Le porte di Roma
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Le porte di Roma

  1. 384 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Le porte di Roma

Informazioni su questo libro

Mentre a Roma, capitale di un dominio ormai tanto esteso da toccare tutte le sponde del Mediterraneo, la sacra istituzione della Repubblica inizia a vacillare sotto i colpi di ambiziosi uomini d’arme e politici spregiudicati, il giovane Caio Giulio, insieme all’amico fraterno Marco Bruto, viene affidato al feroce ex gladiatore Renio affinché gli insegni la disciplina e lo trasformi in un vero guerriero. L’addestramento è durissimo, fatto di prove massacranti, notti insonni, punizioni spietate. Ma è grazie a esso che si forgerà il suo carattere.
Ben presto per Caio l’infanzia è solo un remoto ricordo. Nel suo futuro cè Roma. È là che lo aspettano le scelte e gli incontri in grado di segnare il suo destino: quello con Mario, generale di innumerevoli campagne, uomo di grande coraggio e lealtà; o quello con l’incantevole Cornelia, per amore della quale è disposto a correre qualunque rischio.
Mentre le ombre della guerra civile si allungano sulla città eterna, Caio scopre gli intrighi, le passioni e le rivalità che travolgeranno la sua vita, consegnandola all’immortalità.

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Informazioni

A mio figlio Cameron
e a mio fratello Hal,
uno dei membri
del Club del Gatto Nero

1

Il sentiero nel bosco era un’ampia strada maestra per i due ragazzi che lo percorrevano. Entrambi erano talmente ricoperti di fango nerastro da non sembrare quasi piú esseri umani. Il piú alto aveva occhi azzurri che scintillavano vividi tra le striature di melma pruriginosa.
«Ci ammazzeranno, Marco» disse sogghignando. Nella mano stringeva una fionda appesantita da un ciottolo di fiume levigato.
«Colpa tua, Caio, che mi hai convinto a venire. Ti avevo pur detto che il letto del fiume non era completamente asciutto.»
Con queste parole, il ragazzo piú basso rise e spinse il compagno tra i cespugli che fiancheggiavano il viottolo. Con un grido di gioia, spiccò la corsa, inseguito da Caio che faceva roteare la fionda.
«All’attacco!» gridò con voce acuta.
Le percosse che li aspettavano a casa per aver rovinato le tuniche sembravano lontanissime e comunque conoscevano i trucchi per cavarsi d’impiccio... al momento opportuno. Ora la sola cosa importante era correre lungo i sentieri boscosi e spaventare gli uccelli. Le piante dei loro piedi nudi andavano già ispessendosi, benché nessuno dei due ragazzi avesse visto piú di otto primavere.
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«Questa volta lo prendo» ansimò Caio. Per lui era un mistero come Marco, pur possedendo come lui solo due braccia e due gambe, lo superasse invariabilmente nella corsa. Dopo tutto era piú basso, giusto?
Le foglie lo frustavano, percuotendogli le braccia nude. Sentiva Marco che, poco piú oltre, lo chiamava incitandolo. Serrò i denti. Incominciò a sentire un dolore ai polmoni.
Improvvisamente sbucò in una radura e si fermò di colpo, spaventato. Marco era a terra e si proteggeva la testa con la mano destra. Lo circondavano tre uomini... no, ragazzi piú grandi, armati di bastoni.
Caio si guardò attorno impaurito. La corsa li aveva portati fuori dalla piccola proprietà di suo padre, nella parte di bosco appartenente ai vicini. Avrebbe dovuto riconoscere il viottolo che ne segnava il confine, ma era stato troppo occupato a inseguire l’amico per farci caso.
«Bene, bene, che cosa abbiamo qui? Un paio di pesciolini appena usciti dal fiume!»
A parlare era stato Svetonio, il figlio piú grande del vicino. A quattordici anni, ammazzava il tempo in attesa di arruolarsi. Robusto, aveva una massa di capelli biondi che ricadevano sul viso punteggiato dai brufoli. Una spruzzata di pustole rossastre si perdeva all’interno della tunica praetexta.
