
- 336 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Un invito a riscoprire la ricchezza del vangelo e a farne tesoro per il cammino spirituale di tutto l'anno. Padre Livio commenta i brani delle cinquantadue domeniche dell'anno liturgico (anno A) con il suo stile inconfondibile, corredato di preziosi riferimenti biblici ed esegetici. Uno scrigno a cui attingere indicazioni evangeliche per il vivere quotidiano, per le proprie scelte etiche e per quel progetto di salvezza che coinvolge non solo i credenti, ma tutti gli uomini di buona volontà.
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Informazioni
Santissima Trinità
DIO È COMUNIONE DI AMORE
(Es 34, 4-9; 2 Cor 13, 11-13; Gv 3, 16-18)
La Santissima Trinità è un mistero cristiano
Nella Domenica dopo Pentecoste la Chiesa si raccoglie in preghiera nella contemplazione del mistero intimo di Dio, per quanto le è possibile mentre è pellegrina fra le ombre e le immagini di questo mondo. Vorrei innanzi tutto che tu comprendessi che è specifico della fede cristiana la concezione di Dio come Santissima Trinità. In nessuna religione vi è qualcosa di analogo. Anche nell’Antico Testamento questa altissima rivelazione rimane sostanzialmente nascosta, anche se qua e là i Padri della Chiesa hanno colto alcune velate anticipazioni.
L’uomo, nel suo itinerario verso Dio, ha potuto, nei suoi momenti migliori, affermarne l’esistenza e perfino alcune perfezioni della sua natura, ma non è mai stato in grado di penetrarne la vita intima, che è un mistero assolutamente inaccessibile all’intelligenza umana.
Il volto interiore di Dio lo ha rivelato Dio stesso. È in modo particolare nel momento dell’incarnazione, quando il Figlio diviene uomo nel grembo della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, che viene svelata la vita divina, nel suo mistero di comunione eterna di amore.
Anche noi cristiani, insieme agli ebrei e ai musulmani, affermiamo con forza che Dio è uno e unico. Ogni domenica, rinnovando la professione di fede, noi proclamiamo di credere «in un solo Dio». Tuttavia per la nostra fede Dio non è infinita solitudine, ma dentro di sé è un rapporto eterno di amore.
Dio ci ha svelato la sua vita intima
Se leggi con attenzione le pagine dell’Antico Testamento, in modo particolare quelle dei profeti e dei salmi, non ti sarà difficile sfatare un vecchio pregiudizio, secondo il quale il Dio dell’Antica Alleanza sarebbe un giudice severo e intransigente, in contrapposizione col volto paterno e traboccante di amore che Gesù ci ha rivelato e ci ha insegnato a pregare. In realtà i pii ebrei conoscevano il volto misericordioso di Dio, che ama il suo popolo con un amore paterno e materno insieme, pieno di clemenza e di misericordia. Sia gli ebrei sia i musulmani del nostro tempo non avrebbero nulla da obbiettare nel definire Dio come «Amore».
Tuttavia ciò riguarderebbe soltanto quei tratti di bontà che persino la ragione umana saprebbe cogliere nell’atteggiamento di Dio verso le creature. Il grande poeta greco Omero non esitava infatti, molto prima che venisse scritta la rivelazione biblica, a chiamare Dio col nome di padre.
Quando nel Nuovo Testamento si afferma che Dio è «Amore», si vuole alludere a una realtà assai diversa e molto più profonda. Si intende fare riferimento alla sua vita intima, che è un rapporto di amore da tutta l’eternità, prima ancora che esistessero le creature da amare.
Se Dio fosse infinita solitudine, come potrebbe essere l’«Amore»? L’amore è per sua natura un rapporto fra persone. Ma Dio è amore da sempre, prima ancora che noi fossimo creati. Egli con verità può e deve essere chiamato col nome sublime di «Amore» perché fin dal principio sono tre persone che si amano nell’ambito dell’unica divinità.
A ben guardare lo sposo e la sposa sono la più bella immagine, anche se povera e limitata, del mistero della Santissima Trinità. Non sono forse essi due persone in un’unica natura umana, che si realizzano nello scambio reciproco del loro amore?
