Mandela
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Mandela

  1. 240 pagine
  2. Italian
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Mandela

Informazioni su questo libro

"Mi sono battuto contro il predominio dei bianchi, così come mi sono battuto contro quello dei neri. Ho perseguito l'ideale di una società democratica, in cui tutti possano vivere insieme in armonia e con pari opportunità. È un ideale per il quale spero di continuare a vivere fino a conseguirlo. Ma per il quale, se necessario, sono pronto a morire". Queste parole pronunciate da NELSON MANDELA, meglio di qualsiasi altre rappresentano il pensiero che ha ispirato le azioni e le scelte di un uomo divenuto simbolo di valori come la tolleranza, il coraggio e l'amore per la libertà. È stato il combattente instancabile, e poi il prigioniero che in carcere ha rinunciato all'odio e alla vendetta per prendere la guida di un popolo e portarlo verso la pacificazione e alla democrazia. Perché "nessuno più di lui ha incarnato quella nobiltà della politica, esatto contrario di un'idea della vita pubblica logora e svalutata che troppo spesso accompagna i nostri giorni". E in questa biografia, originale e mai agiografica, una figura di spicco come JACK LANG ce lo dimostra.

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Informazioni

Atto IV

Prospero

Perché ostinarti nel tuo rancore?
Se distruggi la tua patria,
che vantaggio ne avrai?
SOFOCLE, Edipo a Colono
In Looking on Darkness, romanzo bello e tragico, André Brink immagina che un bambino africano poverissimo venga mandato a scuola dal suo baas, che ne ha notato le capacità. A scuola, il bambino scopre Shakespeare con entusiasmo, e rimane affascinato dalla Tempesta. Per la festa di fine anno, l’insegnante fa mettere in scena la pièce dai suoi allievi, che bene o male fanno la loro figura. Il bambino recita la parte di Prospero. Tornato nella sua misera capanna, dice alla madre che vuole diventare attore. «Tu provi a metterti in luce,» gli risponde lei, «ma noi dobbiamo restarne fuori. Non è il nostro posto, la luce. Il Signore ci ha creato per vivere nella sua ombra. Siamo uccelli notturni1
Nella tragedia nazionale, l’uomo che fa uscire il suo popolo dall’ombra incarna Prospero, il principe mago che impedisce al selvaggio Calibano di devastare l’isola incantata. Ci riuscirà con l’istinto del grande politico, ma anche con un sortilegio, perché Mandela il recluso, Mandela l’invisibile, è diventato nel corso degli anni tanto presente di nome quanto assente di fatto. In tale aspetto ricorda l’imperatore Barbarossa, che per i tedeschi uscirà un giorno dalla sua caverna, o «l’imam nascosto» per il quale gli sciiti tengono sempre un cavallo sellato. Mandela è ossessionato da un incubo. Lo esprimerà chiaramente nel memorandum fatto pervenire a P.W. Botha nel maggio del 1987: «Sono spaventato dallo spettro di un Sudafrica diviso in due campi ostili, i neri da una parte e i bianchi dall’altra, che si massacrano a vicenda». È il futuro che si promette al paese dell’apartheid. Difficilissimo trovare in questo periodo un giornalista o un politico secondo il quale il bagno di sangue non sia inevitabile.
Rivelatore dei cambiamenti di una società, il vocabolario è diventato cruento. Nei discorsi e nelle dichiarazioni, i dirigenti afrikaner usano parole nuove: elimineer; withaal (estirpare); uitwis (spazzare via); verwyder (far sparire); onkonvensionele metodes (metodi non convenzionali)2. Se prima era severa, ora la repressione diventa feroce. Reparti come l’unità antisommossa Koevoet o il 32° e il 101° battaglione delle forze armate si mettono particolarmente in mostra. Lo State Security Council (SSC), presieduto da Pieter Willem Botha in persona, coordina il tutto. La tortura diventa ordinaria e i torturatori hanno il linguaggio di uno di loro in Looking on Darkness: «Perché ti