Il soldato di Roma
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Il soldato di Roma

  1. 528 pagine
  2. Italian
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Il soldato di Roma

Informazioni su questo libro

Primo secolo avanti Cristo. Il forte di Mitilene è circondato dall'oscurità e da un silenzio irreale. Non sembra esserci traccia dei ribelli che poche ore prima hanno scatenato un'improvvisa e sanguinosa rivolta. Di colpo il sibilo di cento frecce squarcia l'aria: la rappresaglia dei centurioni romani è iniziata. Sotto una pioggia di dardi infuocati, un giovane ufficiale riesce a entrare nel forte. È il ventenne Giulio Cesare. Da quel momento nulla potrà fermarlo. La lunga prigionia nella cella putrida e buia di una nave pirata avrebbe fiaccato le membra a chiunque, ma non a lui, che ne esce più forte nel corpo e nello spirito. Sciocco il Fato che si illude di abbatterlo fronteggiandolo con più dure prove: non sa ancora che la sua corazza si indurisce a ogni sferzata. Così, nulla può contro la sua furia l'esercito di Mitridate, il re del Ponto che, incautamente, ha osato sfidare la supremazia della Repubblica sul Mediterraneo. Quando torna a Roma vincitore, Cesare ritrova l'abbraccio della moglie Cornelia e l'amicizia di Marco Bruto. Ma le sue gesta non gli hanno guadagnato solo rispetto e fama: sono infatti in molti a temere la sua ascesa. E molti sono disposti a tutto pur di impedirla.

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Informazioni

Prima Parte

1

Il forte di Mitilene incombeva minaccioso sulla collina. Sprazzi di luce baluginavano sulle mura mentre le sentinelle si muovevano nell’oscurità. La porta di ferro e quercia era sbarrata e l’unica strada che conduceva ai ripidi pendii pullulava di guardie.
Gaditico aveva lasciato solo venti dei suoi uomini sulla galea. Non appena era sbarcato il resto della centuria, aveva ordinato di levare il corvo e l’Accipiter si era allontanata silenziosa dall’isola buia, con i remi che fendevano appena le acque immobili del mare.
La galea sarebbe stata al sicuro da assalti durante la loro assenza. L’imbarcazione era immersa nell’oscurità ed era invisibile alle navi nemiche a meno che non si fossero addentrate nel porticciolo dell’isola.
Giulio aspettava con la sua unità, in attesa di ricevere ordini. Riusciva a stento a tenere a freno l’eccitazione: finalmente, dopo sei mesi di perlustrazioni costiere, era giunto il momento dell’azione. Anche se avessero attaccato il forte di sorpresa, arrampicarsi su quelle mura, ripide e pericolose, sarebbe stata un’impresa ardua. Esaminò l’equipaggiamento per l’ennesima volta, controllò ogni piolo delle scale che gli avevano assegnato, e fece un giro tra i soldati per assicurarsi che avessero legato le fasce attorno ai sandali: un modo per essere più silenziosi e per avere una presa migliore durante l’arrampicata. Tutto era in ordine, ma i suoi uomini si sottoposero ai controlli senza lamentarsi, per la terza volta da quando erano sbarcati. Giulio sapeva che non l’avrebbero deluso: quattro di loro erano nell’esercito da lungo tempo, e fra questi Pelitas aveva dieci anni di galea alle spalle e godeva del rispetto di tutto l’equipaggio. Quando Giulio si era reso conto delle sue qualità dietro l’atteggiamento indifferente nei confronti dell’uniforme e il viso incredibilmente brutto, l’aveva nominato secondo ufficiale dell’unità. Pelitas era subito diventato un fido sostenitore del nuovo giovane tesserarius.
Gli altri sei uomini erano stati reclutati nei porti romani sparsi per la Grecia, mentre l’Accipiter completava il suo equipaggio. Di sicuro celavano storie torbide, ma di solito ai soldati di galea non era richiesto un passato immacolato. Chi serbava debiti o dissensi con gli ufficiali sapeva che la vita di mare era l’ultima risorsa per avere un salario, e per Giulio non era affatto un problema. Tutti i suoi dieci uomini avevano combattuto molte battaglie: ascoltare i loro racconti era come sentire la storia dell’ascesa di Roma negli ultimi vent’anni.