Dio dentro Dio è un rapporto di amore
Tracciando su di te il segno della croce e pronunciando le parole, pensando con fede al loro significato, entri, nel più semplice dei modi, nel cuore dei due misteri fondamentali del cristianesimo. Sono i misteri della Santissima Trinità e della redenzione, realizzata dal Verbo incarnato mediante la croce.
Il mistero intimo di Dio ti viene svelato con le parole sublimi, anche se desunte dall’esperienza umana, che corrispondono alle persone divine del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questi tre nomi stanno a indicare, per quanto è possibile all’imperfetto linguaggio umano, che Dio è, nel suo intimo, una beatificante comunione di amore fra tre persone che, insieme, costituiscono un’unica natura divina.
Queste tre persone sono uguali nella divinità, che hanno in comune, ma distinte nella loro personalità. Il Padre infatti è colui che eternamente genera il Figlio; il Figlio è colui che è eternamente generato dal Padre; lo Spirito Santo è l’amore che il Padre e il Figlio eternamente si scambiano. Dio è questa circolazione eterna dell’amore fra le tre persone divine.
Forse, dicendo questo, ci rendiamo conto che abbiamo compreso ancora ben poco. Però in questo buio brilla una grande luce che rallegra il nostro povero cuore. All’origine di tutto c’è un mistero di Amore! È vero che ora siamo ben lontani dal comprenderne l’immensa grandezza, ma ci dà una grande gioia il pensiero che un giorno, se per grazia raggiungeremo la meta, non sarà fuori di Dio, ma dentro la sorgente stessa dell’amore trinitario.
Siamo figli nel Figlio
Non ci starebbe così a cuore il mistero della Santissima Trinità, se non rischiarasse la nostra origine e il nostro destino. Non è possibile conoscere l’uomo, se non si conosce Dio, sosteneva con la consueta acutezza sant’Agostino. Affermare che le tre persone divine sono all’origine della nostra vita, significa porre l’amore come principio che ci ha generati. Affermare che la Santissima Trinità è la meta per la quale l’uomo è stato creato, significa fare dell’amore l’obbiettivo ultimo, per raggiungere il quale vale la pena lottare, faticare e soffrire. Ti rendi conto, caro amico, che, in questa prospettiva, la nostra vita acquista un valore, una bellezza e una grandezza incomparabili.
Nel cuore del mistero trinitario, noi abbiamo una collocazione ben precisa. Siamo infatti chiamati ad adorare e ad amare il Padre, in intima unione con il Figlio. È infatti al Figlio che il Padre ha donato l’intera umanità, mediante l’opera della creazione e della redenzione. Tutta l’umanità salvata sarà dunque unita al Figlio e con lui parteciperà alla comunione dell’amore trinitario. Nel Figlio e col Figlio ameremo il Padre e saremo amati da lui, con lo stesso amore che essi si scambiano. Questo amore è lo Spirito Santo che è stato diffuso nei nostri cuori.
Già ora sei il tempio della Santissima Trinità
Questo mistero di infinito amore che ci attende, lo possiamo anticipare già ora nei nostri cuori, mediante la vita di grazia, alimentata dalle virtù teologali della fede, della speranza e della carità. Fin da ora, dal momento del suo battesimo, il cristiano è tempio della Santissima Trinità. Egli dimora in Dio e Dio dimora in lui. Questa mirabile e sublime condizione esistenziale si realizza purché il cristiano sia rivestito della grazia santificante. Allora le tre persone divine abitano in te nella pienezza della loro gloria. Se ti rendi conto di questo, non peccherai mai più.
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
IL FARMACO DELL’IMMORTALITÀ
(Dt 8, 2-3. 14-16; 1 Cor 10, 16-17; Gv 6, 51-58)
Tutto ciò che germoglia dalla terra muore
Ciò che impressiona di più nel mirabile discorso sull’eucarestia, che Gesù ha tenuto nella sinagoga di Cafarnao, è l’intimo legame che egli pone fra l’eucarestia e la vita eterna. «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.» Di quale vita si tratta? Non certo quella di una semplice sopravvivenza nell’attuale condizione esistenziale, ma della vita stessa che è in Dio e che viene donata a noi poveri mortali.
