Il giustiziere
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Il giustiziere

  1. 363 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il giustiziere

Informazioni su questo libro

Roma. Da due settimane la città eterna sembra sprofondata nel terrore. Colpa degli omicidi del "killer del Carnevale", come lo hanno soprannominato i media, perché traveste le sue vittime con i costumi della festa. Una belva di crudeltà inaudita, che attacca le prede più indifese, le rapisce, le tortura, le uccide e poi torna a mimetizzarsi nella folla, pronta a colpire di nuovo. Per scovare un assassino così serve qualcuno che sappia muoversi nell'ombra, fuori dai protocolli di polizia. E, nell'ombra, due uomini e una donna si mettono sulle tracce del mostro: solitari, determinati, spinti da motivazioni che affondano le radici in un difficile passato. Nathan Treves, ex segugio della Omicidi, ritiratosi dal servizio dopo che una tragedia ha sconvolto la sua vita. Andrea Turindano, noto giornalista, pieno di debiti e disposto a seguire fino alle estreme conseguenze la via tortuosa verso la personale rinascita, o la definitiva disfatta. E poi Jasmine D'Amato, giovane, affascinante, che lavora per un settimanale di gossip ma aspetta la grande occasione per affermarsi e, insieme, colmare un vuoto profondo nella propria esistenza. A ciascuno di loro, la sfida al killer richiederà un prezzo altissimo. Max Orfei ha scritto un romanzo implacabile, che ha i tempi dei film d'azione e la profondità dei migliori thriller americani. Un libro sul Male che pulsa intorno a noi, non distingue tra vittime e carnefici, si infila sotto la nostra pelle e non ci abbandona più.

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Informazioni

Anno
2012
Print ISBN
9788817058957
eBook ISBN
9788858630914
Il giustiziere
A mia moglie Bribri, senza la quale
questo libro non esisterebbe.
Un’anima ferita uccide velocemente.
Molto più velocemente di un germe.
John Steinbeck

