Dedica
In ricordo di Pakhar Singh
PREMESSA
Finalmente ci incontrammo in una sala non affollata, ma abbastanza grande da ospitare tutti i docenti e ricercatori del Dipartimento di Matematica dell’Università di Princeton in occasione di importanti celebrazioni. Quel pomeriggio, i presenti non erano numerosi, ma pur sempre sufficienti a farmi dubitare di chi tra loro fosse Andrew Wiles. Dopo qualche istante il mio occhio si posò su un uomo dall’aspetto schivo, che ascoltava la conversazione intorno a lui e degustava una tazza di tè, partecipe del rito pomeridiano a cui si dedicano i matematici di tutto il mondo. Wiles intuì chi io fossi.
Ero al termine di una settimana straordinaria. Avevo conosciuto alcuni dei più grandi matematici viventi e avevo cominciato a capire qualcosa del loro mondo. Ma nonostante tutti i tentativi di incontrare Andrew Wiles, di parlargli e di persuaderlo a partecipare a un documentario sulla sua impresa per la Bbc, quello era il nostro primo incontro. Ecco davanti a me l’uomo che aveva recentemente annunciato di aver trovato il santo graal della matematica; l’uomo che asseriva di aver dimostrato l’Ultimo Teorema di Fermat. Mentre parlavamo, Wiles mantenne un atteggiamento distratto e distaccato e sebbene fosse cortese e cordiale, era chiaro che desiderava restare da solo. Spiegò molto semplicemente di non poter dedicarsi ad altro che al proprio lavoro, allora in una fase critica, e che forse in seguito, quando le difficoltà del momento sarebbero state superate, avrebbe gradito partecipare al documentario. Io sapevo, e lui ne era a conoscenza, che egli stava affrontando il crollo dell’ambizione della sua vita e che quello che aveva creduto fosse il santo graal si stava rivelando niente più che un semplice calice, per quanto bello e prezioso. Wiles aveva trovato un errore nella dimostrazione da lui annunciata.
La storia dell’Ultimo Teorema di Fermat è unica. Quando incontrai Andrew Wiles, avevo già capito che era veramente una delle più grandi storie scientifiche e accademiche. Avevo visto i titoli dei giornali nell’estate del 1993, quando la dimostrazione del Teorema aveva portato la matematica sulle prime pagine della stampa mondiale. All’epoca possedevo solo un vago ricordo di cosa fosse l’Ultimo Teorema, ma capii che era qualcosa di molto particolare, qualcosa che poteva diventare l’argomento di un documentario scientifico. Trascorsi le settimane successive a conversare con molti matematici: alcuni direttamente coinvolti nella vicenda e vicini a Andrew, altri che si limitavano ad assistere eccitati a quel grande momento nella storia della matematica. Tutti mi comunicarono generosamente le loro vedute sull’argomento e con pazienza mi aiutarono a capire quel poco che mi era possibile dei concetti che vi erano implicati. Divenne subito chiaro che si trattava di un tema che forse solo cinque o sei persone al mondo potevano comprendere pienamente. Per un po’ mi domandai se ero un folle a voler realizzare su di esso un documentario. Ma da quei matematici avevo anche appreso la complessa storia e il profondo significato del teorema di Fermat per la matematica e per i suoi cultori e mi resi conto che proprio quello era l’aspetto più interessante.
Appresi le antiche origini greche del problema e che l’Ultimo Teorema di Fermat era la vetta himalayana della teoria dei numeri. Venni introdotto alla bellezza estetica della matematica e cominciai a capire perché si designa la matematica come il linguaggio della natura. Attraverso i coetanei di Wiles compresi che egli aveva compiuto uno sforzo titanico nel far convergere tutte le più recenti tecniche della teoria dei numeri verso la sua dimostrazione del teorema di Fermat. Dai suoi amici di Princeton venni a sapere del tortuoso progresso di Andrew nei suoi anni di studio condotto in isolamento. Mi costruii un’immagine straordinaria di Andrew Wiles e dell’enigma che aveva dominato la sua vita, ma sembravo destinato a non doverlo mai incontrare di persona.
