PARTE SECONDA
PETALI AZZURRI
Sentieri d’amore
L’ultimo trasloco
Mia consolazione di questa nuova casa
è il ramoscello d’olivo che sembra annunciare
giorni migliori.
MARCEL PROUST
Cap Martin, fine maggio 2003
Anche questo trasloco è finito. L’ultimo, speriamo, in una storia che mi ha visto nomade troppo a lungo, io che come un gatto ho invece bisogno del mio rifugio stabile e sicuro.
Sono nella mia nuova casa, una casa trasparente come me.
A pochi passi abbraccio con lo sguardo la bellezza intima e selvaggia della Costa Azzurra. Davanti a me, il mare.
Ho finalmente realizzato il mio sogno: abiterò qui, per sempre, respirando tutto l’azzurro di questo mare e di questo cielo.
Nella casa, attorno a me ancora ci sono falegnami, vetrai, idraulici, e un turbinio di amici che mi hanno aiutato a trasformare questa graziosa dimora che ho finalmente acquistato.
Voglio vivere lontanissima da Lione, la città grigia e spettrale che fa ormai parte del mio passato.
Ho voluto una casa edificata da poco tempo, nuova, ma costruita in pietra, come le antiche case provenzali, con un bel giardino e una piccola piscina.
Non ci sono ricordi, nessuno in queste stanze ha avuto gioie o dolori, i suoi muri non hanno storia.
Guardo Tokai che corre fra l’erba, tutto è ancora un po’ brullo ma presto nasceranno fiori bellissimi. Prozac, il gatto, è immobile in un angolo del giardino e osserva le farfalle, come le vedesse per la prima volta.
Ho portato con me pochi mobili: quelli che appartenevano alla mia casa di Roma e che da anni mi aspettavano chiusi in un container. Nel salone ho fatto costruire un’enorme libreria a vista, sulla parete di fondo della stanza, ai lati del caminetto. Ho messo i molti libri che hanno segnato la mia esistenza, quelli a me più cari. Ci sono dei libri che parlano di me, come i diari di Handy Warhol che a un certo punto racconta del nostro incontro con Richard Gere e, come segnalibro, proprio in quella pagina, ho infilato una lettera che mi ha scritto Richard per invitarmi a un evento tantrico a New York, a cui però non andai...
Tocco con gioia libri e oggetti: a ognuno mi fermo, mi siedo e penso al pezzo di vita che me lo ha regalato. Non finirò mai di metterli a posto perché voglio riassaporare lentamente l’emozione che mi danno.
Ci sono poi le foto: Jack Nicholson, Fiorello, Red Ronnie, Robert De Niro, io al festival di Cannes, mia sorella e mia nipote, Alberto Sordi, Enrico Coveri, Harvey Keitel... e tanti altri amici.
E poi mio figlio. Vicino alla sua foto, ho messo un cuore d’argento che, se preso in mano e leggermente dondolato, produce un dolce suono di carillon, come una ninna nanna.
Mi è anche tornato in mano il sasso a forma di cuore che avevo raccolto dal mare poco dopo il tragico incidente, quel sasso che per me è un dono di Christian dal cielo, così prezioso che ho deciso di custodirlo come un gioiello in cassaforte.
Nel mezzo della parete-libreria sta il caminetto tanto desiderato e che, ormai sola, accenderò soltanto con le mie mani.
E poi ho preso una grande tv. Il mondo mi arriva attraverso di essa: la guardo regolarmente, trovando occasione di svago durante le lunghe ore che trascorro sdraiata sul gigantesco divano al centro del salotto, quel divano che ho trasformato in una vera e propria scrivania per la stesura di questo libro!
Seguo i programmi televisivi che entrano in tutte le case francesi, con particolare attenzione agli avvenimenti riferiti al telegiornale, ma preferisco soprattutto i documentari naturalistici e, ovviamente, la televisione italiana: sono lontana da Roma, è vero, ma voglio sapere tutto del mio paese.