Caio era spaventato. Lui e Marco avevano oltrepassato il confine. Il meglio che potevano sperare era buscarsi qualche pugno, il peggio una battuta in piena regola, che li avrebbe lasciati con qualche osso rotto. Lanciò un’occhiata all’amico e lo vide rimettersi in piedi a fatica.
«Lasciaci andare, Tonio, ci aspettano.»
«Pesci parlanti! Ne ricaveremo una fortuna, ragazzi! Prendeteli, ho un rotolo di corda per legare i porci che andrà benissimo anche per loro.»
Con Marco in quelle condizioni, Caio non prese neppure in considerazione l’idea di scappare. Quello non era un gioco. Avrebbero potuto tener testa a quei ragazzi solo trattandoli con cautela, come se fossero scorpioni pronti a colpire.
Bastoni alla mano, gli altri due si avvicinarono. Caio non li conosceva. Uno afferrò Marco per i piedi e l’altro, un ragazzotto robusto dall’aria stupida, conficcò il bastone nello stomaco di Caio, che, piegato in due, incapace persino di gridare, sentí il suo assalitore ridere.
«Ecco un ramo che fa al caso nostro. Legate loro le gambe e appendeteli a testa in giú. Vedremo chi di noi se la cava meglio con il giavellotto e i sassi.»
«Tuo padre conosce mio padre» ansimò Caio. Il dolore si stava attenuando.
«Vero, ma non gli piace. Mio padre è un vero patrizio, non come il tuo. Se solo volesse, voi tutti potreste essere nostri servi. E allora costringerei quella pazza di tua madre a lucidare i pavimenti.»
Il ragazzo armato di una corda di crine di cavallo era intento a legare i piedi di Caio. Quali possibilità aveva di trattare? Suo padre non aveva alcun reale potere in città e la famiglia di sua madre aveva prodotto soltanto un paio di consoli. Lo zio Marco, però, era un uomo potente... o almeno cosí diceva sua madre.
«Noi siamo nobili. Mio zio Marco è un uomo che è meglio non contrariare...»
Si udí un grido acuto quando la corda legata al ramo si tese, sollevando Marco a testa in giú.
«Lega l’altra estremità a quel ceppo. E ora occupiamoci del secondo pesciolino» disse Tonio ridendo allegramente.
Caio notò che gli altri due eseguivano senza discutere i suoi ordini. Sarebbe stato inutile appellarsi a loro.
«Lasciaci andare, schifoso sacco di pus!» gridò Marco, mentre il sangue gli affluiva al viso.
Caio gemette. Ora sí che li avrebbero uccisi!
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«Sei un idiota, Marco. Non parlare dei suoi brufoli; si vede lontano un miglio che sono un punto dolente.»
Attonito, Svetonio rimase a bocca aperta. Il ragazzo robusto, pronto a gettare la corda intorno al ramo, si immobilizzò.
«Oh, oh, hai commesso un errore, pesciolino. Finisci di legare l’altro, Decio, mentre io faccio sanguinare un po’ questo qui.»
Di colpo Caio vide il mondo rovesciarsi. Sentí il ramo scricchiolare e avvertí un ronzio alle orecchie mentre il sangue gli affluiva alla testa. Ruotò lentamente su se stesso, fino a trovarsi faccia a faccia con Marco. Dopo il primo colpo, l’amico perdeva sangue dal naso.
«Hai arrestato l’emorragia, Tonio. Grazie.» La voce di Marco tremava appena e Caio sorrise del suo coraggio.
Quando era andato a vivere da loro, Marco era un bambino nervoso e troppo piccolo per la sua età. Un giorno Caio gli aveva mostrato la proprietà e i loro vagabondaggi li avevano portati nel fienile, in cima alle balle di fieno accatastate. Quando avevano guardato in basso, Caio si era accorto che le mani del suo nuovo amico tremavano.
«Scendo prima io, per farti vedere come si fa» aveva detto allegramente, prima di tuffarsi.
Era rimasto in attesa un’eternità prima di vedere la piccola figura saettare nell’aria. Si era scostato appena in tempo mentre Marco affondava nel fieno, rosso in faccia e ansimante.
«Credevo che avessi troppa paura per saltare giú.»
