La capanna dello zio Tom
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La capanna dello zio Tom

  1. 560 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La capanna dello zio Tom

Informazioni su questo libro

Uno schiavo nero venduto a un feroce mercante, una famiglia in fuga per la libertà, un bambina molto generosa nell'America dell'ottocento.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817029544
eBook ISBN
9788858631461

Prefazione dell’autrice alla prima edizione europea

L’autrice non ha che una sola scusa per autorizzare la pubblicazione di quest’opera sul continente europeo e cioè che l’amore dell’umanità è superiore all’amor di patria.
Il grande mistero che accomuna le nazioni tutte, l’unione di Dio e dell’uomo nell’umanità di Gesù Cristo, investe l’esistenza umana di una santità sublime e tremenda, e agli occhi del seguace di Cristo colui che calpesta i diritti del più umile dei suoi simili non è soltanto inumano, ma sacrilego. La forma più grave di questo sacrilegio è l’istituzione della schiavitù.
È stato detto di questo libro che è pieno di esagerazioni. Ah, così fosse! Fosse davvero un’opera di fantasia e non un denso mosaico di fatti! Ma le prove che non si tratta di un’opera di fantasia affondano le proprie sanguinanti radici in migliaia di cuori, sono state attestate e confermate da migliaia di testimoni negli stati schiavisti, sono state certificate, con particolare riferimento a questo libro, dagli stessi possessori di schiavi! Se ciò non bastasse, non avremmo che da rimandare il mondo civile al codice scritto, pubblicato e sancito negli stati schiavisti, che è la perfetta, chiara e legale esposizione e cristallizzazione di tutte le crudeltà e di tutte le enormità che l’uomo è capace di perpetrare a danno del corpo e dell’anima del suo simile. Se tale è la legge, quali saranno i risultati? Siano quindi rese grazie a Dio che questo grido potente, questo gemito di angoscia indicibile è stato finalmente ascoltato.
Si è detto che la popolazione schiava è del tutto inadatta alla libertà e che i personaggi descritti in questo libro sono esagerazioni romanzesche, assolutamente inverosimili. Checché possa dirsi della razza africana vera e propria, la popolazione schiava dell’America è oggi in grandissima parte una razza mista, nelle cui vene scorre il miglior sangue anglosassone: figure come George Harris ed Eliza sono tutt’altro che insoliti. Ma per timore che il personaggio dello zio Tom possa essere considerato una creazione letteraria senza riscontro nella realtà, riportiamo il seguente tributo ai meriti di uno schiavo prediletto, dal testamento del giudice Upshur, già Segretario di Stato sotto il presidente Tyler:
“Emancipo e pongo in libertà il mio servo David Rice e ordino ai miei esecutori testamentari di consegnargli cento dollari. Lo raccomando con la più viva premura al rispetto, alla stima e alla fiducia di qualunque comunità in cui gli capiti di arrivare. È stato mio schiavo per ventiquattro anni, e durante questo tempo è stato messo alla prova in tutti i modi e sotto tutti i rispetti. La mia fiducia in lui era illimitata; i suoi rapporti con me e con la mia famiglia sono sempre stati tali da offrirgli giornaliere opportunità di ingannarci e di danneggiarci; e con tutto ciò egli non è mai stato sorpreso in veruna grave colpa né tampoco in qualche involontaria infrazione del decoro della sua condizione. La sua intelligenza è d’ordine superiore, la sua onestà al di sopra di qualunque sospetto, e il suo senso del dovere e della proprietà elevato e perfino raffinato. Riconosco che egli è legittimamente autorizzato ad avvalersi di questo mio attestato nelle nuove relazioni che dovrà ora formarsi, la qual cosa gli è dovuta in cambio del suo lungo e fedele servizio e dell’amicizia salda e sincera che gli porto. In ventiquattro anni di ininterrotta confidenza non gli ho mai rivolto, e non ho mai avuto l’occasione di rivolgergli, una parola sgradevole. Non conosco nessuno che abbia meno difetti e più pregi di lui.”