1

11 febbraio

Il Luogo Esatto dell’Incubo.
Se la sua giovane età le consentisse questa capacità di sintesi, la vittima, sdraiata e immobilizzata sul tavolo di alluminio, definirebbe così la stanza nella quale è segregata alla mercé del suo carnefice. I suoi occhi sbarrati, in realtà, possono vedere soltanto una porzione di soffitto sbreccato, illuminata da un’anemica luce fredda che ne evidenzia crepe e ragnatele.
«Greta non muore. Greta è qui, tesorino…»
Un cd brilla per un attimo, colpito da un riflesso di luce, prima di entrare nella sua sede e venire inghiottito dal lettore. Pochi secondi, e parte la musica. È ossessiva e sensuale.
Una collezione di lame, in schiera su un vecchio tavolo di legno massello intarsiato e polveroso: un vecchio coltello nepalese con manico in oro e avorio, una filiscina di Maniago inizio Novecento in madreperla con catelle in ottone, vari pugnali da marcia, essenziali e a fuso dritto, un Santino Ballestra con la daga d’avorio e la lama forgiata con trecento lamine, perfino un vezzoso pugnale Merlino, con la lama curva in acciaio e il manico decorato da un pomello raffigurante il volto del mago.
Vanità dell’assassino.
«Senti che bello: “Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche, assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono… Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo. Ah le coppe del seno! Ah gli occhi dell’assenza! Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste…”. Sai che ti dico, tesorino? Che senza le donne non esisterebbe la poesia! Di’ la verità, questa luce angosciante non ti ricorda quelle tristi ore in classe, mentre fuori piove, con la maestra che parla di noiose sottrazioni e divisioni, e tu che vorresti morire? Be’, ecco, stai per morire, infatti…»
Una lampada al neon nell’angolo lontano tra il soffitto e una parete di cemento grezzo. La sua luce frizza per un attimo un po’ indecisa, poi si ricompone.
«… La tua paura mi culla, il tuo sangue mi consola, la lama affilata mi ricorda lo scintillare dell’inevitabilità… In quanto a te, sei niente, una pallina di antimateria, una cisti, proprio come una minuscola cisti piantata da qualche parte del cervello cosmico… Non hai idea di che cosa sto dicendo, eh?»
Una pupilla sbarrata si muove frenetica nell’orbita dell’occhio tenuto aperto da un divaricatore di palpebre.
«… Allora, nozione di storia e geografia insieme: questo è un coltello da stivale del Quattrocento, viene dalla Borgogna… Ma scommetto che non sai dov’è la Borgogna, in geografia sei una schiappa, vero?»
Appoggiata in un angolo spoglio della stanza, alle spalle del carnefice, una cassa frigo, del tipo da ristorante, emette un sordo ronzio. La maniglia è sporca di sangue rappreso.
«Allora, che dici, comincio dal braccio? No, va bene, anch’io lo rispetto, il braccio è l’articolazione più mobile del corpo, lavoriamo piuttosto su questo fianco lardoso… Guarda come incontra la lama, fredda e implacabile… Ah senti quest’altra poesia, dimmi se ti piace: “Le ragazze al crepuscolo scendono in acqua, quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco ogni foglia trasale, mentre emergono caute sulla sabbia e si siedono a riva. La schiuma fa i suoi giochi inquieti, lungo l’acqua remota”. Non ti piace? Vorresti dire no con quel testone di patata, eh? Ma come no, sai che sei davvero noioso? Preferisci la lama? Non trovi sia una fresca sensazione di terrore? Ora ti apro un po’… Sai che in effetti sei parecchio molliccio? Dovresti dimagrire; anzi, scusa, saresti dovuto dimagrire… L’importanza dei tempi verbali…»
Un paio di Nike misura trentacinque, una delle quali suola all’aria, a poca distanza l’una dall’altra, sul pavimento di ceramica bruna. Più in là, un paio di calzettoni bianchi rovesciati, sui quali si intravede la trama accennata di uno scudetto colorato. Dei costumi di carnevale da bambini, appesi a grucce allineate lungo un appendiabiti in acciaio…
«Allora, sei pronto, Palla di Sego? A proposito, cos’era Palla di Sego? Un racconto di Maupassant, mi pare… Ma comunque sarebbe meglio se… ehi ehi ehi, che fai, eh no, bello della mammina, ecco, così, stai sveglio che il meglio sta arrivando adesso e voglio che tu sia consapevole finché non è finita. In effetti non sopporto che debba finire, perché diavolo le cose belle finiscono sempre? Non dovrebbero finire mai mai mai…»
«Mirko, vai a innaffiare le piante. E poi fila a dormire, è tardi.»
La voce di sua madre gli arrivò dalla cucina, fastidiosa e irritante come sempre. E, per di più, proprio mentre lui si stava godendo un video di Justin Timberlake, un’arrapante moretta col culo di fuori e l’aria di volerla dare a chiunque, pure a lui, se fosse passato da quelle parti. Immagini che gli stavano regalando emozioni da uno dei canali tematici a cui si erano abbonati da una settimana, con un piccolo ulteriore sforzo economico, viste le già esigue entrate mensili della famiglia Papi.
«Vacci tu, ma’, io c’ho da fare. Oppure mandaci Vane.»
«E piantala co’ ’ste storie, stasera tocca a te! E Vanessa sta facendo i compiti» si sentì urlare di rimando dall’altra stanza.
Mirko si alzò sbuffando e imprecando sottovoce. Aprì la portafinestra che dava su un bel giardino, orgoglio di sua madre, che l’acquisto di quella casa alla Torresina − periferia ovest di Roma, tre-camere-cucina-salotto ma finalmente con un gradevole spazio esterno − lo aveva vissuto come la conquista di uno status superiore.
«Che palle ’sto giardino, io gli darei fuoco, altroché!»
Mirko recuperò l’innaffiatoio di plastica per riempirlo, quando notò qualcosa nell’angolo meno illuminato del piccolo giardino. Gridò per farsi sentire da sua madre, in cucina a lavare i piatti: «Ma’, non ci voglio crede’! Chi ha comprato il nano? Io li odio, quei cosi! Solo i coatti tengono quella roba in giardino…» e aprì il rubinetto dell’acqua.
«Ma che strilli, è mezzanotte, cretino!» Gina uscì fuori coi guanti di gomma ancora bagnati. «Che c’è?»
Mirko le indicò svogliato il nano cicciottello con la tutina rossa, alto circa un metro, seduto un po’ di sbieco sull’erba. «Ma poi, pure così grosso? Sennò non si notava?»
«Sarà stato tuo padre, quello basta che spende e spande ed è contento. Mo’ lo chiamo al turno e gliene dico quattro.»
«Ecco, brava, rompigli le palle come al solito…»
«Moderiamo le parole, eh, ragazzino?»
Gina si avvicinò al nano e lo toccò. Mirko, girato di spalle, intento a controllare il livello dell’acqua nell’innaffiatoio, sentì solo un lieve «Oh, Madonna!», poi un frusciare e una specie di pesante flop: si voltò e vide sua madre a terra, svenuta accanto al nano.
«Ma’, che è, che è successo?»
Mirko corse verso di lei, spaventato, provò a tirarla su mentre lei lo guardava atterrita. Non riusciva che a ripetere con la voce strozzata in gola «Il… il… q-quello…», indicando il nano seduto sull’erba. Mirko si decise a dare un’occhiata più attenta da vicino, non sembrava più una statua di ceramica. E poi in effetti era troppo alto, non ne aveva mai visti così…
Lo toccò anche lui e il nano cadde piegato di fianco.
Allora Mirko capì.
Il bambino aveva gli occhi sbarrati, una margherita di plastica infilata nel pugno destro chiuso e un cartello attaccato sul petto: “MAMMOLO”.
Mirko rimase ipnotizzato a guardarlo. Sua madre si riprese e urlò: «Aiuto! Madonna santa, Madonnina mia! Aiutooo!».
Vanessa corse fuori in pigiama a fiori e pantofole a coniglietto, attirata dalle grida. Suo fratello e sua madre si agitavano in modo curioso, e solo quando si accorse dell’oggetto delle loro attenzioni scoprì anche lei di avere la Morte in giardino.
Mirko.
Sua madre.
Vanessa.
Il bambino mascherato.
Visti dall’alto, cioè dalla finestra della signora del sesto piano che soffriva d’insonnia ed era stata la prima ad affacciarsi, sembravano quattro burattini mossi da fili invisibili, quattro piccoli esseri schiacciati da un evento sensibilmente più grande di loro.
Mirko e la sua famiglia non leggevano giornali, se non quelli sportivi, i due maschi di casa, e le femmine i settimanali di gossip, sfogliati dal parrucch...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Il giustiziere
  5. Playlist