Improvvisamente mi ritrovo fra le mani la foto di Charlotte, la mia ex agente di Parigi: siamo ritratte sorridenti in mezzo a tante persone... Ricordo che si trattava di una cena per la promozione del mio film Oh! Serafina di Lattuada, in occasione della quale Charlotte organizzava per me incontri con registi, giornalisti e fotografi. In quel periodo la Francia nutriva un grande interesse verso di me, mostrando un’attenzione che io forse non ho saputo adeguatamente sfruttare. Con noi, ricordo, c’erano Catherine Deneuve, David Bowie e la mia cara amica Clio Goldsmith. Quella sera Charlotte, che era molto ben inserita nel mondo dello spettacolo, volle accettare un invito a casa di un noto produttore francese, un amico suo, ma io me ne andai, ricordandole che il mattino dopo avevo un servizio fotografico molto importante con il grande Richard Avedon e che pertanto non desideravo fare tardi quella sera. I fotografi mi amavano molto: sono stata spesso a Parigi e ho fatto diversi servizi anche con Helmut Newton che mi ha messa nei suoi bellissimi libri.
Sono le sei del pomeriggio, il mare ha cambiato colore e finalmente la casa è tutta mia.
Se ne sono andati tutti: gli operai, che hanno terminato il lavoro, e gli amici che però sanno che verranno a trovarmi ogni volta che lo desiderano, durante i weekend.
Rimasta finalmente sola, metto un cd di Burt Bacharach e accenno a dei passi di danza in mezzo al salotto, davanti alle ampie vetrate che mi portano i riflessi di luce dell’acqua della piscina.
Mi muovo piano, a occhi socchiusi, per non perdere l’equilibrio.
Mi sento a un passo dal possibile... ma ho ancora paura di me.
So che questa sera dormirò benissimo: sia perché sono nella mia casa, sia perché tutta la stanchezza di questo periodo mi è piombata addosso.
Intanto, riprendo con più leggerezza a scrivere, non voglio smettere, anzi: dopo aver scritto tanto dolore, da domani voglio raccontare della mia felicità. Ormeggio al porto del passato i brutti ricordi. Quante vite avrei voluto vivere per imparare a difendermi di più!
Secondo giorno nella mia cuccia.
Ho dormito benissimo. Esco di casa presto, per conoscere i dintorni, ed entro in un negozietto – come se ne trovano nella provincia francese – di quelli che contengono tutto: dal filo per cucire ai fiori, dal sapone alle calze, dalle uova al formaggio.
È gestito da una vecchietta che mi sorride, e la trovo subito adorabile. Ovunque sono esposte le merci più disparate ed è sufficiente guardarsi attorno e torna alla memoria tutto quello di cui si ha necessità. Quando vado in giro per compere, spesso mi faccio accompagnare dalla persona che mi aiuta per il giardino: possiede un’ape-car, su cui faccio caricare ogni cosa che, da sola, non potrei portare fino a casa.
Improvvisamente nel negozio entra una signora, molto bella, un po’ avanti con gli anni, e mi guarda: «Ma lei è un’attrice?».
Resto stupita: «...Sì. Abito qui vicino, ho scelto la Francia per viverci».
«Mi ricordo di lei: ha fatto un film, Il gatto di Comencini, che ha avuto molto successo.»
Mi ha davvero commosso il fatto che mi avesse riconosciuta!
In fondo, sono stata più un personaggio che un’attrice: ero sempre sui giornali, in televisione, e non so com’è, ma tutti mi riconoscono e ogni volta che accade un episodio così, io mi commuovo, profondamente grata alla gente che ancora mi ricorda con tanto affetto.
Torno a casa più allegra dopo la spesa al negozietto e riprendo a sistemare le ultime cose negli armadi e nella libreria.
Ho talmente tanti ricordi nelle valigie piene di foto e ritagli di giornali... Era ovvio che, fra gli altri, trovassi anche lo scatolone dove ho racchiuso quaderni, diari e fogli che ho scritto in questo ultimo anno.
Lo richiudo.
Non oggi. Forse domani...
Non voglio che esca tutto quel dolore che per me ormai è diventato solo un ricordo: è come una nuvola nera nel cielo che verrà presto cancellata dall’azzurro che la circonda.
Terzo giorno.
Mi sveglio al suono di una vivace scampanellata alla porta e subito guardo il mare: voglio essere sicura di essere davvero qui, nella mia nuova casa.
Vado ad aprire: mi consegnano una magnifica pianta di melograno, inviata dai miei amici, con una lettera affettuosa in cui mi dicono quanto mi sono vicini e mi fanno sentire tutto il loro affetto. È una pianta di cui si dice che porti fortuna...
Guardo queste pareti: sono ancora bianche e spoglie, ma presto le abbellirò con i miei quadri che sono ancora imballati e appoggiati per terra.