Non si pretende che una personalità come quella dello zio Tom possa incontrarsi tutti i giorni, tuttavia non può neanche considerarsi un’eccezione. Sulla testa dell’infelice africano sono stati accumulati tanto biasimo, tanto disprezzo, così esagerate accuse di corruzione e di vizio che egli ha diritto, secondo giustizia, a esser rappresentato nel modo più favorevole concesso dalle possibilità e dalle circostanze.
Non è con dolore profondo, ma con un senso di solenne speranza e di fiducia che possiamo guardare alla lotta che oggi sconvolge l’America. È il grido di spavento del demonio della schiavitù, che ha udito da lontano la voce di Cristo che avanza e strazia e sconvolge la nobile forma da cui Egli finalmente gli ordinerà di dipartirsi.
Non è possibile che sì mostruoso errore possa sussistere a lungo nel senso di una nazione che, sotto tutti gli altri rispetti, è l’esponente migliore dei più grandi principi della fratellanza universale. In America il francese, il tedesco, l’italiano, l’ungherese, lo svedese, il celta hanno pari diritti; tutte le popolazioni esprimono qui le loro migliori caratteristiche e dalle generose leggi sono ammesse a uguali privilegi; tutto tende a far opera di liberalità e umanità; ed è appunto per questo che la lotta contro la schiavitù diventa ogni anno più terribile. La fiumana del progresso, accresciuta, approfondita e rafforzata dalle forze confluenti di tutte le nazioni, incontra questa barriera dietro la quale sono concentrate tutta l’ignoranza, la crudeltà, la tirannia delle epoche barbare. Oggi spumeggia e batte alla base, ma cresce ogni anno, e alla fine, con un balzo simile a quello del Niagara, spazzerà via la barriera. Poesia, eloquenza, letteratura: tutte le sono contrarie, perché non c’è facoltà divina nell’uomo che non sia fedele alla libertà!
All’inizio la schiavitù si stendeva su tutti gli Stati dell’Unione: il progresso della società ha emancipato ora la maggior parte degli Stati. Nel Kentucky, nel Tennessee, nella Virginia, nel Maryland sono sorti in tempi diversi forti movimenti a favore dell’emancipazione, movimenti continuamente rafforzati dal paragone fra la marcia progressiva dei liberi Stati e la povertà e la sterilità prodotte da un sistema che in pochi anni sperpera ed esaurisce tutte le risorse del suolo, senza possibilità di rinnovamento. Non può esser lontano il momento in cui questi Stati saranno costretti, per la loro stessa conservazione, a emanciparsi; e se non sarà aggiunto alcun altro Stato schiavista, l’aumento della popolazione schiava renderà necessario per i pochi rimasti prendere misure d’affrancamento. Questo è il punto essenziale della battaglia. Se non guadagnerà altri territori, la schiavitù morirà: se sì, essa sopravvivrà. Intorno a questo punto i partiti politici combattono e manovrano; la battaglia si fa ogni anno più appassionata e sta diventando rapidamente la grande questione nazionale. Con la fugace legge schiavista del 1850 lo schiavismo riportò, sì, una vittoria, ma una vittoria come quella di Pirro: un’altra simile sarebbe la sua rovina. Questa legge ha fatto più di tutti i tentativi precedenti per suscitare e concentrare le forze morali di tutta la nazione contro la schiavitù.
Le lotte intestine che si svolgono in America interessano certo l’europeo più di quelle di qualunque altro paese del mondo, perché l’America è continuamente ripopolata dall’Europa e ogni europeo che approda alle sue sponde ha quasi immediatamente diritto di voto nelle sue assemblee.
Se, perciò, gli oppressi di tutto il mondo desiderano trovare in America un asilo di libertà duratura, vengano preparati, cuore mano e voto, contro l’istituzione della schiavitù: perché chi fa schiavi gli altri non può sperare di essere libero a lungo.
Ah, come sono vere le grandi ed eterne parole: “Non potrà conservarsi libera nessuna nazione in cui la liberà è un privilegio e non un principio!”

