Cielo, terra e quel che sta nel mezzo
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Cielo, terra e quel che sta nel mezzo

  1. 340 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Cielo, terra e quel che sta nel mezzo

Informazioni su questo libro

La saggezza di un intero popolo rivive nel destino di due gemelli aborigeni che, appena nati, vengono strappati alla madre e dati in adozione. Da quel momento, le loro strade si dividono. Il maschio cresce senza amore e senza la consapevolezza della propria cultura d'origine, abituato sin da piccolo al duro lavoro. Beatrice, la sorella, viene allevata in un orfanotrofio da suore che non sanno darle affetto. A sedici anni viene ributtata nel mondo ed è costretta a dedicarsi ai mestieri più umili. La sua unica via di fuga dalla dolorosa realtà è la lettura che le fa scoprire le sue radici e la porta dove l'istinto le suggerisce, nelle terre selvagge dell'Australia, tra gli aborigeni che le insegneranno a osservare il mondo senza giudicare, ad avvicinarsi a se stessa e, soprattutto, ad amare.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817024686
eBook ISBN
9788858637081

Dedica

Questo romanzo è dedicato
a Burnum Burnum,
l’uomo più vecchio della tribù Wurundjeri

Ringraziamenti

Desidero ringraziare la mia editor, Diane Reverand, le mie agenti, Candice Fuhrman e Linda Michaels, e due persone speciali che mi hanno aiutato nella stesura di questo libro, Jeannette Grimme ed Elsa Dixon. Grazie anche a Rose Carrano e Cate Cummings.
Voglio augurare amore e sostegno per il viaggio a Russell Thomas Moore.
Questa storia è stata scritta anche per Sean, Michael, Karlee, Derrell e Abby.