«Infatti» aveva replicato l’altro tranquillamente. «Ma non voglio avere paura. Non voglio e basta.»
La voce aspra di Svetonio lo strappò ai ricordi. «Signori, la carne va ammorbidita con le canne. Prendete posizione e datevi da fare... cosí.»
Sferrò un colpo alla testa di Caio, colpendolo sopra l’orecchio. Il mondo si fece bianco, poi nero, e quando riaprí gli occhi tutto gli roteava intorno. Sentí Svetonio contare: «Uno-due-tre, uno-due-tre...».
Gli parve di udire Marco gridare, poi svenne, accompagnato da un coro di beffe e risate.
Rinvenne e di nuovo perse conoscenza un paio di volte. Stava già imbrunendo quando tornò definitivamente in sé. L’occhio destro era un ammasso sanguinolento e si sentiva il viso gonfio e viscido. Erano ancora appesi a testa in giú, a dondolare lentamente nella brezza della sera che soffiava dalle colline.
«Svegliati, Marco... Marco!»
L’altro non si mosse. Aveva un aspetto terribile, simile a quello di un demone. La crosta di fango si era sbriciolata e ora era soltanto polvere grigia, striata di rosso e porpora. Aveva la mascella gonfia e un bernoccolo sulla tempia. La mano sinistra, anch’essa innaturalmente gonfia, appariva bluastra nella luce morente. Caio cercò di muovere le mani, ancora legate. Erano irrigidite, ma funzionavano entrambe e allora cercò di liberarsi. Preoccupato per l’amico, quasi non avvertí il dolore. Per prima cosa Caio doveva rimettersi in posizione eretta.
Liberata una mano, protese il braccio verso il suolo, scavando con le dita nella polvere e tra le foglie morte. Niente. Liberò quindi anche l’altra mano per allargare il campo di ricerca, ondeggiando lentamente su se stesso. Ecco. Una piccola pietra dal bordo affilato. Ora veniva la parte piú difficile.
«Marco? Mi senti? Adesso libero tutti e due, non preoccuparti. Poi ucciderò Svetonio e quei grassoni dei suoi amici.»
Marco ruotava su se stesso, la bocca aperta e senza vita. Caio inspirò profondamente, preparandosi al dolore. In circostanze normali, tagliare una corda cosí robusta con un ciottolo non sarebbe stato cosí semplice, ma con l’addome ridotto a un ammasso livido e dolente, l’impresa si prospettava ancora piú difficile.
Forza.
Gridando forte per il dolore, si sollevò inarcando il corpo. Ansimante per lo sforzo, riuscí ad aggrapparsi al ramo con entrambe le mani. Si sentiva senza forze e aveva la vista annebbiata. Pensò che avrebbe vomitato e che non sarebbe riuscito a resistere in quella posizione per piú di pochi secondi. Poi però, un centimetro dopo l’altro, staccò la mano con cui stringeva il sasso e cominciò a segare la corda, attento a non toccare la pelle nei punti in cui sanguinava.
Il bordo della pietra non era abbastanza affilato e lui era allo stremo delle forze. Sperava di lasciarsi andare a terra, in modo da controllare la caduta prima che l’altra mano gli scivolasse dalla presa, ma era impossibile.
«Ho ancora il sasso» si disse. «Devo riprovarci, prima che Svetonio ritorni.»
Poi un altro pensiero lo colpí. Forse suo padre era rientrato da Roma; ormai lo aspettavano da un momento all’altro. Stava scendendo il buio e certo si sarebbe preoccupato. Immaginò che venisse alla loro ricerca, che li chiamasse a gran voce a mano a mano che si avvicinava alla radura. Non doveva trovarli in quella situazione, sarebbe stato troppo umiliante.
«Marco? Diremo a tutti che siamo caduti. Non voglio che mio padre venga a sapere quello che è successo.»
Marco, che era ancora svenuto, continuava a ruotare su se stesso.
Per altre cinque volte Caio, ansimando, diede di piglio alla corda, finché questa finalmente si ruppe. Cadde e singhiozzò con i muscoli che si torcevano. Con grande fatica, staccò Marco dal ramo e lo stese a terra.
