Prima «posta» e prima «prova»… La notte del Terrore… la Difesa prende il controllo… Ventiquattr’ore di interrogatori… Un rapimento dentro l’altro… Festa arabo-americana.
«Le regole sono cambiate. Quello che non era un crimine adesso è considerato un crimine.»
«Ma io non ho commesso nessun crimine, e non importa quanto siano severe le vostre leggi, io non ho fatto niente.»
«E che succede se ti mostro la prova?»
«Impossibile. Ma se me la mostra, collaborerò con voi.»
- - - - - mi mostrò i peggiori individui in - - - -. Ce n’erano quindici, e io ero il numero 1; il numero 2 era - - - - - - - 1.
«Mi sta prendendo in giro» dissi io.
«No, per nulla. Non capisci quanto è grave la tua situazione?»
«Mi avete rapito dalla mia casa e dal mio paese, mi avete mandato in Giordania per torturarmi, e poi dalla Giordania mi avete mandato a Bagram, e dopo tutto questo sono peggio io di quelli che avete catturato con le armi in pugno?»
«Sì, è così. Sei molto intelligente. Per me, tu corrispondi a tutti i criteri che identificano un terrorista di alto livello. Sulla lista di controllo dei segni di identificazione di un terrorista, tu arrivi a un punteggio molto alto.»
Ero molto spaventato, ma cercavo sempre di reprimere la paura. «E che cos’è la sua - - lista?»
«Sei arabo, sei giovane, hai partecipato allo jihad, parli le lingue straniere, sei stato in molti paesi, sei laureato in una disciplina tecnica.»
«E questo sarebbe un crimine?» chiesi.
«Prendi i dirottatori: avevano tutti queste caratteristiche.»
«Non sono qui per difendere nessuno, a parte me stesso. Non me ne parli neanche, degli altri. Ho chiesto del mio crimine, non di quelli di questo o quello. Non me ne importa niente, di loro!»
«Ma tu fai parte di un grande complotto contro gli Stati Uniti.»
«Continua a dirmelo. Allora mi dica che parte avrei avuto, in questo “grande complotto”!»
«Ora te lo dico, ma sabr, sii paziente!»
Le sedute continuarono con argomenti di questo tenore. Poi un giorno quando entrai nella stanza degli interrogatori - - - - - - - - - - - -, vidi un’apparecchiatura video già pronta. A essere sincero, avevo il terrore che mi mostrassero un video in cui commettevo un attentato. Non che avessi fatto mai niente del genere in vita mia. Ma un altro detenuto chiamato - - - - - - - - - - - - - - - - mi aveva detto che i suoi inquisitori avevano falsificato un passaporto americano con la sua foto. «Guarda,» gli avevano detto «adesso abbiamo la prova definitiva che hai falsificato questo passaporto, e che lo stavi usando per attività terroristiche.» - - - - - - - si era fatto quattro risate per la stupidità dei suoi inquisitori. «Avete dimenticato che sono un esperto di computer e che so che il governo degli Stati Uniti non avrebbe difficoltà a falsificare un passaporto al posto mio» disse. Gli inquisitori rimisero via il passaporto, e non ne riparlarono più.
Situazioni come questa mi rendevano piuttosto paranoico, pensando al fatto che il governo poteva falsificare qualcosa contro di me. Vengo da un paese del Terzo Mondo, so bene come la polizia possa incolpare ingiustamente gli oppositori politici di qualche reato, in modo da neutralizzarli. Nascondere armi in casa di qualcuno, in modo da far credere a un tribunale che la vittima si preparava a commettere violenze, è pratica comune.
«Sei pronto?» disse - - - - -.
«Sììì» dissi io, tentando di non perdere il mio autocontrollo, anche se la mia faccia arrossata diceva già tutto. - - - - - premette il tasto PLAY e cominciammo a guardare il filmato. Ero pronto a fare un salto sulla sedia, pensando di vedermi mentre mettevo una bomba in qualche base americana a Timbuctu. Ma il nastro era tutt’altra cosa. Una registrazione di Osama bin Laden che parlava con qualcuno dei suoi, che non riconobbi, degli attacchi dell’11 settembre. Parlavano in arabo. Mi godetti il fatto di capire l’audio, mentre gli inquisitori dovevano accontentarsi dei sottotitoli.
Dopo una breve conversazione tra Osama e l’altro tizio, un commentatore televisivo disse che il filmato era molto controverso. La qualità era molto scarsa; probabilmente era stato sequestrato dalle forze statunitensi in qualche covo di Jalalabad.
Ma non era questo il punto. «Che cosa ho a che fare io con questa stronzata?» chiesi in tono adirato.
«Sai che c’è Osama bin Laden dietro l’11 settembre» disse - - - - -.
«Si rende conto che io non sono Osama bin Laden, vero? Questa faccenda è tra voi e Osama bin Laden; a me non interessa, io ne sono fuori.»
«Pensi che quello che ha fatto fosse giusto?»
«Non me ne importa un fico. Prendete Osama bin Laden e punite lui.»
«Che cosa provi per quello che è successo?»
