«Il regno d’Inghilterra era ingovernabile... perché il re era un semplice... non reggeva la sua casa, non faceva guerre.»
ANONIMO CRONACHISTA INGLESE
DEL QUINDICESIMO SECOLO
Derry Brewer, in piedi sotto una pioggia torrenziale, osservava la colonna di soldati a cavallo percorrere il maestoso viale del castello di Kenilworth. Non c’era modo di ripararsi da quel diluvio e i soldati cavalcavano a testa bassa, più di cento uomini che indossavano armature complete e reggevano vessilli così inzuppati d’acqua che si avvolgevano alle aste. Ma anche così erano all’erta, pronti a qualsiasi evenienza. Nonostante i quattro anni di pace ora tutta l’Inghilterra era in fermento, sobbolliva come una pentola sul fuoco.
Derry si fece avanti per tagliare la strada alla colonna, prendendo posizione al centro della carreggiata. Aveva scelto sei tipi robusti per accompagnarlo, in modo da formare un gruppo dall’aspetto decente, e due cavalli bianchi da tiro aiutavano a bloccare il viale, animali enormi due volte più pesanti e muscolosi di un cavallo da guerra. Per come stavano le cose Derry dubitava che qualcuno dei visitatori che stavano arrivando si sarebbe fermato davanti a un uomo solo. Il brutto tempo non aiutava e nemmeno il fatto che il castello fosse in vista, promettendo calore e sicurezza. Alzò la mano mostrando il palmo e sfoggiando tutta la sicurezza che riuscì a trovare mentre la pioggia gli martellava sulla pelle. Accanto a lui il suo amico Wilfred Tanner teneva alto il vessillo reale, una chiazza di rosso e oro visibile a distanza. Il piccolo contrabbandiere ossuto e tremante era tutto fiero di poter portare i colori del re.
Era passata da poco l’una dopo mezzogiorno, anche se il cielo coperto di nuvole rendeva grigio e scuro il grande viale. Derry osservava i cavalieri che gli venivano incontro, aspettando il momento in cui lo avrebbero avvistato e avrebbero avvertito il duca di cui formavano la scorta. Anche se riusciva a vedere soltanto le prime file di armati, sapeva che al centro di quella massa di uomini si trovava colui che doveva assolutamente vedere.
«Fermatevi, in nome del re!» urlò al di sopra del frastuono del vento, imprecando sottovoce quando non ottenne risposta. La colonna continuò ad avanzare al trotto, senza dar segno di voler rallentare; se l’uomo al comando non avesse dato l’ordine di fermarsi, Derry sapeva che sarebbe piombata sul suo piccolo gruppo, disperdendolo. C’era una diffidenza diffusa e sembrava che tutti i baroni e i cavalieri stessero radunando uomini e comprando armi. Il pentolone pareva sul punto di scoperchiarsi con tutto quel fuoco sotto.
Quando la prima fila di cavalieri fu a pochi passi da lui, si udì una voce impartire un secco ordine che si propagò lungo la colonna: i cavalieri si fermarono prima di mandare Derry a gambe all’aria, così vicini a lui che avrebbe potuto toccare il muso di un cavallo.
La pioggia scrosciava con maggiore violenza, senza tuoni, come se il cielo si fosse spalancato per rovesciare in un solo giorno l’acqua di un mese intero, allagando il terreno e facendo risuonare la armature sotto gli scrosci fragorosi.
«Chi siete per bloccarci la strada?» gridò un cavaliere nella seconda fila. «State intralciando il passo al duca di Somerset! Fatevi da parte.»
Derry sentì che quegli uomini armati non avrebbero esitato a usare la violenza, innervositi e irritati com’erano. Dato che nessuno si era alzato la celata era difficile capire chi di loro avesse parlato, avrebbero potuto essere statue d’argento seminascoste dai mantelli blu, resi quasi neri dalla pioggia.
«Vorrei parlare con Henry Beaufort, duca di Somerset» disse Derry con voce chiara e forte. «Conoscevo bene suo padre, un tempo ero suo amico. Parlo a nome del re e della regina Margherita. Come vedete non ho con me armigeri che possano minacciarvi, ma per ordine del re devo parlare con Somerset prima che entriate nel castello.»
