PREFAZIONE
di Luigi Lunari
Il 28 dicembre del 1897, al Théàtre de la Porte-Saint-Martin di Parigi, la prima rappresentazione del Cirano di Bergerac ebbe uno di quei successi travolgenti e incondizionati che fanno epoca nella storia del teatro; e il suo autore – il ventinovenne Edmond Rostand – si trovò da un giorno all’altro circondato da una popolarità e da un plauso che nessuna delle sue precedenti commedie avrebbe potuto lasciar prevedere.
Nato a Marsiglia il 1° aprile del 1868 da un’antica famiglia provenzale, ma già nel 1885 trasferitosi a Parigi, Edmond Rostand aveva scritto a diciannove anni un saggio su Émile Zola e Honoré d’Urfé (Due narratori provenzali) e aveva pubblicato nel 1890 una raccolta di poesie sentimentali (Musardises, ovvero inezie, passatempi) dedicate a Rosemond Gérard, la donna che proprio in quell’anno sposerà e che per tutta la vita gli sarà al fianco, ammiratrice entusiasta e incoraggiante. Al teatro si era dedicato fin dal 1888, prima con due commedie leggere (Il guanto rosso e Il concorso di bellezza), poi con una serie di opere che mettevano a fuoco un evidente interesse per un passato lontano, romanticamente rivissuto, e che potremmo oggi collocare a metà strada tra D’Annunzio e Giacosa: I romanzeschi (1894, rappresentato alla Comédie Française), La principessa lontana (1895) e La samaritana (1897), queste ultime due interpretate da Sarah Bernhardt al Théàtre de la Renaissance. L’idea del Cirano di Bergerac, era nata quando Coquelin aîné, attore principe della Comédie (e dall’ottobre del 1897 suo maggiore azionista), gli aveva chiesto una commedia su misura. Il fatto che Coquelin avesse allora cinquantasette anni non era a quei tempi un serio ostacolo all’interpretazione di un personaggio colto nel suo ventunesimo anno d’età; Coquelin era abbastanza scettico nei riguardi della commedia che Rostand gli scrisse, ma la sua interpretazione dell’eloquente spadaccino dal lungo naso – universalmente esaltata – contribuì notevolmente a un successo che segnò profondamente la vita e l’opera dell’ancor giovane autore. Accademico di Francia a trentacinque anni, osannato come il rinnovatore del teatro – di un teatro gioioso di esistere e finalmente strappato al rigore austero e intransigente della drammaturgia a tesi – Rostand sentì fortemente la responsabilità di cui il trionfo del Cirano gli gravava le spalle. Esso fu per lui quello che è a volte il successo di taluni precoci talenti, ai quali la precocità stessa impedisce una più sicura maturazione, e che facilmente conduce alla «rovina». Il Cirano interruppe quello sviluppo e quella maturazione ai quali Rostand poteva aspirare; dopo un Cirano, egli non poteva scrivere che inconsueti e originali capolavori; gli fu impedita insomma quella possibilità di provare, di sbagliare, di sperimentare tranquillamente, nell’ombra o nella penombra, che è la via maestra dell’imparare. Ovvero – il che è lo stesso – egli sentì prepotentemente questa condizione; e la sua penna, che era stata così generosa e solerte fino a Cirano, si fece parsimoniosa e prudente. Sei commedie aveva scritto tra il 1887 e il 1897, prima del Cirano,1 due soltanto ne scriverà nei ventun anni che vanno dal Cirano alla sua morte, il 2 dicembre del 1918: L’aiglon (L’aquilotto) nel 1900, dedicato alla vicenda dell’infelice figlio di Napoleone, consunto dalla tisi a ventun anni, che Sarah Bernhardt interpretò, ancora al Théàtre de la Porte-Saint-Martin, incurante dei propri cinquantasei anni; e Chantecler (Cantachiaro), nel 1910, una commedia lirica in cui tutti i personaggi erano animali, alla quale aveva lavorato per dieci anni, e nella quale riponeva tutte le proprie ambizioni, ma L’aiglon non andò oltre un successo di stima, e Chantecler, troppo attesa e allestita con sfarzo e costi di assoluta eccezionalità, deluse i fiduciosi e irritò gli scettici, e mancò quel successo che pure avrebbe meritato in virtù dei molti momenti belli, profondi e poetici che vi sono contenuti. Due sole opere, dunque, alle quali si può aggiungere L’ultima notte di Don Giovanni, che egli non si risolse a dare alle scene, e che fu rappresentata postuma nel 1922, e una cospicua serie di abbozzi e di frammenti che testimoniano del suo travaglio, su temi e titoli quali Faust, Penelope, Giovanna d’Arco, Il teatro, che attestano in...