Anche se le nozioni matematiche coinvolte nella dimostrazione di Wiles sono tra le più difficili al mondo, capii che la bellezza dell’Ultimo Teorema di Fermat risiede nell’estrema semplicità del problema stesso. È un enigma formulato in termini comprensibili a ogni scolaretto. Pierre de Fermat veniva nel solco della tradizione rinascimentale, che aveva prodotto la rinascita dell’antico sapere greco, ma pose una domanda alla quale i greci non avevano pensato e, così facendo, formulò il problema più difficile che sia mai esistito. Per eccitare la curiosità dei posteri, lasciò un appunto nel quale suggeriva di possedere la risposta, ma senza precisare quale fosse. Era l’inizio di una caccia durata tre secoli.
Questo lasso di tempo sottolinea la rilevanza dell’enigma. È difficile pensare a qualche problema, in qualunque disciplina scientifica, che, pur essendo enunciato in termini così semplici e chiari, abbia resistito al progresso della conoscenza per così tanto tempo. Pensate ai passi in avanti compiuti in fisica, chimica, biologia, medicina e ingegneria dal Seicento in avanti. In medicina siamo passati dalla teoria degli «umori» alla duplicazione genetica, in fisica abbiamo identificato le particelle atomiche fondamentali e abbiamo inviato l’uomo sulla luna, ma nella teoria dei numeri l’Ultimo Teorema di Fermat rimaneva inviolato.
Per qualche tempo nella mia inchiesta cercai una ragione per la quale l’Ultimo Teorema dovesse interessare qualcuno che non fosse un matematico e perché fosse importante fare un programma su di esso. La matematica ha molteplici applicazioni pratiche, ma nel caso della teoria dei numeri quelle più rilevanti che mi venivano presentate riguardavano la crittografia, la progettazione di dispositivi acustici e le comunicazioni dalle astronavi. Nessuna di queste sembrava adatta ad attirare un grosso pubblico. Assai più attraenti erano i matematici stessi e la passione che esprimevano quando parlavano del teorema di Fermat.
La matematica è una delle più pure forme del pensiero e agli occhi di un profano i matematici sembrano quasi esseri oltremondani. Ciò che mi colpì in tutte le mie discussioni con loro fu la precisione straordinaria delle loro affermazioni. Raramente rispondevano subito a una domanda; spesso dovevo attendere che la struttura precisa della risposta si articolasse nella mente dell’interlocutore, ma poi la risposta arrivava sotto forma di un enunciato così preciso e dettagliato come mai avrei potuto desiderare. Quando chiesi la ragione di ciò a Peter Sarnak, amico di Andrew, egli mi spiegò che i matematici semplicemente odiavano fare affermazioni false. Ovviamente anche i matematici ricorrono all’ispirazione e all’intuizione, ma i loro enunciati formali devono possedere un rigore assoluto. Nel cuore della matematica sta la dimostrazione ed è il procedimento per arrivare ad essa che distingue la matematica dalle altre scienze. Queste ultime si fondano su ipotesi, verificate sperimentalmente, finché, una volta confutate, vengono sostituite da nuove ipotesi. In matematica lo scopo è la dimostrazione assoluta e una volta che un teorema è stato provato, esso è dimostrato per sempre, senza spazio per possibili alterazioni. L’Ultimo Teorema rappresentava la sfida più alta nell’ambito delle dimostrazioni matematiche e chiunque avesse trovato la risposta avrebbe ricevuto il plauso di tutti i cultori della materia.
Erano stati offerti dei premi e si erano scatenate le rivalità. L’Ultimo Teorema ha una storia dove non mancano episodi ai limiti della tragedia e dell’inganno ed è un tema che ha anche stimolato lo sviluppo della matematica. Come dichiarò Barry Mazur, docente di matematica a Harvard, il teorema di Fermat aggiunse un certo «animus» a quelle aree della matematica connesse con i primi tentativi di dimostrarlo. Per un’ironia della sorte, è avvenuto che proprio queste aree della matematica abbiano rivestito un ruolo centrale nella dimostrazione conclusiva di Wiles.