I cavalieri più vicini a lui lo osservarono attraverso le fessure della visiera, mentre gli altri si voltarono indietro e Derry allungò il collo per vedere chi fra loro portasse i colori dei Somerset sotto il mantello infradiciato, dalla fascia blu e bianca con i gigli dorati inquartati con i leoni d’Inghilterra. Derry fissò lo sguardo su quella figura snella, provando una stretta al cuore al ricordo del padre. Uno dei cavalieri si piegò verso il suo signore e gli mormorò qualcosa che Derry non poté udire, ma con suo sollievo vide il giovane duca scuotere la testa e spronare il cavallo da guerra per portarlo in testa alla colonna. Come il suo padrone, l’enorme animale aveva la testa e il petto protetti da piastre di metallo, che seguivano i movimenti del cavallo e in grado di resistere praticamente a ogni colpo. Contro un uomo disarmato l’armatura era un’arma in se stessa e Derry provò un certo disagio, sapendo che un passo falso avrebbe potuto significare la morte.
Mentre Derry lo osservava, il nuovo duca di Somerset si alzò la celata, scoprendo gli occhi e strizzandoli subito sotto la pioggia battente.
«Vostra grazia, mi chiamo Derry Brewer. Conoscevo vostro padre.»
«Mi parlava di voi» replicò Henry Beaufort corrucciato. «Diceva che eravate degno di fiducia, anche se intendo farmi un mio giudizio. Che cosa volete da me?»
«Una parola in privato, milord, ve lo chiedo per l’onore del mio nome, il mio giuramento di fedeltà e la mia posizione come servitore di sua maestà il re.»
Derry attese sotto lo sguardo freddo del giovane, ma prima che Somerset potesse rispondere, parlò uno dei suoi cavalieri: «Milord, c’è qualcosa che non va. Fermarci in strada sotto questo diluvio? Entriamo nel castello della regina, sentiremo là che cosa ha da dire quest’uomo».
«È urgente, milord» insistette Derry, aggiungendo: «Sono disarmato».
Il dubbio che Somerset potesse farsi trattenere da cautela o timore fu sufficiente a farlo incollerire. Smontò da cavallo e si avvicinò a grandi passi a Derry, sovrastandolo minacciosamente. Per tutta risposta Derry si voltò e condusse il giovane a qualche passo di distanza dai suoi uomini, che rimasero a osservarli, pronti a piantare gli sproni nei fianchi dei cavalli alla prima mossa falsa.
«Che volete?» sibilò Somerset, piegandosi su Derry. «Sono stato convocato qui con un documento che porta il sigillo reale. Che cosa avete da dirmi perché io vi ascolti sotto la pioggia?»
Derry respirò di sollievo: «C’è un uomo nella vostra compagnia, milord, che ha passato dei documenti al conte Salisbury meno di un mese fa. I miei uomini lo hanno visto dare le pergamene a un uomo che poi hanno pedinato».
«Un traditore?» esclamò Somerset sorpreso. «E perché non mi avete informato prima?»
Derry si sentì arrossire nonostante il freddo.
«Milord, qualche volta è utile sapere chi tradisce senza esporlo pubblicamente. Così facendo lo si può usare per dare false informazioni al padrone, non so se mi sono spiegato.»
«Però ora mi avete fermato per informarmi» fece notare Somerset, fulminando con lo sguardo il malandato capo delle spie.
«A Kenilworth vi saranno rivelati dei piani che quell’uomo non deve conoscere, milord. Ho pensato che sarebbe stato più semplice risolvere il problema per strada, senza chiasso, anziché alla presenza della regina.»
«Capisco. E qual è il nome di quest’uomo che dovrebbe essere condannato soltanto perché lo dite voi?»
Derry trasalì al tono diffidente del giovane duca.
«Sir Hugh Sarrow, milord. E non esiste alcun dubbio in proposito. Rimandatelo a casa, se preferite, anche se lui capirà e andrà direttamente dai vostri nemici, se lo farete.»
Somerset lanciò un’occhiata ai cavalieri in vigile attesa: «Sir Hugh? Era uno degli uomini di mio padre, lo conosco fin da bambino!».
«Eppure è così, milord. Non può entrare nel castello e venire a sapere cose che sono destinate alle vostre orecchie soltanto. Vostro padre si fidava di me, milord. Il re e la regina si fidano ancora di me. Il mio compito è questo, scovare i traditori e utilizzarli. O distruggerli.»
«Mio padre vi conosceva, mastro Brewer. Io no. E se rifiutassi?»
«Mi dispiace di dovervi dire che sarete fermato sulla porta.» Derry respirava a fatica, ben sapendo che gli uomini come Henry Beaufort erano abituati a un’ubbidienza assoluta. «Non potete entrare con quell’uomo lasciandolo libero, milord. Su vostro ordine potrebbe essere legato e rinchiuso in una cella mentre voi parlate con la regina. A me sarebbe gradito poterlo interrogare, ma è un vostro uomo. La decisione spetta a voi.»
Derry sussultò quando Somerset si girò verso i suoi e ruggì: «Sir Hugh Sarrow! Qui da me!».