1

Il volto bruno della partoriente, una ragazza di diciotto anni, era lucido per il sudore che le inondava le guance e colava dal mento tremante. Era accovacciata come in un giaciglio sull’erba, dalla quale si alzava un vapore profumato che le avvolgeva il corpo nudo, insinuandosi nel punto in cui la graduale dilatazione annunciava la nascita imminente. La ragazza si teneva con le mani al grosso ramo che aveva conficcato nel terreno e premeva le braccia sul ventre gonfio, quasi a proteggerlo, mentre col respiro breve e affannoso sembrava accompagnare il ritmo incalzante delle doglie. Era al suo primo parto, un’esperienza che nessuno al mondo vorrebbe vivere in solitudine.
Guardando verso il cielo vedeva nell’aria l’effetto della soffocante calura del deserto, un tremolio, quasi un moto ondoso che si propagava dal suolo rosso-bruno al cielo azzurro-bruno, fondendoli in un tutto unico, senza una vera e propria linea di demarcazione. Benché il sole fosse ormai sul punto di scomparire dietro l’orizzonte, l’aria non si era ancora rinfrescata. I dolori alla schiena e all’addome avevano reso via via più tormentoso il cammino della ragazza verso il luogo sacro dove ora si trovava. Quando finalmente era arrivata all’albero del parto, al dolore fisico si era sommata la delusione. L’albero che cercava era morto. Non erano rimaste né foglie né ombra, e nemmeno altri segni di vita, ma un alto guscio grigio che le termiti, fameliche, avevano completamente svuotato, e adesso solo gli enormi massi sulle rive di un torrente asciutto potevano ripararla con un poco d’ombra. La ragazza aveva dovuto piantare nel terreno a colpi di pietra uno dei rami secchi. Quando stavano per dare alla luce un bambino le donne dovevano sempre avere un punto fermo, la mano di un’altra donna da stringere o un tronco d’albero da accarezzare, ma a lei mancavano sia l’una che l’altro. La vista dell’albero di famiglia senza vita, svuotato all’interno là dove un tempo c’era il cuore e scorreva la linfa vitale, confermò alla ragazza che adesso, nel momento di proiettare un vita nel mondo, si trovava a tu per tu con il destino, affidata soltanto al Tutto. Lo spirito dell’albero se n’era andato, e a lei rimaneva la malinconia. Dalle sue credenze religiose aveva imparato che la natura insegna anche a controllare le emozioni. La sua gente non nascondeva e non reprimeva mai i sentimenti, se ne assumeva semplicemente la responsabilità, imparando presto a non esternarli in comportamenti emotivi. La ragazza provava tristezza non solo per il tronco disseccato di quello che un tempo era stato un grande amico che dispensava ombra e ossigeno, ma anche per le altre morti che i suoi resti sembravano simboleggiare.
Le contrazioni si fecero più frequenti. Con il suo agitarsi violento, quel figlio bizzarramente totemico sembrava poco propenso a venire al mondo. La ragazza si allontanò dai vapori delle erbe odorose, scavò nella sabbia calda una lieve depressione e tornò ad accovacciarsi, appoggiando la schiena a un masso. Cominciò a spingere, e mentre spingeva ripensò a quando, mesi prima, aveva preso la decisione, d’accordo con il marito, di smettere di masticare la pianta dalle proprietà contraccettive alla quale ricorrevano tutte le coppie della nazione del deserto finché non si sentivano pronte ad affrontare la responsabilità del viaggio di uno spirito. Così anche lei e il marito avevano programmato di farsi veicolo di uno spirito, concependo un figlio. Il compagno aveva sognato uno strano uccello ferito che, privo di un’ala, non riusciva né a volare né a farsi il nido. Si dibatteva al suolo in modo spasmodico, agitando così freneticamente quell’unica ala che ben presto si era sdoppiato in un’immagine confusa. Quel sogno aveva turbato profondamente l’uomo. E lei, sua moglie, si era avventurata da sola nell’aridità del deserto alla ricerca di un segno che li aiutasse a capire. Ma siccome non erano apparsi né rettili né animali speciali, lei e il marito erano andati a consultare i vecchi saggi della comunità, dai quali avevano appreso che il sogno era il messaggio di uno spirito del Sempre che chiedeva ai due di diventare suoi genitori. Per prima cosa infatti uno spirito non nato rende nota la sua richiesta, e solo in seguito si compie l’atto del concepimento. La gente della tribù era molto attenta ai desideri, ai messaggi e ai livelli di coscienza di coloro che ancora non erano nati e la ragazza si era recata nel luogo sacro della sua famiglia perché il posto della nascita ha una grande importanza. Sono i passi compiuti dalla madre a determinare quel posto, perché il non nato non ha modo di decidere per conto suo. La sola cosa che può fare è esprimersi con il primo movimento che compirà nel grembo materno, un movimento su cui la madre non può esercitare la propria volontà. Il luogo dove viene avvertito questo primo sussulto è dunque importantissimo perché determina il rapporto tra il totem e la linea dei canti. Sarà poi la collocazione degli astri nel firmamento a predire il carattere e la personalità del nuovo membro della tribù non ancora visibile.
Il primo movimento di questo nascituro non era stato comunque solo un lieve accenno, bensì uno scossone che si era poi ripetuto più e più volte nel corso dei mesi. In quei momenti si poteva vedere l’addome della ragazza incresparsi da un fianco all’altro, fenomeno giudicato anormale dalle altre donne e dai guaritori della tribù. Erano tutti stupefatti nel vedere quell’insolito pancione quasi sempre in subbuglio. Alcuni avevano osservato che là dentro era evidentemente in corso una battaglia per venire al mondo prima del termine, oppure per chiedere ancora più spazio di quello che la pelle, stirandosi, poteva concedere. Nei mesi precedenti la giovane aveva cercato dei segni che la aiutassero a capire, e non essendo ancora padrona dell’arte di interpretare i messaggi astrali aveva tentato di imparare, scrutando il firmamento nei momenti in cui l’attività all’interno del suo corpo si faceva particolarmente intensa. Ma dopo un po’ che guardava le stelle le girava la testa, la vista le si offuscava e le costellazioni parevano mescolarsi in grandi masse scintillanti che assomigliavano ben poco all’ordinato disegno che lei conosceva. Se non riabbassava subito il capo, era presa da vertigini e si sentiva mancare. Insomma, tutto ciò che riguardava il nascituro appariva improvvisato e anomalo, continuamente mutevole e confuso.
L’anno appena trascorso era stato per la sua gente il più difficile a memoria di intere generazioni, tanto sul piano materiale che su quello spirituale. Da anni i bastoncini coi messaggi diffusi dalle staffette parlavano di uomini dalla pelle spettrale che massacravano e razziavano intere tribù. L’ondata malefica si era poi abbattuta sui gruppi vicini al suo e infine sulla sua stessa gente, che era stata rastrellata in massa e rinchiusa in recinti e mura.
