C’è poi una lunghissima citazione biblica per dire che siamo tutti universalmente peccatori:
«Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto:
Non c’è nessun giusto, nemmeno uno,
non c’è sapiente, non c’è chi cerchi Dio!
Tutti hanno traviato e si son pervertiti;
non c’è chi compia il bene, non ce n’è neppure uno.
La loro gola è un sepolcro spalancato,
tramano inganni con la loro lingua,
veleno di serpenti è sotto le loro labbra,
la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza.
I loro piedi corrono a versare il sangue;
strage e rovina è sul loro cammino
e la via della pace non conoscono.
Non c’è timore di Dio davanti ai loro occhi».
(Romani 3,9-18)
È un giudizio negativo, molto pessimista.
Di fronte a questo giudizio negativo appare nella sua vera luce la bontà di Dio e la verità di Dio. Solo quando si accetta di non negare la negatività nell’esperienza umana e nel corso dei secoli, si è in grado di cogliere l’opera di Dio e, allora, di ridimensionare il giudizio e di soppesare con umiltà e con misura il senso della Storia. Questo è detto al capitolo terzo: «Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesú Cristo, per tutti quelli che credono. E non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtú della redenzione realizzata da Cristo Gesú» (Romani 3,21-24). La concezione di Paolo è chiara: l’umanità senza Gesú Cristo va verso la rovina e la trasgressione crescente. È Gesú che salva. Gesú, con la sua risurrezione, è la forza che fa arretrare il Male nella Storia facendola riemergere dal buio di un buco nero verso la luce della verità. Questo è il tema che Paolo svolgerà nei capitoli seguenti. È naturale, come dice Paolo, che in questa salvezza che viene da Gesú sia abolito ogni vanto umano. Nessuno può vantarsi, perché è solo Gesú che ci ha salvato. Questo valeva per gli ebrei e i pagani del tempo di Paolo e vale per tutti i secoli. Esso è stato anche uno dei cavalli di battaglia della Riforma. Lutero si è appoggiato fortemente su questi passi perché pensava di vedere nella gente la fiducia nelle proprie opere. Oggi non è piú cosí. Ma la sostanza rimane, e la sostanza potremmo dire è questa: che il peccato fondamentale dell’uomo consiste sempre nel vanto di sé, nella persuasione di essere capace di salvarsi da sé, invece di dare a Dio la gloria che gli spetta. C’è un germe di infelicità che rode il cuore umano depravato, è la gra...