Vi fu un movimento fra i ranghi e un cavaliere si portò in testa alla colonna, smontò e si diresse con passo rigido verso il suo signore e Derry Brewer.
«Toglietevi l’elmo, sir Hugh» gli ordinò Somerset. Il cavaliere mostrò un volto lungo, preoccupato, nascosto in parte dai baffi: gli occhi saettavano dall’uno all’altro dei due uomini.
Somerset si chinò su Derry, così vicino da fargli sentire il calore del suo alito: «Io sono fedele al re, mastro Brewer. La morte di mio padre grida vendetta e vendetta io avrò. Se con questo avete voluto mettere alla prova la mia fedeltà al sovrano, ecco la mia risposta». Senza alcun preavviso, trasse la spada e, girando il busto, con un fendente formidabile colpì il collo nudo del cavaliere. Prima di tranciare la carne, la lama colpì il metallo della gorgiera facendo scaturire una scintilla spenta immediatamente dalla pioggia e dal sangue.
Sir Hugh barcollò per la forza dell’urto, il volto si fece cereo, una mano si accostò alla gola e un istante dopo, con gli occhi sbarrati, l’uomo crollò nel fango.
Derry fissò il giovane che gli stava davanti, scorgendo sul suo viso una furia che mai avrebbe immaginato.
«Ecco fatto» disse Somerset. «Avete altro da dirmi, mastro Brewer? Sono bagnato fradicio, fa freddo e vorrei sapere che cosa mi aspetta a Kenilworth.»
«Vi ringrazio della fiducia, milord» disse Derry scosso. Fece un gesto ai suoi compagni, che si allontanarono dalla carreggiata, misero ostacolo sulla strada dei cavalieri. Somerset tornò con passo deciso alla sua cavalcatura, montò in sella e la colonna si mosse, gli elmi girati verso Derry con sospetto e antipatia. Il capo delle spie si allontanò dalla strada, il suo compito portato a termine.
Quando i cavalieri furono passati, fece un cenno ai suoi, che legarono il cadavere nella sua armatura ai cavalli da tiro e se lo trascinarono nel fango, diretti al castello.
Margherita fissò con un’espressione intensa Derry e un altro uomo che le si inchinavano davanti. I capelli del capo delle spie erano ancora bagnati, ma Derry si era cambiato d’abito prima di presentarsi alla regina. Per quanti avvertimenti poteva aver dato al suo compagno, questi era palesemente terrorizzato nel trovarsi sottoposto allo scrutinio della sovrana d’Inghilterra. Era un individuo magrissimo, con un ciuffo di capelli castani ribelli che sembravano lisciati con lo sputo. Tremava mentre cercava di imitare Derry, allungando una gamba davanti a sé e inchinandosi profondamente. Con divertimento di Margherita, Derry dovette sostenerlo per impedirgli di cadere rovinosamente.
Nonostante un temporale si fosse abbattuto sul castello quel giorno, la lunga e torrida estate del 1459 aveva aperto delle crepe nell’intonaco del castello e aveva bruciato l’erba dei prati tutto intorno. Margherita amava Kenilworth.
Tre anni prima, ventisei potenti cannoni erano stati issati sugli spalti, sufficienti a difendere il castello e tutti i terreni intorno. Margherita non aveva dato nessun preavviso delle sue intenzioni, nessun segno di non essere assolutamente appagata dalla sua sorte. Ne aveva parlato soltanto con Derry Brewer, l’unico di cui si fidava. Insieme avevano fatto in modo che il re lasciasse i suoi appartamenti a Westminster, convincendo i medici che aveva bisogno di stare in campagna, e non appena usciti da Londra Margherita lo aveva portato in tutta fretta al Nord prima che qualcuno venisse a sapere che cosa aveva in mente. Nei tre anni seguenti la regina aveva ricevuto da Londra centinaia di missive indignate e di araldi, ma che cosa poteva fare York? Senza il re non si poteva convocare il parlamento. La legge e l’ordine cominciavano a venir meno in Inghilterra, ma Kenilworth era una fortezza e perfino York non avrebbe osato assediarla con un esercito per sottrarre il sovrano alla moglie.
«Avvicinatevi, mastro Brewer, e fate avvicinare anche il vostro... compagno, in modo che possa giudicare la qualità degli uomini che impiegate a nome di mio marito.»
Raddrizzandosi, Derry notò lo sguardo malizioso della regina e sorrise.
«Questo splendido campione è Wilfred Tanner, altezza. Mi è stato utile in quest’ultimo anno. Era un contrabbandiere, anche se non molto bravo...»
«Derry!» sibilò Tanner inorridito per quella rivelazione del suo precedente mestiere.