Scendo col cane verso il mare e tengo fra le mani uno dei miei diari. Immergo i piedi nell’acqua, riflettendo su questi fogli di dolore che ora non voglio più tenere con me. Prendo le pagine, a una a una, e le stacco come fossero dei petali e man mano che salgo sullo scoglio le lancio tutte fra quelle onde del mare che scoloriranno ogni parola e cancelleranno per sempre questa mia storia. La dono al mare perché lui è così grande che può annegare nelle sue onde tutte le lacrime salate versate in questi anni.
All’inizio di questa nuova tappa di quel meraviglioso viaggio chiamato vita, porterò con me, nella mia valigia, solo e sempre l’amore e la speranza. L’amore che vive con me e che ho dentro. So anche che porterò sempre con me l’incoscienza di bambina per giocare con lei sino alla fine della mia avventurosa esistenza. I sogni hanno una musica segreta: basta cercare le parole e cantarla.
Guardo tutti gli scatoloni arrivati da Roma: dopo cinque anni, mi ritrovo fra le mani molte cose che mi riportano con l’animo alle storie che ho vissuto tantissimi anni fa e che mi hanno toccato il cuore. Voglio raccontarvi anche queste, perché l’amore ha mille volti, e non si finisce mai di esplorarne le molteplici sfaccettature.
C’è tanta bellezza nel mondo
che il mio cuore sta per franare
Ogni amore spezzato
provoca una sensazione di perdita prematura,
come se l’amore fosse eternamente un bel giovane
a cui erano destinate felici promesse incompiute.
ALICIA GIMÉNEZ-BARTLETT
Ho sempre desiderato che gli uomini, che hanno condiviso pezzi della mia vita, fossero persone semplici, in grado di capire la donna che era in me e non cercassero semplicemente l’attrice celebre, magari solo per poterla sfoggiare, perché io, benché facessi parte del mondo del cinema e viaggiassi molto per lavoro in tanti paesi, tentavo con tutte le mie forze di avere una vita privata normale. Invece ho spesso incontrato uomini che mi manipolavano come uno spot pubblicitario e mi trattavano come se fossi stata un bel vestito da portare, da usare e da mostrare.
Non sono mai stata attratta dal clamore, dalle luci effimere, dal chiasso della moda e della mondanità: frequentare quel mondo, che pure mi apparteneva, era per me come un gioco, ma quando chiudevo la porta di casa amavo avere la mia intimità, occuparmi di mio figlio, preparare pranzetti per i miei cari; insomma, volevo l’allegria e la serenità di una quotidianità uguale a quella delle famiglie comuni.
Ho sempre pensato che chi vive avvolto dal clamore del successo e della popolarità, senza avere la possibilità di una vita normale, per forza dovesse allontanarsi, prima o poi, dalle piccole, semplici gioie della vita col rischio di perderle per sempre.
Secondo me una donna che sceglie un uomo importante, celebre, perennemente aggredito dalla sua popolarità, deve vivere nella sua ombra e riuscire a costruire i sentimenti e la complicità del loro amore dentro il frastuono di giornate turbolente e per di più sapendo che, dietro la porta, sempre, decine di donne assediano il suo uomo, volendolo conquistare...
Mi è sempre sembrato un equilibrio davvero difficile da raggiungere: io non avrei mai saputo reggere una cosa del genere!
Per essere compagni di una persona celebre è necessario, oltre che parlare molte lingue, viaggiare in continuazione e condividere la stessa ambizione, dare una disponibilità totale; ma io, che avevo un figlio, desideravo accanto a me un uomo di solida semplicità e di valore che mi desse, oltre all’amore, tenerezza ed equilibrio soprattutto per lui.
Però dovevo tenere conto di avere il physique du rôle: vivevo nel mondo del cinema e della moda, tutti mi vedevano come una star e non si domandavano che tipo di donna veramente fossi.
A volte chi mi corteggiava era un celebre attore, un grande industriale, un personaggio importante: tanti desideravano avere una storia con me, e non posso certo dire se sarebbe stata una storia importante, però io mi sentivo spaventata proprio dal ritmo frenetico della loro vita. È accaduto con star di Hollywood e, pur essendo tutti parte dello stesso mondo, io non riuscivo a vederli come colleghi: per me restavano dei miti, poiché li avevo conosciuti al cinema e dunque li ammiravo moltissimo, per cui venivo assalita dalla timidezza ogni volta che li incontravo di persona, provavo disagio più del dovuto e scomparivo rapidamente...