Le doglie si acuirono di nuovo. Eppure, mentre si sforzava di respirare ritmicamente a brevi intervalli per attenuare il dolore, riusciva comunque a pensare. Benvenuto, piccolo mio. Vieni oggi, oggi è un buon giorno per nascere. Ancora qualche respiro ansimante, un gemito prolungato e infine, ecco spuntare la bimba perfettamente formata, con il caratteristico nasino camuso dei progenitori della sua razza.
La madre prese tra le braccia la neonata e poi, sollevandola all’altezza del volto, la fissò negli occhi neri lucenti e disse: «Sappi che sei amata e sostenuta in questo tuo viaggio! Io parlo dal dietro dei miei occhi, dalla parte del Sempre che è in me, e mi rivolgo al dietro dei tuoi occhi».
Sostenendo la piccola con il braccio destro, raccolse con la mano sinistra un po’ di sabbia calda e con quella cominciò a massaggiarla. In quel modo la camiciola di muco e sangue placentale scompariva, rivelando la tenera carnagione della neonata. La bimba prese ad agitarsi e la madre, continuando a massaggiarla dolcemente, la esaminò con attenzione, osservando per prima cosa la testolina tonda ancora priva di capelli ma abbastanza capiente da ospitare il sapere e la pace interiore, poi il petto e lo stomaco lievemente protuberanti, idonei ad accogliere un cuore caldo e un sano appetito. Ispezionò anche le gambe lunghe adatte alla corsa e i piedini che le parvero sufficientemente larghi, e infine le manine, che si agitavano vivacemente nella libertà appena acquistata. Quel corpicino era perfetto. Nessun difetto fisico ne minacciava la vita.
Allora pose la bocca sulle minuscole labbra della neonata per trasmetterle il pensiero: Mescolo la mia aria con l’aria di tutta la vita affinché entri in te. Tu non sei mai sola, tu sei collegata al Tutto. E strofinando delicatamente gli occhi e il naso della neonata per rimuovere la materia placentale annunciò: «Questa notte dormirai sulle tombe degli antenati e un giorno non lontano vi camminerai sopra. Il cibo che consumerai è scaturito dalle ossa e dal sangue dei nostri progenitori». Quindi, rivolgendo lo sguardo ai genitali della bimba, formulò il pensiero: Spirito del Sempre, sei entrato in un’esperienza madre-figlia. Io onoro la tua decisione di arrivare attraverso di me.
Mentre la madre continuava a massaggiare la neonata con sabbia calda per rendere la pelle immacolata e stimolare ogni nervo, la piccola emetteva sommessi vagiti, quasi volesse collaudare le corde vocali. La donna raccolse da terra una piccola tavola di legno leggermente incavata e coi bordi arrotondati che in precedenza aveva deposto accanto a sé e vi adagiò la bimba. Quindi collocò la culla improvvisata in un incavo del terreno, badando che la testa della piccina restasse più in basso rispetto ai piedini.
A quel punto si accorse di dover riprendere la respirazione rapida per espellere quanto le era rimasto dentro della placenta. Invece, ecco spuntare una testolina, poi due braccia e infine due gambe. Un altro figlio, dunque, un po’ più grosso della prima, un maschio. Da dove spunti tu? pensò. Ma ad alta voce, quasi programmata automaticamente, ripeté le antiche formule di benvenuto che dall’alba dei tempi venivano usate quali prime parole che ogni membro della tribù doveva udire: «Sappi che tu sei amato e sostenuto in questo tuo viaggio». Alitò tra le labbra del nuovo arrivato e gli massaggiò il corpo con la sabbia. Intanto i suoi pensieri e la stessa espressione del volto passavano dalla sorridente letizia alla perplessa meraviglia. Due bimbi in una volta sola. Bellissimi, certo, ma due in una volta! Non è così che vanno le cose di solito. Mentre continuava a strofinarlo con la sabbia, il figlioletto inatteso teneva alta la testa con una forza e una determinazione straordinarie. Anche il suo corpo non presentava difetti di alcun genere. Era fisicamente perfetto, e in quel momento stiracchiò le braccia e le mani e scalciò vigorosamente, in quella sorta di festa di conseguita maturità a cui si abbandona il bruco mutato in farfalla. Gli piaceva sentirsi libero nei movimenti. Era stato dunque questo piccolo essere, non la sorellina, a provocare nel ventre materno tutte quelle scosse durante la gravidanza.
La giovane madre raccolse il sacchetto che normalmente portava alla cintola, ma che in quell’occasione aveva deposto a terra, e ne estrasse una sottile treccia di capelli neri. Usando i denti per districarla, annodò il cordone ombelicale sul pancino della prima nata, lasciandolo pendere per un buon tratto in modo che, essiccandosi, si sarebbe staccato per diventare in un tempo futuro merce di scambio. «I capelli della gente di tuo padre ti liberano dal cordone della gente di tua madre. Figlia mia, tu condividi la vita, la solidarietà e i propositi dell’intera nostra tribù.» Al figlio maschio disse: «Perché mai, dopo che io ho donato il cuore alla primogenita, tu sbuchi fuori così, non come un capo, ma da gregario, non su un tuo proprio percorso e al tuo momento giusto, ma seguendo un’altra creatura? Non lo capisco proprio. Perché hai scelto di arrivare attraverso di me? Io onoro la tua decisione, ma non la capisco. Tu sei il più grosso, ma arrivi come se il momento, il luogo e le circostanze non significassero niente, come se contasse solo arrivare. Continui ad agitarti come se avessi bisogno della dimostrazione che ciò che accade è tutto vero. Il tuo spirito si è calato in questa esperienza umana e io onoro la tua decisione, ma non la capisco. Non ho mai saputo di un bimbo che ne segue un altro nello stesso parto. Nel tuo caso non ero preparata alla cerimonia. Mi servirò di parte del mio sacco. È fatto non solo dei capelli di molti uomini, ma anche di pelle e budella di animali. È più grande, più robusto, più ruvido. Forse è questo che ti serve per staccarti dal mio grembo e prepararti al mondo. Da come ti sei presentato, si direbbe che tu voglia o abbia bisogno di tutto dalla vita».
All’improvviso le venne in mente il primo grosso problema creato dall’insolita situazione: i nomi. Tutti i suoi progetti erano saltati. Avrebbe avuto bisogno di consigliarsi con qualcuno sul da farsi, ma non le era rimasto nessuno a cui rivolgersi. Poiché il processo del parto non si era ancora concluso, rimandò a dopo le sue preoccupazioni in proposito.
Quando il suo corpo si fu finalmente liberato di tutti i residui fetali, li seppellì come la sua gente aveva imparato a fare dalle madri degli animali: ogni traccia, ogni sentore del parto dovevano scomparire per la sicurezza stessa dei piccoli. Si distese poi accanto ai due neonati, e guardando il maschietto gli parlò col pensiero: Spero che tu abbia scelto saggiamente, dato che la tua presenza potrebbe risultare scomoda a molti. Qualche istante dopo la madre esausta si addormentò e la primogenita prese a suggerne il fluido della vita. Il sole era tramontato, il cielo si era fatto buio. E l’universo assistette a quella che era la prima, l’ultima e la sola notte che avrebbe visto insieme quella madre e i suoi due figli.