Comprendendo lentamente qualcosa di quest’ambito così poco familiare, giunsi ad apprezzare il rilievo dell’Ultimo Teorema di Fermat per lo sviluppo della matematica nonché il parallelismo che la sua storia offriva con la storia più generale della matematica. Fermat fu il padre della moderna teoria dei numeri e dalla sua epoca la matematica si è evoluta, è progredita e si è diversificata in molte aree sempre più misteriose per il profano, nelle quali nuove tecniche hanno dato origine a ulteriori settori di ricerca, divenuti fini a se stessi. Col passare dei secoli, l’Ultimo Teorema parve essere sempre meno rilevante per i settori d’avanguardia della ricerca matematica, trasformandosi sempre più in una curiosità. Ma è ora evidente che la sua centralità per la matematica non è mai diminuita.
I problemi intorno ai numeri, come quello sollevato da Fermat, assomigliano ai puzzle e ai matematici piace risolvere i puzzle. Per Andrew Wiles si trattava di un puzzle molto speciale, nientemeno che della massima aspirazione della sua vita. Trent’anni prima, quand’era ragazzo, era stato affascinato dall’Ultimo Teorema di Fermat quando per caso ne era venuto a conoscenza in una biblioteca cittadina. Risolvere quel problema era stato il suo sogno di bambino e di adulto e quando egli rivelò una dimostrazione nell’estate del 1993, quella dimostrazione era il frutto di sette anni di lavoro dedicato all’argomento, con un grado di concentrazione e di determinazione difficile da immaginare. Molte tecniche da lui usate non erano ancora state create quando Wiles aveva cominciato a riflettere sul problema. Egli si avvalse anche dell’opera di molti eccellenti matematici, collegando idee e creando concetti che altri avevano avuto timore di elaborare. In un certo senso, osservò Barry Mazur, risultò che tutti avevano lavorato sul teorema di Fermat, ma ciascuno per conto proprio e senza l’intenzione di farlo, dato che la dimostrazione di Wiles aveva richiesto tutto il potere risolutivo della matematica moderna. Ciò che Andrew aveva fatto era di connettere aree della matematica che sembravano separate. Grazie alla sua opera la diversificazione che la matematica aveva subito sin da quando il problema era stato formulato parve trovare una giustificazione.
Al centro della sua prova Andrew aveva dimostrato un’idea nota come la congettura di Taniyama-Shimura, che creò un nuovo ponte fra mondi matematici molto diversi. Per molti lo scopo supremo da raggiungere è una matematica unificata e quella congettura era un passo in tal senso. Nel dimostrare il teorema di Fermat, Andrew Wiles aveva collegato alcuni tra i più importanti sviluppi nella teoria dei numeri nel secondo dopoguerra e aveva assicurato la base di una piramide di congetture che erano state avanzate in quell’ambito. Egli non aveva soltanto risolto l’enigma matematico più antico, ma aveva allargato i confini stessi della disciplina. È come se il semplice problema di Fermat, nato quando la matematica muoveva i suoi primi passi, fosse rimasto in attesa proprio di quel momento.
La storia del teorema di Fermat si era conclusa nella maniera più spettacolare. Per Andrew Wiles, significava la fine di un isolamento professionale piuttosto insolito nella matematica, che in genere è un’attività di collaborazione. Il rituale del tè pomeridiano negli istituti di matematica di tutto il mondo è un momento in cui si scambiano le idee con i colleghi e rendere partecipi gli altri delle proprie concezioni prima di pubblicarle rientra nella norma. Ken Ribet, un matematico che aveva svolto lui stesso un ruolo centrale nella dimostrazione, mi disse scherzando, ma non troppo, che è l’insicurezza dei matematici a spingerli a cercare il conforto dei colleghi. Andrew Wiles si era astenuto da tutto ciò e aveva tenuto per sé i risultati del proprio lavoro tranne che nelle fasi finali. Anche questo singolare atteggiamento dà la misura dell’importanza del teorema di Fermat. Wiles era guidato dall’appassionata ambizione di essere il solo a risolvere il problema, un’ambizione abbastanza forte da dedicarle sette anni di vita e da spingerlo a tenere nascosto il suo obiettivo. Wiles sapeva che per quanto il problema fosse apparso irrilevante ad alcuni, la competizione per risolverlo non si era mai spenta e perciò egli non poteva azzardarsi a rivelare l’oggetto del suo lavoro segreto.