Andover, 21 settembre 1852.

HARRIET BEECHER STOWE

Nel quale il lettore fa la conoscenza con un uomo pieno d’umanità

Nell’avanzato pomeriggio di una rigida giornata di febbraio, due signori se ne stavano seduti a bere vino in una elegante sala da pranzo nella città di P., nel Kentucky. Non era presente nessuno dei servi, e i due, avvicinate le sedie, sembravano infervorati a discutere con molto calore un affare importante.
Per brevità abbiamo detto, più su, due signori. Dopo un attento esame, però, non si sarebbe potuto dire che uno dei due rientrasse, a rigor di termini, in quella categoria. Era un individuo basso e tarchiato, dai lineamenti comuni e grossolani e quell’aria tra burbera e pretenziosa, caratteristica dell’uomo di bassa estrazione che cerca di ficcarsi avanti nel mondo a forza di gomiti. Era chiassosamente vestito, con un appariscente panciotto multicolore e un vistoso fazzoletto da collo azzurro picchiettato di giallo, annodato con un fiocco sgargiante, in perfetta armonia con l’insieme dell’aspetto; le sue mani, dalle dita tozze e volgari, scintillavano di anelli; portava una pesante catena d’oro, adorna di un mucchio di ciondoli di prodigiose dimensioni e di svariati colori, che soleva sfoggiare e far tintinnare con molto compiacimento nell’ardore della conversazione. Il suo linguaggio era un’aperta sfida alla grammatica del Murray, e condito di svariate volgarità e imprecazioni che nemmeno il desiderio di essere letteralmente precisi nel nostro racconto ci permetterà di trascrivere.
Il suo compagno, il signor Shelby, era un vero gentiluomo, e la mobilia della casa e l’insieme dell’andamento domestico ne denotavano l’agiatezza, anzi l’opulenza. Come abbiamo già detto, i due sembravano sprofondati in una animata discussione.
«Io sistemerei la cosa così» disse il signor Shelby.
«Non posso fare i miei affari in questo modo, proprio no, proprio non posso, signor Shelby» obbiettò l’altro alzando contro luce un bicchiere di vino.
«Eppure, Haley, le assicuro che Tom è un tipo fuori del comune; vale certamente quella somma, sotto ogni punto di vista: serio, ordinato, onesto, capace, regola la mia tenuta come un orologio.»
«Onesto alla maniera dei negri, vorrà dire» ribatté Haley, versandosi un bicchierino d’acquavite.
«No, intendo dire onesto davvero. Tom è un gran brav’uomo, assennato, devoto. Quattro anni fa, a un camp meeting, si è fatto cristiano, e credo che lo sia per davvero. Da allora gli ho affidato tutto quello che posseggo, danaro, casa, cavalli: l’ho lasciato andare e venire dappertutto, e l’ho trovato sempre preciso e fidatissimo in ogni cosa.»
«Certi non ci credono che i negri siano religiosi, Shelby» disse Haley con un largo gesto della mano, «ma io sì! Ne avevo uno, sa, nell’ultima partita che ho condotto a Nuova Orleans, che pareva proprio di stare alla predica, a sentirlo pregare, ed era quieto come un agnellino. Mi fece guadagnare anche dei bei quattrini, quello lì, perché lo avevo comprato per poco da uno che era costretto a venderlo e ci ho fatto nientemeno che seicento dollari. Sì, sono convinto anch’io che la religione sia una bella qualità per un negro, a patto che l’articolo sia genuino, e non un trucco.»
«Ebbene, quanto a Tom almeno, genuino lo è» replicò l’altro. «Figurarsi, l’anno scorso lo mandai a Cincinnati a sbrigare un affare per me e a riportarmi cinquecento dollari. “Tom” gli dico, “mi fido di te perché so che sei un buon cristiano e sono sicuro che non mi ingannerai”. Tom va e torna puntualmente. Pare che certi brutti tipi gli avessero detto: “Tom, perché non te la batti nel Canada?” “Ah, no, il padrone si è fidato di me, non lo potrei fare!” Me l’hanno raccontato. Mi dispiace di separarmi da lui, lo confesso. Dovrebbe bastare a coprire il saldo del debito; e lei se ne contenterebbe, Haley, se avesse un briciolo di coscienza.»
«Ho tutta la coscienza che si può permettere un uomo d’affari: quel tanto cioè, capisce, che serve per poterci giurare, diciamo così!» replicò il mercante, compiaciuto della sua spiritosaggine. «E poi, sono sempre pronto a fare quello che posso per un amico; ma questo, vede, è un pochino troppo per un pover’uomo, un pochino troppo.»
Il mercante sospirò, contrito, e si versò un altro bicchiere.
«Ebbene, allora, Haley, come sistemiamo quest’affare?» riprese il signor Shelby, dopo una pausa di silenzio imbarazzato.
«Be’, non ha mica un ragazzo o una ragazzina da buttare lì, insieme a Tom?»