«...ma ora è al servizio del re,» continuò tranquillamente Derry «viaggia con me per tutta l’Inghilterra e raccoglie le adesioni.» Tenne alta una borsa di cuoio piena zeppa di pergamene. «Un’altra cinquantina, altezza. Dichiarazioni firmate sul loro onore da uomini che si uniranno ai vostri Prodi.»
«Voi mi servite bene, mastro Brewer. Mio marito parlava spesso della vostra lealtà. Se fosse qui, so che vi esprimerebbe la sua gratitudine per tutto ciò che avete fatto per lui in questi ultimi anni.»
La menzione del re aveva fatto corrugare la fronte a Margherita, notò Derry. La regina non aveva ancora trent’anni e si era fatta straordinariamente bella dal giorno del suo matrimonio. I capelli neri erano pettinati in una treccia lucente che le scendeva quasi fino alla vita. Mentre la contemplava Derry si domandò se Margherita si rendesse conto dell’effetto che faceva sugli uomini. Sospettava di sì. In quel momento troneggiava sulla sedia di legno intagliato in un vestito di seta blu scuro che metteva volutamente in risalto la sua figura snella, nessuna nuova gravidanza all’orizzonte. Derry la osservò attentamente, senza nessun fremito di passione, solo con il piacere quasi reverenziale dell’uomo che contempla una donna bella e affascinante. La luce proveniente dalle grandi finestre illuminava la regina facendole brillare gli occhi e avvolgendola in un pulviscolo dorato.
«Questi uomini che si uniscono alla nostra causa,» domandò Margherita «sono Prodi della regina? O di mio marito?»
«Questi quarantasei hanno giurato fedeltà a voi, mia signora. Wilfred ha distribuito i vostri distintivi con il simbolo del cigno e vi assicuro che vengono portati con grande orgoglio. Credo che ne occorreranno molti altri quando percorrerò di nuovo il paese. In alcuni luoghi sono di gran moda e i mariti li regalano alle loro mogli.»
«Ma dovranno essere gli uomini a portarli quando saranno chiamati, il mio o quello di mio marito, l’antilope. È così? Qualunque sia la moda, i nostri Prodi dovranno riconoscersi a vicenda grazie ai distintivi.»
Derry agitò la mano con noncuranza: «Prodi della regina o Prodi del re, servono tutti la Corona, altezza. Per me è stata una gioia constatare l’entusiasmo che avete suscitato ovunque sia andato. Io stesso vengo accolto come un nobile in visita quando arrivo caracollando sul mio Riscatto».
«Sul vostro...? Ah, già! Non è un nome curioso per un cavallo, mastro Brewer?»
«In verità è un animale vendicativo, mia signora. Wilfred, qui, si è conquistato non pochi cuori femminili solo per il fatto che mi segue portando le carte e i distintivi.»
Margherita rise e Wilfred Tanner si fece paonazzo.
Uno dei valletti della regina entrò nella sala delle udienze avanzando alle spalle dei due uomini senza far rumore e, quando si rivolse alla regina, Derry e Wilfred Tanner trasalirono, colti di sorpresa. Margherita sapeva che in sua presenza le armi erano proibite, perciò notò con interesse le mani dei due portarsi rapidamente su varie parti delle tuniche e delle maniche. Ma si ripresero entrambi in fretta, scambiandosi un’occhiata imbarazzata.
«Altezza, Henry Beaufort, duca di Somerset, e sir John Fortescue, giudice supremo del tribunale del re» annunciò, facendosi da parte per ammettere i due uomini alla presenza della regina.
Derry si inchinò di nuovo: «Posso rimanere, mia signora? Vorrei sentire che cosa hanno da dire, in qualità di vostro consigliere».
Margherita acconsentì e Derry si ritirò in un angolo con Wilfred Tanner, a testa bassa, anche se riusciva a guardare di sottecchi i due uomini che entravano nella sala, molto diversi tra loro.
Henry Beaufort, duca di Somerset, aveva solo ventitré anni. Avendo conosciuto molto bene suo padre, Derry non vedeva molte somiglianze con il vecchio duca, pur sapendo ormai quanta rabbia si nascondesse dietro l’espressione blanda del giovane, una rabbia terribile che dopo quattro anni ancora lo consumava. Beaufort, forse poco più alto del padre Edmund, avanzò verso la regina a passo veloce. Nei quattro anni trascorsi dalla battaglia di St Albans barba e baffi erano tornati di moda e il giovane Somerset evidentemente voleva farseli crescere, con scarso successo, a quanto pareva.
«Altezza» disse Somerset facendole un inchino assai più elegante di quello di Derry. Per un istante il giovane si soffermò con lo sguardo su Brewer mentre si rialzava, facendogli un cenno di saluto.
«Milord Somerset, sono lieta di vedervi» ...