«Provo che io non c’entro niente. Tutto il resto non ha nessuna importanza, in questo caso!» Quando tornai al braccio - - - - dissi ai miei amici della pagliacciata sulla “prova decisiva” contro di me. Nessuno rimase sorpreso, perché a molti altri detenuti era stato fatto lo stesso scherzetto.
Durante un colloquio con - - - - - e il suo collega, sollevai una questione che ritenevo fondamentale.
«Perché non mi fate avere la posta?»
«Ho controllato, ma non ne hai.»
«Sta tentando di dirmi che la mia famiglia si rifiuta di rispondermi?»
I fratelli del mio braccio erano dispiaciuti per me. Sognavo quasi ogni notte di ricevere posta dalla mia famiglia. Parlavo sempre dei miei sogni ai vicini delle celle accanto e gli interpreti di sogni continuavano a darmi speranze, ma lettere non ne arrivavano. «Ho sognato che ti arrivasse una lettera dalla tua famiglia» mi sentivo dire spesso. Era davvero duro per me vedere che gli altri detenuti avevano foto dei loro famigliari, mentre io non avevo niente, ma proprio niente. Non che non volessi che ricevessero lettere, anzi, ero contento per loro, e leggevo la loro posta come se venisse da mia madre. Era usanza far girare le lettere appena ricevute per tutto il braccio, perché tutti le leggessero, anche quelle più intime che parlavano d’amore all’amato.
- - - - - moriva dalla voglia di farmi collaborare con lui, e sapeva che avevo sollevato il problema con gli altri detenuti. Così si mise d’accordo con gli addetti alla posta per farmi avere qualcosa. Trovarono gli ingredienti e li cucinarono, e intorno alle cinque del pomeriggio il postino si presentò da me per consegnarmi una lettera, proveniente a quanto pareva da mio fratello. Prima ancora di leggerla, mi misi a gridare al resto del braccio: «Ho ricevuto una lettera dalla famiglia. Non ve l’avevo detto, che i miei sogni si sarebbero avverati?». I miei compagni di prigionia mi risposero in un coro disordinato: «Congratulazioni, passami la lettera quando l’hai letta!».
Cominciai a leggerla, impaziente, ma ebbi quasi subito uno shock: era un falso, e anche mal fatto. Non veniva dalla mia famiglia, era un prodotto della gente dell’intelligence.
«Cari fratelli, mi dispiace ma non ho ricevuto nessuna lettera!»
«Canaglie, hanno fatto lo stesso scherzo ad altri detenuti» disse un vicino. Era un falso così rozzo e dilettantesco che neanche uno sciocco ci sarebbe cascato. Primo, non ho un fratello con quel nome. Secondo, avevano sbagliato il mio nome. Terzo, la mia famiglia non vive dove diceva il mio interlocutore, anche se era lì vicino. Quarto, non solo conosco la calligrafia di ogni persona della mia famiglia, ma anche il modo in cui ciascuno mette sulla carta le sue idee. La lettera era una specie di predica. «Sii paziente come i tuoi antenati, e abbi fede in Allah che saprà ricompensarti.» Ero veramente furioso per questo tentativo di ingannarmi e di giocare con le mie emozioni.
Il giorno dopo, - - - - - mi convocò per l’interrogatorio.
«Come sta la tua famiglia?»
«Bene, spero.»
«Mi sono dato da fare, per farti avere la lettera!»
«Grazie mille, bel tentativo, ma se voialtri volete falsificare la posta per me, lasciate che vi dia qualche consiglio.»
«Di che cosa stai parlando?»
Sorrisi. «Se davvero non lo sa, va bene. Ma è stata una cosa meschina preparare un messaggio falso per farmi credere di essere in contatto con la mia amata famiglia» dissi, restituendogli la strana lettera.
«Non mi piace per niente, questa cosa» disse - - - - -.
«Non so cosa credere. Ma credo in Dio, e se non vedrò la mia famiglia in questa vita, spero di vederla nell’aldilà, per cui non si preoccupi.» Sinceramente non ho prove che mi dicano se - - - - - fosse coinvolto o no in quello sporco giochetto. Ma so che nell’insieme la faccenda è molto più grossa di - - - - -; sono molti quelli che lavorano dietro le quinte2. - - - era responsabile del mio caso tramite - - - - -, ma un paio di volte fui interrogato da altri - - - - - - - - - - - - - senza il suo consenso, e senza che lui lo venisse neanche a sapere. Quanto alle lettere dalla mia famiglia, ricevetti la prima, un messaggio della Croce Rossa, il 14 febbraio 2004, ottocentosedici giorni dopo essere stato rapito da casa mia, in Mauritania. Il messaggio era stato scritto da sette mesi, quando mi arrivò.
«Ti farò vedere tutte le prove, un po’ alla volta» disse - - - - - un giorno. «C’è un pezzo grosso di Al-Qaeda che ci ha detto che ci sei dentro anche tu.»
«Non dovreste neanche farmi domande, allora, visto che avete un testimone. Portatemi in tribunale e fatemi friggere sulla sedia» dissi io. «E che cosa avrei fatto, secondo il vostro testimone?»
«Ha detto che hai partecipato al complotto.» ...