complichi così la vita, mi chiedevano con sincera partecipazione. Credi che ci diverta fare questo? È un lavoro come un altro3». Le unità speciali si occupano anche di liquidare i fuggitivi all’estero; una cara amica di Mandela, la comunista bianca Ruth First che vive in esilio a Maputo, resta uccisa da una lettera esplosiva. Un religioso impegnato nella lotta contro l’apartheid, il reverendo Frank Chikane, si sente di giorno in giorno sempre più malato e sospetta che la cosa sia iniziata con l’acquisto di un vestito. Nel corso di una visita alla moglie, ricercatrice all’Università del Wisconsin, un eminente tossicologo scopre un veleno ad azione lenta nel tessuto del vestito. All’interno del Sudafrica, la Security Police, onnipresente, arresta e detiene senza rendere conto a nessuno. Uno di quelli fermati di continuo racconta che ogni volta si sente dire: «Siamo noi che governiamo il paese4». Alcuni degli africani arrestati si dimostrano “rinnegati”. Vengono chiamati ascari; producono molti danni tra i loro vecchi compagni.
Riconquistata la pace, le audizioni della Commissione Verità e Riconciliazione hanno fatto luce su questi anni di sangue. Dal libro di Desmond Tutu, prendiamo a prestito alcuni esempi di una realtà della quale non rappresentano che una minuscola parte. Il quartier generale degli squadroni della morte della polizia si trova a Vlakplaas, vicino a Pretoria. È diretto da Eugene De Kock, soprannominato «il Male in persona». Uno dei suoi collaboratori racconta il modo in cui fu “eliminato” Griffiths Mxenge, eminente avvocato di Durban che, difendendo con buoni risultati degli attivisti politici, cominciava a diventare un problema: «La decisione venne presa dal generale Van der Hoven della Security Police di Port Natal, il quale mi disse che siccome l’avvocato Mxenge agiva in conformità con la legge, incastrarlo risultava del tutto impossibile». Per compiere il lavoro vengono selezionati dei poliziotti neri. Uno di essi, Joe Mamasela, è degno degli elogi dei suoi capi, che lo ritengono «assai bravo e dotato d’istinto omicida». Il principe del foro viene ucciso a colpi di coltello e di cric; l’assassinio viene fatto passare per una rapina finita male. Sul suo corpo, il medico legale rileva quarantacinque ferite. In un’altra occasione, lo stesso Mamasela riesce a coinvolgere otto giovani neri in un «allenamento di guerriglia». Fornisce loro delle granate manomesse dai servizi speciali, che esplodono quando si toglie la sicura. La giovane militante che in tutta innocenza ha presentato l’infiltrato ai suoi amici viene sospettata di esserne complice e condannata all’orribile supplizio del “collare”: un pneumatico incendiato messo al collo della vittima. Tra gli africani, le barbare esecuzioni di questo genere si moltiplicheranno, facendo inorridire l’opinione pubblica mondiale e facendo ritenere a molti che gli oppressi non fossero poi meglio degli oppressori. Desmond Tutu osserva: «Uomini normali, e anche ragazzi, si sono resi colpevoli di atti assolutamente terrificanti».
Cinque poliziotti rievocano l’assassinio di una dozzina di persone, nella regione di Pretoria. Descrivono le sevizie inflitte ai “terroristi” e il modo in cui dopo si sbarazzarono dei corpi. «Infliggere scariche elettriche ai sospetti sembrava una cosa talmente normale che uno dei poliziotti ha potuto dire, con tono neutro: abbiamo interrogato Sefolo nello stesso modo degli altri due, con un generatore portatile Robin, finché non ha ammesso di essere uno dei capi dell’ANC a Witbanc.» Il funzionario Paul Van Vuuren, che partecipa all’interrogatorio, è conosciuto come “l’elettricista”. Alcuni dettagli di questa lista degli orrori sono a malapena credibili. Un giovane della provincia orientale del Capo, Sizwe Kondile, viene ucciso con un colpo alla testa, esecuzione tutto sommato indulgente; è il seguito che ha dell’incredibile. La