Comprendiamo il valore e la potenza divina di questa promessa, che Gesù ha realizzato nell’ultima cena, se consideriamo il regno ferreo e implacabile della morte, che domina incontrastato in ogni parte della terra. Ovunque tu rivolga lo sguardo, ti renderai conto che ogni cosa che nasce è destinata a morire. Alcune realtà danno l’illusione di durare e di sfidare la corrosione del tempo. Una pianta di ulivo non resiste forse all’usura dei secoli? Ma di contro i fiori di primavera, che oggi sono meravigliosi, domani non lasciano nessuna traccia di sé.
La morte esercita una dittatura universale e senza speranza. Ogni uomo che nasce è destinato a morire. Tutti siamo condannati a morte. Qualsiasi ribellione è inutile. Le scappatoie inventate dagli uomini finiscono tutte per sbattere contro un muro insormontabile.
Bisogna rassegnarsi, concludono i saggi di questo mondo. Muoiono le piante, muoiono gli animali, perché non dovrebbe morire l’uomo? La morte è un fatto naturale, sentenziano. L’importante sarebbe appunto morire senza soffrire e dopo essersi goduta la vita. Ma i «mortali» di tanto in tanto sentono dentro di sé di essere immortali, osservava il filosofo pagano Seneca. La verità è che l’uomo non ci sta a morire. Il desiderio di immortalità fa parte del suo patrimonio genetico. La fame di un pane vivo che dà la vita eterna è sempre stato il suo tormento.
Gesù dà all’uomo un pane vivo
La promessa dell’eucarestia da parte di Gesù è un fatto assolutamente inedito e sconvolgente. Nessun paragone con le altre religioni è possibile. Ciò che scandalizza i suoi ascoltatori, compresi non pochi fra i suoi discepoli, non è tanto l’affermazione che il pane che egli dona è la sua carne. Ciò che li turba di più e scuote la fiducia anche dei più benevoli è la promessa dell’immortalità per tutti coloro che si nutrono del pane vivo che Gesù offre da mangiare: «Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno».
Nessuno mai prima di lui aveva osato fare promesse così audaci. L’immortalità, come gli ebrei ben sapevano, è una prerogativa assolutamente divina. Dio, e solo lui, è la sorgente della vita. Come dunque un uomo potrebbe dare qualcosa che appartiene per diritto soltanto a Dio? Soltanto l’Onnipotente potrebbe liberare gli uomini dalla legge inesorabile della morte.
Siamo cosi posti di fronte al problema centrale che scuote l’umanità da ormai due millenni. Chi è costui che può liberare la condizione umana da una condanna a morte, dalla quale l’umanità non è mai riuscita e mai riuscirà a divincolarsi, per quanti tentativi faccia? Non è forse anche lui caduto nelle fauci del leone e una pietra non è forse stata posta davanti al suo sepolcro? Come potrebbe liberare gli uomini dalla morte, se lui stesso ne è stato la vittima? Non comprendiamo l’eucarestia se non la vediamo alla luce della vittoria di Cristo sulla morte.
Nell’eucarestia si celebra la vittoria di Cristo sulla morte
Per afferrare tutto il valore dell’eucarestia, dobbiamo contemplarla alla luce del mistero pasquale di morte e di resurrezione. Gesù l’ha istituita nell’ultima cena, celebrando così profeticamente, con i suoi apostoli, il mistero della sua morte imminente per la redenzione del mondo: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo»; «Prendete e bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in remissione dei peccati». In queste parole l’eucarestia svela il suo valore di sacrificio, col quale Gesù offre se stesso per la redenzione del mondo.
Tuttavia, se gli apostoli avessero ricordato le parole profetiche di Gesù, pronunciate nella sinagoga di Cafarnao, avrebbero potuto cogliere, con gli occhi della fede, la promessa della resurrezione. Non aveva forse detto Gesù che: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno»?
Nell’eucarestia è presente la croce e la resurrezione. Quando partecipi alla Santa Messa rivivi con la Chiesa la pienezza del mistero pasquale e partecipi anche tu al sacrificio redentore di Cristo, che ha il suo culmine nella gloria della Pasqua.