La mattina dopo, mentre il cielo era appena soffuso delle prime luci, la ragazza prese in braccio i due neonati, rivolse il viso a oriente e disse: «Oggi camminiamo per onorare per il suo esistere qualunque cosa esista intorno a noi. Siamo pronti a sperimentare tutto ciò che è massimamente buono e il massimo del bene che offre la vita in ogni dove». Concluso così il rito mattutino, si mosse in direzione del posto da cui era appena fuggita. Non aveva altro luogo dove andare. La sua nazione era stata sterminata e il marito massacrato, e adesso lei si trovava con due bimbi nati nello stesso momento. Era esausta e indossava soltanto quel che sembrava uno straccio logoro, fermato alla vita da una treccia di capelli da cui pendeva una sorta di borsetta in pelle di canguro. Mentre camminava, sentendo le mammelle riempirsi, portò al seno i due piccoli per allattarli uno alla volta.
Camminò ore e ore, inizialmente portando la bimba nella rudimentale culla di legno e il maschietto a tracolla, sistemato in una sorta di bandoliera ricavata dallo straccio che la vestiva. Poi si decise a deporre entrambi nella culla. È proprio vero, pensava intanto, non siamo fatte per avere due bambini.
Nel momento di massima calura si fermò, si avvolse lo straccio attorno alla testa e con quello mise se stessa e i neonati al riparo dal sole. I due piccoli vennero lasciati nella culla perché non fossero direttamente a contatto con la sabbia, troppo calda per le loro epidermidi.