squadra di poliziotti getta il corpo sopra una catasta di legna e pneumatici sulla quale versa benzina e appicca il fuoco. «Mentre questo avveniva, noi bevevamo e mangiavamo lì accanto della carne alla brace... Un corpo impiega circa sette ore per bruciare. Le parti più grosse, specialmente i lombi e le cosce, dovettero essere girate di frequente durante la notte. Il mattino dopo rovistammo tra i resti per accertarci che non vi fossero ancora grossi pezzi di carne o di ossa, poi andammo ciascuno per la propria strada.» Nauseato, Desmond Tutu osserva: «È sconvolgente anche solo il pensiero che per un essere umano sia possibile sparare a bruciapelo a un proprio simile, bruciarne il corpo su una pira e, mentre è in corso questa cremazione, gustarsi accanto al fuoco della carne alla griglia. Che fine ha fatto l’umanità di questa gente? Cosa è successo?5».
Cosa sia successo, è presto detto: il sistema dell’apartheid ha generato una follia collettiva, una perdita generale di riferimenti. Tra i bianchi stanno prendendo corpo le peggiori paure. Sono convinti di giocarsi l’ultima carta, ma la coscienza tranquilla giustifica tutto. Il dottor Frank Chicane viene interrogato e torturato da un membro bianco della sua stessa Chiesa, l’Apostolic Faith Mission; un giorno, questo ufficiale di polizia passa direttamente dalla stanza delle torture alla casa del Signore6. Nel campo opposto, non mancano le atrocità. Le agghiaccianti esecuzioni dei traditori col sistema del “collare” continuano. Da parte sua, l’ANC riconoscerà di avere in maniera sommaria eliminato ben ottantadue dei suoi, nei campi all’estero.
Nella «prigione di massima sicurezza» di Pollsmoor, qualche chilometro a sud-est di Città del Capo, Nelson Mandela e i suoi compagni dispongono di radio, televisione e giornali. Pertanto, il naufragio della nazione lo seguono in diretta. Hanno una cella comune all’ultimo piano. È un’ampia stanza, coi muri intonacati di bianco. Dalla finestra si vede un pezzo di cielo. Eppure, ai quattro resta il rammarico di avere lasciato i loro ventisei compagni sull’isola: «Ecco un’altra delle tante crudeltà della prigione: i vincoli di amicizia e fedeltà tra i detenuti non contano nulla per le autorità carcerarie7». Volevano distruggere l’immagine di Prometeo incatenato sulla roccia battuta dal vento? «Robben Island era ormai diventata un importante riferimento per la lotta, capace di rafforzarla; il governo, spostandoci, voleva privarla della sua carica simbolica.» Nelson ci vede fin troppa sottigliezza. La ragione è più semplice. Nelle alte sfere l’ipotesi del negoziato, per quanto ancora minoritaria, ha iniziato a manifestarsi. Dunque, meglio tenere il capo dell’ANC un po’ più a disposizione. Nella storia degli afrikaner esiste un precedente, quando i boeri trovarono un accordo con gli inglesi, aborriti fino al 1851, anno in cui Pretorius, vincendo l’intransigenza degli estremisti della sua stessa parte, prese contatto col governatore Smith e concluse il trattato del fiume Sand, che portò alla nascita della Repubblica del Sudafrica.
I detenuti di Pollsmoor non sono più condannati alla polenta tre volte al giorno. Dopo tanti anni, riscoprono la carne e la verdura; di colpo, i loro pasti sembrano dei “banchetti”. In questo nuovo universo di cemento manca un orto, ma Nelson viene autorizzato a fabbricarsi dei vasi giganti che gliene garantiscono uno anche più grande di quello dell’isola. Gli procurano dei semi e persino – oh, meraviglia! – «un ottimo fertilizzante». Cosa volere di più? È diventato una leggenda vivente; tutto ciò che lo riguarda è ingigantito e deformato. Un banale reclamo per le scarpe troppo strette diventa l’amputazione di un dito del piede, tanto che alla visita della moglie per rassicurarla è costretto a mostrarle attraverso il vetro il piede nudo. Hanno diritto a tutti i giornali, persino al settimanale «Time» di Londra. Il direttore della prigione, generale Munro, è «un uomo a modo e corretto». I parlatori non sono a finestrella, c’è un grande vetro che permette di vedere il visitatore fino alla vita. La moglie può fare visita al marito e a sorvegliarli c’è James Gregory, il “buon carceriere” che si rivolge a Winnie con rispetto e cortesia. Invece di urlare: «È ora!», dice: «Signora Mandela, le restano solo cinque minuti». Che insolita e fantastica meraviglia è l’essere trattati da esseri umani! Un giorno, James Gregory apre la porta, e lascia che la moglie cada tra le braccia del marito. «Mille volte avevo sognato quel momento, e ancora mi sembrava di sognare. Erano trascorsi ventuno anni da quando avevo toccato mia moglie per l’ultima volta.»
Il Sudafrica pensa si stia battendo per salvarsi dal “pericolo comunista”. Di fatto, si trasforma in uno Stato di polizia. Gli arresti sono così numerosi – venticinquemila in soli sei mesi – che i giornalisti stranieri non trovano un solo dirigente africano da intervistare: sono tutti in carcere o in clandestinità. Nel 1980, il «Rand Daily Mail» ritiene che «la rivoluzione è cominciata». A partire dal 1985, la polizia conta ogni anno più di duecentotrenta «azioni terroristiche» sul territorio nazionale. La profezia di Piete, il sagace boero del romanzo Il grande Trek, sta per realizzarsi: «I cafri sono come un bufalo ferito che mentre lo insegui torna indietro di lato, e finisci col trovarti la punta delle sue corna alle spalle8». Nel 1983, l’ondata di attentati prende quella forma terribile che oggi conosciamo bene. La prima autobomba esplode in pieno centro a Pretoria. L’intenzione è di colpire una sede dei servizi d’informazione militari, ma fa diciannove morti e più di duecento feriti. Questo massacro di civili causa a Mandela un «profondo turbamento»; tuttavia, ammette che se lo aspettava da tempo. Il valore dell’oro precipita. Il clima di tensione non è propizio per gli affari.
Nel novembre del 1983, P.W. Botha con un referendum adotta un parlamento a tre camere, due delle quali concesse agli indiani e ai meticci. Beninteso, le decisioni di questi ultimi sono sempre sottoposte al veto dei bianchi. Mandela è furioso: lo si ritiene così stupido da cadere in questa rete? La manovra avrà vita breve. Nel 1984, Desmond Tutu riceve il Premio Nobel per la Pace. Il potere inizia a sondare i suoi avversari, più che altro per cercare di dividerli. Tra la fine del 1984 e l’inizio del 1985, alcuni ufficiali tra cui un ministro fanno delle visite discrete nel carcere di Pollsmoor: «Mandela, possiamo collaborare con lei, ma non con i suoi compagni. Sia ragionevole!». Il detenuto si guarda bene dall’entrare in un gioco non ancora definito, ma ascolta con attenzione: «Pur non essendo il caso di rispondere a quelle aperture, il fatto stesso che parlassero invece di attaccare poteva essere interpretato come un preludio ad autentici negoziati9». Il potere alleggerisce un po’ la zavorra “della vile apartheid”: «La mia ambizione» risponde Nelson, «non è sposare una bianca, né nuotare in una piscina per bianchi». Così adesso lo sanno.
Il 31 gennaio 1985, P.W. Botha fa scalpore al Parlamento con la proposta di liberare Mandela qualora «rigetti in modo incondizionato la violenza come strumento politico». L’offerta viene estesa a tutti i detenuti politici. Conclude scaricando la responsabilità del dramma: «Non è il governo che si oppone alla scarcerazione del signor Mandela, ma lui stesso». Il filo che imbastisce la manovra è più spesso di un cavo; dopo un momento di rabbia, Mandela decid...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Mandela
  3. Prefazione (di Nadine Gordimer)
  4. Introduzione
  5. Atto I . Antigone
  6. Atto II. Spartaco
  7. Atto III. Prometeo
  8. Atto IV. Prospero
  9. Atto V. Re Nelson
  10. Appendice. «Sono pronto a morire»
  11. Copyright