Svegliato da quel nuovo dolore, Marco aprí gli occhi.
«La mano» bisbigliò con voce rotta.
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«Fratturata, direi. Non muoverla. Dobbiamo andarcene; Svetonio potrebbe tornare, o potrebbe arrivare mio padre. È quasi buio. Ce la fai a reggerti in piedi?»
«Credo di sí, anche se ho le gambe molli» borbottò l’altro. «Quel Tonio è un bastardo.» Parlò attraverso le labbra gonfie e spaccate, cercando di non muovere la mascella.
Caio annuí cupo. «Già, abbiamo un conto da regolare con lui.»
Marco sorrise con una smorfia di dolore. «Solo quando ci saremo rimessi in sesto, d’accordo? Al momento non me la sentirei proprio di affrontarlo.»
Sostenendosi l’un l’altro, i due ragazzi si incamminarono nell’oscurità. Percorsero per un miglio la distesa dei campi di grano, oltrepassarono gli alloggi degli schiavi e arrivarono infine alla casa. Come si aspettavano, le lampade a olio ardevano ancora, rischiarando le mura dell’edificio principale.
«Tubruk ci starà aspettando; lui non dorme mai» mormorò Caio mentre attraversavano la soglia del portone d’ingresso.
Una voce dall’ombra li fece sussultare.
«Ed è bene che sia cosí. Per nulla al mondo mi sarei perso questo spettacolo. È una fortuna che tuo padre non sia qui, o ti avrebbe scorticato vivo per avere avuto l’ardire di presentarti conciato in questo modo. Cosa è stato, questa volta?»
Tubruk emerse nell’alone giallo proiettato dalla lampada. Ex gladiatore, si era guadagnato la posizione di sovrintendente della piccola proprietà fuori Roma. Gli schiavi lavoravano sodo sotto la sua sorveglianza, alcuni spinti dalla paura, altri dal rispetto. Scrutò con aria severa i due ragazzi.
«Siete caduti nel fiume, eh? A giudicare dall’odore.»
Entrambi annuirono con slancio.
«Ma quei segni non ve li siete certo procurati sul letto del fiume. Svetonio, vero? Avrei dovuto prenderlo a calci nel didietro anni fa, quando era ancora abbastanza piccolo per cambiare. Allora?»
«No, Tubruk. Abbiamo litigato e ce le siamo date. Non c’era di mezzo nessun altro, e se anche ci fosse stato, avremmo preferito cavarcela da soli.»
L’uomo rise. Aveva quarantacinque anni, ma i suoi capelli si erano ingrigiti già verso i trenta. In Africa con la terza Legione Cirenaica, aveva combattuto quasi cento battaglie come gladiatore, collezionando un numero impressionante di cicatrici. Allungò la mano, grossa come un badile, e la passò tra i capelli di Caio.
«Capisco, lupacchiotto. Sei il degno figlio di tuo padre. Ma non sei ancora in grado di affrontare certe sfide, sei solo un ragazzino e Svetonio, ho sentito, sta diventando un giovane guerriero coraggioso. Fai attenzione, suo padre è troppo potente: è meglio non rischiare di farsi un nemico tanto potente in senato.»
Caio raddrizzò le spalle e parlò con tutta l’autorità di cui era capace.
«Allora è una fortuna che questo Svetonio non abbia niente a che fare con noi.»
Tubruk annuí, sforzandosi di non sorridere.
Piú sicuro di sé, il ragazzo riprese: «Manda a chiamare Lucio perché curi le nostre ferite. Ho il naso fratturato e quasi certamente Marco si è rotto una mano».
Tubruk li seguí con lo sguardo mentre trotterellavano all’interno, poi riprese il suo posto di guardia, come tutte le notti. Presto sarebbe arrivata l’estate e le giornate si sarebbero fatte intollerabilmente calde. Era bello essere vivi sotto quel cielo limpido, con davanti la prospettiva di una notte di onesto lavoro.