«Chi mangia di questo pane vivrà in eterno»
Ti sei mai chiesto, caro amico, perché mai Gesù leghi all’eucarestia la promessa dell’immortalità? «Chi mangia questo pane, vivrà in eterno», afferma in un modo deciso e perentorio. Perché mai l’eucarestia avrebbe questo potere di vincere la morte, tanto che i Padri della Chiesa hanno potuto chiamarla «il farmaco dell’immortalità»?
La risposta ce la offre la fede. Nel pane eucaristico è realmente presente Cristo risorto. Benché in apparenza sia pane perituro, perché nato dalla terra, l’eucarestia nella sua sostanza è un pane vivo, che dà la vita eterna, perché in esso è realmente presente Gesù, risorto da morte e rivestito della gloria divina dell’immortalità. Mangiando di quel pane vivo noi veniamo assimilati alla resurrezione di Cristo e alla sua vittoria sulla morte.
Possiamo ben chiamare l’eucarestia il sacramento della resurrezione e della vita. Ricevendo la comunione, partecipiamo all’umanità gloriosa di Cristo e alla vita eterna di cui è ricolma. Se Cristo non avesse vinto la morte, ogni nostra speranza di immortalità sarebbe vana. Ma egli è risorto ed è vivo nell’eucarestia. Ricevendola con fede, già fin da ora siamo sottratti alla disperazione della morte.
«Colui che mangia di me, vivrà per me»
In questa festa del Corpus Domini ti propongo di scrivere a carattere di fuoco sul tuo cuore questa mirabile affermazione di Gesù: «Chi mangia di me, vivrà per me». L’eucarestia è veramente il centro della vita cristiana. Ricevendo Cristo, veniamo assimilati a lui. Se Cristo è vivo in noi, egli compenetrerà gradualmente tutto il nostro essere: i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre convinzioni e le nostre azioni. La potenza dell’eucarestia è grande, se la riceviamo con fede!
Alcuni santi hanno costruito tutta la loro vita spirituale, fino alle più alte vette dell’unione mistica, sulla devozione all’eucarestia. Si tratta di un cammino aperto a tutti i cristiani. Se la Santa Messa domenicale e ancor più quella quotidiana fossero al centro della tua vita, faresti dei progressi meravigliosi sulla via della santità. Anche tu potresti arrivare a dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me».
Sacratissimo Cuore di Gesù
(Venerdì dopo il Corpus Domini)
DIO HA UN CUORE
(Dt 7, 6-11; 1 Gv 4, 7-16; Mt 11, 25-30)
L’uomo ha bisogno di essere amato
La devozione al Cuore Sacratissimo di Gesù, come quella al Cuore Immacolato di Maria, toccano da vicino l’essenza del cristianesimo, che è la religione dell’amore. Il grande filosofo greco Aristotele definiva Dio come pensiero; i mistici indù lo descrivono come autocoscienza luminosa di sé; il cristianesimo invece afferma che Dio è amore. Dio è amore in se stesso, nella comunione eterna delle tre persone divine. Ma è anche amore che esce da sé e che si effonde nell’opera mirabile della creazione e della redenzione. Per comprendere Dio nel suo essere e nel suo agire è necessario far riferimento all’amore. È l’amore divino la sorgente originaria da cui tutto viene e alla quale tutto ritorna.
In questa luce si riesce anche a comprendere il mistero dell’uomo. Ciò che è fondamentale in lui è il suo bisogno infinito di amore. L’uomo, ogni uomo, più ancora del pane materiale, ha bisogno di amore. Lo ammetta o no, ogni uomo desidera amare ed essere amato. La ricerca della felicità, che contraddistingue la vita umana sulla terra, è mossa dalla fame insaziabile di un amore assoluto, eterno e fedele. Questo desiderio insopprimibile, che ognuno di noi avverte prepotente nel suo intimo, non potrebbe mai essere soddisfatto se Dio non a...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Le vie del cuore
- Introduzione
- AVVENTO E NATALE
- TEMPO ORDINARIO
- QUARESIMA E PASQUA
- TEMPO ORDINARIO
- SOLENNITÀ E FESTE
- Copyright