A metà giornata le sfrecciò dinnanzi una lucertola grigia, lunga una ventina di centimetri, che poco dopo tornò per sostare a poca distanza dal suo piede. Afferrò il rettile con una mano e con l’altra gli torse la testa, uccidendolo all’istante. A quella creatura parlò con il pensiero: Grazie per essere venuta da me. Tu sei nata perché oggi potessimo incontrarci. La tua vita si mescolerà alla mia acqua bianca per nutrire questi due piccoli. Loro ti sono grati per la tua carne. Il tuo spirito di sacrificio in questo momento di assenza di acqua dal cielo li irrobustirà per giorni e giorni. Porteranno dentro di loro la tua energia, rispettando e onorando così il fine della tua esistenza. Affondò i denti nel fianco rugoso e dentellato della lucertola, mangiandola a piccoli morsi e aspirandone il succo.

2

Quando il sole prese a scivolare lungo l’altro versante del cielo, la giovane madre si alzò e si rimise in cammino. Era quasi buio quando arrivò nei pressi della missione. Uno dei bambini del campo, arrampicatosi sulla torre dell’acqua, l’aveva avvistata e adesso annunciava a piena voce il suo ritorno. Lei aveva fatto appena in tempo a coprirsi il seno con lo straccio quando le sue tre sorelle uscirono a darle il benvenuto. Era costume della nazione a cui apparteneva che tutte le donne della medesima generazione si chiamassero vicendevolmente sorelle. Le tre donne, benché non fossero sue consanguinee, rappresentavano comunque la sola famiglia che le fosse rimasta. Era insieme a loro a raccogliere yam quando erano state sorprese da un gruppo di funzionari bianchi che con la forza le avevano portate nella missione. Era successo cinque mesi prima. In seguito aveva saputo che tutti i membri della sua comunità erano morti.
Una delle donne, accortasi che la sorella era tornata non con il dono di un bimbo, ma con una specie di culla dalla quale spuntavano due testoline e un certo numero di braccia e gambe, si fermò e abbassò una mano per far cenno alle altre due di fermarsi a loro volta.
Hanno visto i due bambini, pensò la ragazza e, raddrizzata la schiena, proseguì tranquillamente verso la palizzata senza fermarsi.
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All’ingresso dell’insediamento Mrs Enright, la moglie del pastore, le andò incontro e, senza cambiare minimamente espressione, prese in braccio il più grosso dei gemelli e si avviò al capannone di lamiera ondulata che veniva chiamato «il posto della malattia dell’uomo bianco». La giovane madre la seguì.
A quel punto la voce si era già diffusa. Dalla porta e dai buchi che servivano da finestre cominciava ad affacciarsi gente. Rivolta a un paio di occhi che scrutavano da una fessura tra le lamiere la donna bianca ordinò: «Che nessuno disturbi il reverendo Enright!».
Quando fu all’interno si limitò a dire: «Vediamo un po’ che cosa abbiamo qui». Intanto aveva acceso una lanterna e deposto il bambino su una rozza tavola. Prese poi la piccola e l’adagiò accanto al fratellino. «Sono due, maschio e femmina. Be’, poteva andar peggio. Ho sentito di nere che ne hanno partoriti anche tre. Sembrano sani.»
«Questa è stata la prima a nascere» mormorò la ragazza.
«Come?»
«Questa è la prima» ripeté a voce più alta, indicando la bimba.
«Oh, be’, poco importa, cara» rispose Mrs Enright, una donna grassoccia dal viso placido. «Anzi, non importa affatto!»
Ma tu non capisci, pensò la ragazza. Non ci provi nemmeno. Vieni nella nostra terra, portando con te in catene altri della tua stessa gente. Poi dici che i nostri modi non vanno bene. Spingi quelli del mio popolo sull’orlo dei dirupi per mandarli a sfrac...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Cielo, terra e quel che sta nel mezzo