Dopo settimane di indagini sul tema, ero arrivato a Princeton. I matematici parlavano del problema con intensa emozione. Trovai una storia di competizione, di successo, di isolamento, di genialità, di trionfo, di gelosia, di sforzi intensi, di sconfitte e perfino di tragedie. Dietro l’importante congettura di Taniyama-Shimura si intravedeva la tragica esistenza postbellica nel Giappone di Yutaka Taniyama, la cui vicenda ebbi il privilegio di conoscere dalla voce del suo intimo amico Goro Shimura. Sempre da Shimura appresi anche la nozione di «bontà» in matematica, dove le cose sembrano semplicemente giuste, perché sono buone. In certo qual modo il senso della bontà pervadeva quell’estate l’atmosfera della matematica. Tutti si compiacevano di quel momento di gloria.
Con tutte queste implicazioni, non c’è da stupirsi del peso della responsabilità che Andrew avvertì quando nel corso dell’autunno del 1993 lentamente l’errore era venuto alla luce. Con gli occhi del mondo puntati su di lui e con i colleghi che lo invitavano a rendere pubblica la dimostrazione, Andrew, lui solo sa come, non cedette. Dallo studiare il problema privatamente seguendo il proprio ritmo Wiles era passato all’improvviso sotto la luce dei riflettori. Andrew è un uomo molto geloso della propria vita privata e ha lottato duramente per proteggere la sua famiglia dalla tempesta che si addensava su di lui. Nella settimana in cui mi trovavo a Princeton, telefonai, lasciai biglietti nel suo ufficio, sulla porta di casa e ai suoi amici; provai persino a fargli recapitare del tè inglese. Ma egli resistette alle mie profferte, fino a quell’incontro casuale il giorno della mia partenza. All’incontro seguì una conversazione pacata e intensa, che durò non più di quindici minuti.
Quel pomeriggio, quando ci separammo, raggiungemmo un’intesa. Se lui fosse riuscito a emendare la dimostrazione, allora mi avrebbe cercato per discutere del documentario; io ero disposto ad attendere. Ma quando quella sera presi il volo per tornare a Londra, ebbi l’impressione che il programma televisivo fosse morto. Nessuno nel corso di tre secoli aveva mai riaggiustato i difetti delle molte dimostrazioni tentate sul teorema di Fermat. La storia era piena di false pretese di soluzione e per quanto desiderassi che Andrew Wiles fosse un’eccezione, era difficile pensare che lui fosse qualcosa d’altro da una delle tante lapidi di quel cimitero matematico.
Un anno dopo ricevetti la telefonata. Grazie a uno straordinario sviluppo matematico e un lampo di autentica intuizione, Andrew aveva finalmente messo la parola fine al teorema di Fermat nella sua vita professionale. Un anno dopo, Wiles trovò il tempo da dedicare al filmato. Avevo invitato Simon Singh a collaborare con me nella realizzazione del documentario e insieme passammo del tempo con Andrew, apprendendo dalla sua viva voce la storia completa di quei sette anni di studio isolato e dell’anno infernale che seguì. Mentre filmavamo, Andrew ci raccontò, come non aveva mai raccontato a nessuno in precedenza, delle sue intime emozioni per quello che aveva fatto; di come per trent’anni era rimasto legato al suo sogno infantile; di come tanta parte della matematica che aveva studiato fosse stata, senza che all’epoca egli neppure se ne rendesse conto, una vera e propria collezione di strumenti per affrontare la sfida di Fermat che aveva dominato la sua carriera; di come niente sarebbe più stato lo stesso; del suo sentimento di perdita per u...