La mattina seguente fu un’agonia di muscoli indolenziti, tagli e lividi e i due giorni successivi furono persino peggiori. Marco aveva contratto una febbre che, secondo il medico, gli era penetrata nella testa attraverso l’osso fratturato della mano, ormai terribilmente gonfia. Per alcuni giorni dovette rimanere al buio, mentre Caio aspettava, preoccupato, seduto fuori sui gradini.
A quasi una settimana esatta dall’aggressione nel bosco, Marco dormiva, ancora debole, ma ormai in via di guarigione. Caio provava ancora dolore quando stirava i muscoli e il suo viso era un caleidoscopio di gialli e di rossi, lucido nei punti in cui i tagli si andavano rimarginando. Ma era arrivato il momento: il momento di trovare Svetonio.
Mentre vagabondava tra i boschi della proprietà paterna, aveva la mente piena di pensieri e di timori. E se Svetonio non si fosse fatto vedere? Non c’era motivo di pensare che si avventurasse regolarmente da quelle parti. E se fosse stato in compagnia dei suoi amici? In quel caso lo avrebbero certamente ucciso. Questa volta Caio aveva portato un arco con sé, e camminando si esercitava. Era un arco da adulti, decisamente troppo grande per lui, ma aveva scoperto di poterne piantare l’estremità nel terreno e incoccare una freccia tendendo la corda quanto bastava per spaventare il nemico, se si fosse rifiutato di indietreggiare.
«Sei un maiale pieno di pus, Svetonio. Se ti sorprendo sulla terra di mio padre, ti conficco una freccia nella testa.»
Caio parlava da solo mentre camminava. Era una bella giornata e si sarebbe goduto la passeggiata se non fosse stato animato da un proposito tanto serio. Si era oliato i capelli castani e indossava indumenti puliti e comodi, che gli permettevano di muoversi con scioltezza.
Era ancora al di qua del confine e rimase quindi sorpreso nel sentire dei passi piú avanti. Poi vide Svetonio: era in compagnia di una ragazza che ridacchiava. L’adolescente era cosí occupato a cercare di abbracciarla che non si accorse subito di lui.
«Hai sconfinato.» Caio notò con piacere che la propria voce, benché un po’ stridula, era ferma. «Sei nella proprietà di mio padre.»
Svetonio trasalí, imprecando. Guardò Caio piantare un’estremità dell’arco nel terreno e rise.
«Un lupacchiotto, questa volta! Vedo che sei una creatura dalle molte forme. Non ne hai avuto abbastanza, l’ultima volta?»
La ragazza era graziosa, ma Caio avrebbe preferito che se ne andasse. Non aveva previsto una spettatrice e avvertiva nell’avversario un nuovo, piú alto grado di pericolosità.
Con gesto teatrale, Svetonio circondò con un braccio le spalle della giovane.
«Attenta, mia cara. È un combattente pericoloso, soprattutto quando è appeso a testa in giú. Allora nessuno può fermarlo!» Rise, e la ragazza lo imitò.
«È quello di cui mi hai parlato, Tonio? Guarda che musetto arrabbiato!»
«Se ti rivedo da queste parti, ti trapasso con una freccia» minacciò Caio, affastellando le parole. Tese la corda di qualche pollice. «Ora vattene, o ti colpirò.»
Svetonio aveva smesso di sorridere e valutava la situazione.
«D’accordo, parvus lupus, ti darò quello che cerchi.»
Senza alcun avvertimento, si lanciò contro di lui e la freccia, scoccata troppo presto, gli lacerò la tunica, ma cadde senza colpirlo. Con un grido di trionfo, Svetonio si fece avanti con le mani tese. Nei suoi occhi c’era una luce crudele. In preda al panico, Caio agitò l’arco colpendolo al naso. Il sangue sprizzò e Tonio ruggí di dolore. Quando Caio sollevò di nuovo l’arco, Svetonio lo afferrò con una mano mentre con l’altra gli serrava la gola. Tale era la sua furia che lo trascinò con sé per sei o sette passi.
«Altre minacce?» grugní stringendo la presa. Il sangue che gli sgorgava copioso dal naso aveva imbrattato la tunica praetexta. Strappato l’arco dalle mani di Caio, prese a colpirlo con quello.
“Mi ucciderà e fin...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Le porte di Roma