Accadeva anche quando mi arrivavano i copioni per partecipare a un film: spesso erano copioni stranieri, con grandi nomi fra gli interpreti, e allora mi prendeva l’angoscia.
Infatti la mia agente diceva sempre, sorridendo: «Tu sei un’attrice insolita, altre farebbero salti mortali e tu invece scappi».
Poteva accadere che fossi corteggiata, ma io ho sempre desiderato storie d’amore dove ci si tiene per mano e dove regna la semplicità...
Il mio motto era: «Cerca di ottenere ciò che ami nella vita per non dover amare ciò che hai ottenuto...».
Questo “blocco” – che chiamerei timidezza – mi accadeva anche se ero fortemente affascinata dalla persona.
Le star non sono soltanto quelle del mondo del cinema, ci sono anche quelle del mondo economico: grandi industriali, finanzieri, imprenditori... e poi le star dello sport: piloti, tennisti, calciatori, sempre circondati da ragazze bellissime che sembrano pronte a tutto...
Una storia spiegherà meglio i pasticci causati da questa mia timidezza.
Abitavo a Roma. Era maggio, il mese in cui si svolgono i campionati di tennis al Foro Italico, cioè l’appuntamento imperdibile per tutta Roma, poiché tutti i vip della città erano invitati ad assistere a quegli incontri. Anch’io amavo il tennis ed ero fan di un tennista celeberrimo, bellissimo, un campione trascinatore di folle, un idolo per me, ma anche per il resto del mondo.
Ero sempre invitata ai campionati di tennis e ci andavo con un gruppo di amici, felice anche perché, appunto, vi partecipava il mio tennista preferito.
Quel giorno ero nella tribuna principale, in terza fila, e vedevo quel campione giocare di spalle. Faceva un gran caldo. Avevo una tuta mimetica con una canottiera bianca e un cappellino per il sole. Fra gli spettatori che mi avevano vista arrivare c’era un gruppo di miei fan che improvvisamente si mise a urlare: «Dalila! Dalila!».
Provai un po’ di imbarazzo ma, comunque, salutavo sorridendo.
Il “mio” tennista giocava in maniera particolare: faceva veri e propri show e sapeva far divertire il pubblico oltre che conquistarlo con la sua bravura. Quando arrivava a fondo campo per farsi dare le palline per il servizio, ogni volta guardava il suo pubblico in delirio. A un certo punto ho incrociato i suoi occhi. Da quel momento, ogni volta che veniva a prendere le palline guardava dalla mia parte.
È noto che nel gioco del tennis ci si alza e ci si sposta soltanto alla fine di ogni break; bene, durante uno di questi intervalli vidi arrivare verso di noi un signore che, dopo avere gentilmente salutato me e il mio amico, dice: «Signora Di Lazzaro, vorremmo che alla fine della partita, se le fa piacere, venisse nel nostro stand per un bicchiere di champagne... La prego di onorarci della sua presenza: ci sarà anche il giocatore di questo match che avrebbe tanto piacere di conoscerla».
Fui sorpresa e davvero felice per questo invito ma, data la mia riservatezza, rimasi come sempre perplessa e stavo per dire che non mi era possibile intervenire, ma al mio posto, subito, rispose il mio amico Alessandro: «Ma certo che verremo, con molto piacere...».
Alla fine della partita ci avvicinammo dunque allo stand vicino al campo e vidi il campione – che ovviamente aveva stravinto l’incontro – accerchiato da una moltitudine di persone: chi si complimentava, chi voleva un autografo, chi un’intervista oppure una ripresa televisiva...
Rimasi in disparte col mio amico e lui, vedendomi, fece segno con la mano di aspettarlo. Nel frattempo, ci offrirono da bere. Io lo osservai e dissi al mio amico: «Mamma mia, da vicino è ancora più bello!».
E lui: «È stato gentile a invitarti: ti vuole conoscere, e può diventare un amico simpatico... e poi ti piace, è il tuo idolo, no?».
A un certo punto, ecco che il campione si avvicinò e mi disse, in francese: «Sono molto felice di conoscerti».
Risposi che anch’io lo ero, aggiungendo che lui era il mio campione preferito e che quando lo vedevo giocare mi piaceva da impazzire...
Mi domandò se potevamo cenare insieme. E io, bloccata dalla mia timidezza dinnanzi a quell’improvviso invito, risposi che ero già impegnata.
E lui: «È davvero un peccato, avrei voluto conoscerti ma devo partire: oggi è il mio compleanno e i miei figli p...