Gaditico fece il giro delle unità rivolgendo la parola a ogni ufficiale. Svetonio annuì a tutto quello che gli venne detto, poi fece il saluto militare. Giulio lo osservò e provò un moto di antipatia nei suoi confronti, ma non riuscì ad attribuirlo a un motivo particolare. Per mesi avevano lavorato insieme in un clima di cortesia glaciale che ora pareva immodificabile. Svetonio continuava a considerarlo come il ragazzino che un tempo aveva legato e picchiato insieme ai suoi amici. Non sapeva niente delle sue esperienze successive e, quando Giulio aveva raccontato ai soldati che cosa aveva provato quando era entrato a Roma alla testa del trionfo con Mario, lui si era messo a sghignazzare. Gli eventi della capitale erano solo voci distanti per i soldati della galea e Giulio aveva avuto la sensazione che alcuni amici di Svetonio non avessero creduto ai suoi racconti. Era una situazione irritante, ma al primo accenno di tensione o conflitto fra le unità li avrebbero retrocessi a soldati semplici. Allora Giulio era rimasto zitto, persino quando Svetonio aveva raccontato di quando l’aveva appeso a un albero, dopo avergli spaccato la testa. Aveva fatto passare l’incidente per una spacconata di ragazzini. Alla fine però aveva avvertito lo sguardo duro di Giulio e aveva finto di essere sorpreso, strizzando l’occhio al secondo ufficiale mentre si rimettevano al lavoro.
Gaditico si dirigeva verso l’ultima unità, quando Giulio vide che Svetonio sogghignava alle sue spalle. Tenne fisso lo sguardo sul compagno, poi si irrigidì sull’attenti. Gaditico annuì e ricambiò il saluto con un gesto veloce del braccio destro.
«Se non scoprono che siamo qui, dovremmo riuscire a radere al suolo quel covo di ribelli prima dell’alba. Se invece li hanno avvisati, ci toccherà conquistare con le armi ogni palmo di terra. Non fate rumore con l’armatura e le spade: non devono rivelare la nostra presenza quando ci arrampicheremo sui fianchi esposti del forte.»
«Sissignore» rispose prontamente Giulio.
«I tuoi uomini attaccheranno il lato meridionale. In quel punto il pendio è un po’ meno ripido. Avvicina rapidamente le scale e posiziona un uomo ai piedi di ciascuna, così non perderete tempo a cercare un punto d’appoggio stabile. Gli uomini di Svetonio si occuperanno delle sentinelle alla porta. Ce ne sono quattro, quindi non potrà essere un’operazione silenziosa. Se udite delle grida prima di raggiungere le mura, fate il più in fretta possibile. Non devono avere il tempo di organizzarsi. Chiaro? Bene. Domande?»
«Quanti uomini ci sono nel forte?» chiese Giulio.
Gaditico parve sorpreso.
«Noi conquisteremo quel forte sia che ce ne siano cinquanta sia cinquecento, di uomini! Non pagano le tasse da due anni e il governatore locale è stato assassinato. Non credo proprio che sia il caso di aspettare i rinforzi.»
Giulio arrossì imbarazzato. «Nossignore.»
Gaditico fece una risatina sarcastica. «L’esercito è già abbastanza ridotto. Se sopravvivi a questa notte, ti abituerai a non avere mai navi e uomini a sufficienza. Adesso torna alla tua postazione e gira alla larga dal forte, usando la copertura. Chiaro?»
«Sissignore» replicò Giulio, facendo di nuovo il saluto militare. Essere un ufficiale, anche se di infimo grado, era difficile. Si aspettavano che sapesse il fatto suo, come se la destrezza fosse proporzionale al grado. Non aveva mai assalito una fortezza prima di allora, né di giorno né di notte, ma tutti pretendevano che fosse in grado di prendere decisioni fulminee che potevano significare vita o morte per i suoi uomini. Li guardò e si sentì invadere da un’ondata di inflessibile determinazione. Non li avrebbe delusi.
«Avete sentito il centurione. Azioni silenziose, formazione divisa. Muoviamoci!»
In risposta, i soldati batterono il pugno destro sulle corazze di cuoio, facendo un gran baccano. Giulio sussultò.
«Finché siamo nel forte dovete eseguire i miei ordini nel più assoluto silenzio. Non voglio che vi mettiate a gridare “Sissignore’’ quando stiamo cercando di muoverci senza far rumore, capito?»
Qualcuno sghignazzò, ma la tensione era palpabile mentre avanzavano, lenti e cauti, sotto copertura. Assieme a loro si distaccarono altre due unità, lasciando Gaditico a comandare l’attacco frontale. Giulio fu grato alle interminabili esercitazioni quando vide i suoi uomini dividersi automaticamente in coppie. A ogni unità vennero affidate quattro lunghe scale. I soldati si sarebbero arrampicati veloci sui larghi pioli, raggiungendo la sommità delle mura scure, per poi addentrarsi nel forte. A quel punto la situazione si sarebbe fatta difficile. Non potevano prevedere quanti ribelli si sarebbero trovati di fronte, perciò all’inizio ne avrebbero uccisi il più possibile.
La luce della torcia di una guardia si fermò vicino alla loro postazione. Giulio accennò con la mano ai suoi uomini di abbassarsi. Nonostante lo stridio ritmico dei grilli nel prato, i suoni si propagavano facilmente. Dopo una breve pausa, la luce della sentinella si spostò di nuovo. Giulio incrociò lo sguardo degli ufficiali più vicini e con un cenno del capo ordinò di dare il via all’attacco.
Si alzò con il cuore che gli batteva all’impazzata. I suoi soldati lo imitarono. Uno di loro emise un breve lamento sotto il peso della scala mastodontica. Iniziarono la scalata del bastione sul lato meridionale del forte. Giulio correva con i suoi soldati; il tonfo dei passi gli sembrò troppo rumoroso nonostante avessero avvolto i sandali e le armature con le fasce. Pelitas era in testa alla prima scala, ma altri lo superarono mentre si inerpicavano sulla superficie sconnessa. Non c’era nemmeno la luce della luna a illuminare il terreno. Gaditico aveva scelto la notte giusta.
Ogni scala passava di mano in mano finché raggiungeva l’uomo appostato vicino alle mura, che la posizionava in verticale. Un soldato la teneva stretta mentre l’altro si arrampicava nel buio. Il primo gruppo salì in un baleno e il secondo era già pronto a partire, ma l’arrampicata diveniva più ardua perché le scale scivolavano sfregando contro le mura di pietra. Giulio afferrò una scala traballante e la tenne ferma, facendo pressione con le spalle, fino a quando uno dei suoi uomini non passò dall’altra parte. Lungo tutta la sommità del bastione i soldati scomparirono dentro il forte. E non era ancora stato dato l’allarme.
Giulio spostò la scala finché la parte superiore imbottita non trovò un appiglio; poi l’afferrò saldamente e si arrampicò, addossandosi il più possibile, perché l’angolatura era ripida. Quando arrivò in cima non si fermò, temendo che gli arcieri lo avvistassero. Non ebbe il tempo di valutare la situazione e scivolò sulla cresta delle mura, lanciandosi nel buio.
Rotolò a terra e trovò i suoi uomini ad accoglierlo. Davanti a loro si stendeva un breve tratto di mura coperto d’erba. Qui erano un facile bersaglio per gli arcieri, dovevano spostarsi al più presto. Giulio notò che le altre unità non si erano fermate e si erano inoltrate verso le mura interne. Corrugò la fronte. Erano alte quanto le mura esterne e distavano solo venti piedi, ma adesso le scale si trovavano all’esterno del forte, e loro erano intrappolati fra le due cortine, come previsto dal progetto degli antichi costruttori. Imprecò fra sé e sé; i suoi uomini lo fissavano in attesa di una decisione immediata.
Nel forte cominciò a risuonare una campana i cui rintocchi cupi riecheggiavano nelle tenebre.
«E adesso, signore?» domandò Pelitas, con voce seccata.
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Giulio inspirò profondamente e i suoi nervi cominciarono a rilassarsi.
«Se restiamo qui siamo spacciati. Tra poco getteranno su di noi le torce per fare in modo che gli arcieri ci vedano. Pelitas, tu te la cavi bene con le funi, togliti subito l’armatura e porta una corda sulle mura interne. Le pietre sono antiche, nascondono sicuramente degli appigli.» Si voltò verso gli altri soldati, mentre Pelitas iniziava a sciogliere i lacci che tenevano insieme l’armatura.
«Dobbiamo riprenderci quella scala. Se Pelitas cade, diventeremo facili prede per gli arcieri. Il muro è alto quindici piedi, facciamo salire sulle mura i più leggeri tra voi in modo che possano afferrarla e trascinarla in alto.»
Giulio ignorò le urla di battaglia all’interno del forte. Fortunatamente i ribelli erano concentrati sull’attacco di Gaditico, ma ai soldati al suo fianco non rimaneva molto tempo.
I suoi uomini capirono subito il piano. I tre soldati più robusti si presero a braccetto e si appoggiarono di schiena contro le pietre scure delle mura. Altri due salirono sulle loro spalle e si girarono con precauzione, appoggiandosi anch’essi al muro. I tre soldati in basso emisero dei mugolii quando avvertirono il peso dei compagni sull’armatura. La corazza di metallo lacerò le loro spalle, ma se non avessero indossato l’armatura si sarebbero sicuramente spezzati la clavicola. Cercavano di sopportare il dolore in silenzio, ma Giulio intuì che non potevano resistere a lungo.
Si voltò verso l’ultima coppia di soldati che si erano tolti l’armatura e i calzari, rimanendo a piedi nudi. A un suo cenno, entrambi annuirono e si misero a scalare la torre umana formata dai compagni, con la stessa velocità ed efficienza con cui avevano attrezzato l’Accipiter. Giulio estrasse la spada e rimase in attesa, sforzandosi di scrutare le tenebre che avvolgevano la sommità del muro.
Venti piedi più in là, sulle mura interne, Pelitas appoggiò il viso sulle pietre fredde e cominciò a recitare una preghiera breve e disperata. Le sue dita erano avvinghiate a una breccia minuscola che si apriva tra le lastre. Si sforzò di non fare rumore quando si sollevò più in alto, con i piedi che cercavano a tentoni un appiglio. Il suo respiro era un sibilo fra i denti, così sonoro che senza dubbio qualcuno si sarebbe avvicinato per scoprire cosa succedeva. Per un attimo si pentì di essersi portato con sé il pesante gladio insieme alla fune arrotolata attorno al torace, ma era inconcepibile ritrovarsi in cima alle mura senza un’arma. Certo, nemmeno cadere a capofitto con fragore gli pareva una prospettiva allettante.
Sopra di lui scorse il profilo nero delle pietre, sfiorato dal chiarore delle torce. Il forte si preparava a difendersi dai cinquanta uomini capeggiati da Gaditico. Pelitas sogghignò. Dei soldati professionisti avrebbero già inviato esploratori attorno al perimetro delle mura per controllare che non ci fosse un’altra armata o un’imboscata. Era bello sentirsi orgogliosi del proprio operato, pensò.
La sua mano si spostò a tentoni e infine trovò una buona presa: un angolo che si era logorato nel corso dei secoli. Gli tremavano le braccia per lo sforzo quando infine si aggrappò all’ultima lastra. Trattenne il fiato e rimase fermo per un attimo, con le orecchie ben tese nel caso ci fosse qualcuno nelle vicinanze pronto a sbudellarlo. Serrò la mascella come per addentare la paura che provava sempre in quei momenti, poi si issò, facendo oscillare le gambe. Si lanciò nel vuoto senza esitare e atterrò rannicchiato. Estrasse il gladio con cautela, per non fare rumore.
Avvolto nell’ombra Pelitas era invisibile sul bordo di una stretta piattaforma dalla quale una rampa di gradini conduceva in basso ad altri edifici. Resti di cibo sparsi per terra indicavano la presenza di una sentinella che sicuramente si era unita agli altri per respingere l’attacco frontale invece di rimanere dove gli era stato ordinato. Pelitas disapprovò quella mancanza di disciplina.
Srotolò piano la pesante fune avvolta attorno al torace e alle spalle, e ne legò un’estremità a un anello di ferro arrugginito conficcato nella roccia. Diede uno strattone all’anello e sorrise, poi lasciò cadere la fune nel buio.
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Giulio si accorse che un’altra unità si era avvicinata alle mura esterne per recuperare le scale. La prossima volta avrebbero legato una fune al piolo superiore, l’avrebbero lanciata al di là del muro e l’ultimo soldato si sarebbe portato dietro la scala. Certo, era facile essere saggi con il senno di poi. Gaditico avrebbe dovuto impiegare più tempo a studiare la struttura del forte, anche se era un’impresa difficile, poiché non c’era nient’altro che dominasse la scoscesa collina di Mitilene. Se fosse stato lui a comandare l’assalto, non avrebbe mandato i suoi uomini allo sbaraglio, finché non avesse raccolto tutte le informazioni necessarie. Giulio scacciò quel dubbio che gli parve sleale nei confronti di Gaditico.
I volti dei tre uomini ai piedi della torre erano madidi di sudore, contorti dal dolore. Giulio sentì il rumore della scala che strisciava sulla cima del muro e scivolava verso di loro. L’appoggiò subito contro il muro e la torre di soldati si disfece lasciando i tre uomini boccheggianti con le spalle rigide per i crampi. Giulio si avvicinò a ognuno di loro e li afferrò per le braccia in segno di ringraziamento comunicando in un bisbiglio le mosse successive. Insieme si avvicinarono alle mura interne.
Udirono una voce sopra le loro teste, nell’oscurità del forte interno, e il cuore di Giulio cominciò a battere forte. Non distingueva le parole, ma era una voce in preda al panico. Poi la sorpresa svanì. Avevano la scala. Giulio si appiattì contro il muro e scoprì che Pelitas ce l’aveva fatta e non era caduto.
«Spostate un po’ la scala e posizionatela bene. Tre uomini si arrampichino con questa fune. Il resto con me.»
Corsero verso la fune e di colpo al di sopra delle loro teste l’aria fu trafitta da frecce sibilanti, che trafissero i corpi dei soldati che trasportavano la scala. Le loro urla rimbombarono nel forte. Giulio calcolò che sopra di loro c’erano almeno cinque arcieri; le fiaccole accese, gettate sul campo di battaglia, avevano agevolato la loro azione. Le mura interne erano ancora avvolte dalle tenebre e Giulio capì che i ribelli erano convinti di respingere il primo assalto, ignari dei Romani appostati sotto di loro.
Giulio salì sulla scala stringendo il gladio. Nella sua mente lampeggiò il ricordo della rivolta in cui era stato ucciso suo padre cinque anni prima. Ecco cosa si provava a essere il primo ad arrampicarsi sulle mura! Scacciò quei pensieri e quando raggiunse la cima del muro, si lasciò rapidamente cadere, scansando un’ascia puntata contro di lui per decapitarlo. Perse l’equilibrio e per un attimo annaspò terrorizzato, prima di riuscire a calarsi nel forte.
Non aveva tempo di considerare la sua posizione. Arrestò un altro colpo di ascia e menando calci vide l’avversario oscillare sotto il peso dell’arma. L’accetta finì in terra con un tonfo e Giulio conficcò la sua spada nel petto palpitante del nemico. Poi qualcosa lo colpì sull’elmo, spaccandogli il guanciale. Sentì il sangue caldo scorrergli lungo il collo e il petto fino a raggiungere lo stomaco, ma non ci badò. Altri uomini della sua unità raggiunsero lo stretto passaggio. Cominciò la carneficina.
Tre uomini formarono un cuneo impenetrabile attorno all’apice della scala, le loro armature leggere si ammaccarono sotto i colpi feroci. Qualcuno sollevò un gladio e lo conficcò nella mascella di un nemico, trafiggendolo.
Gli avversari non indossavano un’uniforme comune. Alcuni sfoggiavano armature antiche e impugnavano strane spade, mentre altri maneggiavano accette o lance. Sembravano Greci e urlavano fra di loro in quella lingua armoniosa. Giulio poté solo imprecare quando uno dei suoi uomini si accasciò con un grido e spruzzò sangue scuro alla luce delle torce. Il rumore dei pas...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Prima parte
  5. Seconda Parte