«Uhm… nessuno di cui possa disfarmi…. A dire il vero, soltanto la stretta necessità mi spinge a venderli. Non mi piace separarmi dalla mia gente, questo è il fatto.»
A questo punto la porta si aprì, e un piccolo meticcio fra i quattro e i cinque anni entrò nella stanza. Era un bambino di eccezionale bellezza. I suoi capelli neri, morbidi come la seta, ricadevano in riccioli lucenti intorno alla rotonda faccina tutta fossette, e due grandi occhi scuri, pieni di fuoco e di dolcezza, spiavano qua e là per la stanza sotto le ciglia lunghe e folte; una gaia ed elegante vestina di stoffa scozzese rossa e gialla ne metteva in risalto la bruna e vistosa bellezza, e una certa buffa aria di disinvoltura, nonostante la timidezza, dimostrava che era avvezzo a esser notato e vezzeggiato dal padrone.
«Ehi là, Cornacchino» esclamò il signor Shelby fischiando e buttandogli un grappolo d’uva. «Prendi questo!»
Il bimbo si slanciò per afferrare il regalo, mentre il padrone rideva.
«Vieni qua, Cornacchino» gli disse.
Il bimbo si avvicinò, e il signor Shelby lo prese per lo sganascino e gli accarezzò la testolina ricciuta.
«Su, Cornacchino, fa’ vedere a questo signore come sai ballare e cantare.»
Il bambino intonò con vocina limpida e intonata una di quelle selvagge e grottesche canzoni comuni fra i negri, accompagnandosi con una quantità di contorsioni delle braccia, dei piedi e di tutto il corpo, perfettamente intonate alla musica.
«Bravo!» gridò Haley gettandogli uno spicchio d’arancia.
«Adesso» ordinò il padrone, «cammina come il vecchio zio Cudjoe quando ha i reumatismi.»
Le elastiche membra del fanciullo diventarono di colpo deformi e contorte; con la schiena curva, il viso infantile stirato da una smorfia di dolore, egli zoppicò per la stanza, appoggiato alla canna del padrone, sputacchiando a destra e a sinistra, a perfetta imitazione d’un vecchierello.
I due signori si sbellicavano dalle risa.
«E adesso, Cornacchino» continuò il padrone, «facci vedere come intona il salmo il vecchio Robbins.»
Il ragazzino allungò spropositatamente il visetto paffuto e cominciò a cantare un inno con voce nasale e con gravità imperturbabile.
«Bravo! Bravissimo! Che tipo!» gridò Haley. «Questo ragazzo è un fenomeno, parola mia! Sa che le dico?» aggiunse improvvisamente, battendo la mano sulla spalla del signor Shelby. «Ci metta anche il marmocchio e chiuderò l’affare. Su, dunque, non mi dirà che non va bene così…»
In quel momento, la porta fu aperta pian piano e una giovane meticcia sui venticinque anni entrò nella stanza.
Alla prima occhiata si riconosceva in lei la madre del bimbo; aveva gli stessi occhi grandi, scuri, espressivi, gli stessi morbidi riccioli neri. La calda tinta della sua carnagione sfumava sulle guance in un lieve rossore che aumentò quando sentì lo sguardo del forestiero fisso su di lei con aperta e insolente ammirazione. L’abbigliamento semplice ed elegante ne disegnava la ben modellata figura. La mano delicata, la caviglia e il piedino svelti e sottili erano particolari che non potevano sfuggire all’occhio esperto del mercante, avvezzo a cogliere con uno sguardo tutti i pregi di un bell’articolo femminile.
«Che vuoi, Eliza?» chiese il padrone poiché la giovane si fermava guardandolo esitante.
«Scusi, signore, cercavo Harry.» Il bambino si slanciò verso di lei per mostrarle i suoi tesori che si era raccolto in un lembo della vestina.
«Va bene, allora, portatelo via» disse il signor Shelby; ed ella si ritirò in fretta col bambino in collo.
«Per Giove!» esclamò il mercante pieno d’ammirazione; «questo sì che è un bel capo! Lei potrebbe fare la sua fortuna quando vuole, a Orleans, con quella ragazza. Ho visto sborsare più di mille dollari, ai miei tempi, per ragazze che non erano niente affatto più belle di questa.»
«Non intendo fare la mia fortuna con lei» dichiarò seccamente il signor Shelby; e, vista la piega che prendeva la conversazione, sturò un’altra bottiglia di vino e ne chiese all’ospite il parere.
«Ottimo, signore, di prima qualità!» asserì il mercante; poi, voltandosi e battendo familiarmente la mano sulla spalla di Shelby, continuò: «Su, quanto chiede per quella ragazza? Che posso offrire per lei? Di quanto si contenterebbe?»
«Signor Haley, non è in vendita» ripeté Shelby. «Mia moglie non se ne separerebbe per tant’oro quanto pesa.»
«Già, già, le donne dicono sempre così perché loro i conti non li sanno fare. Fatele capire quanti orologi e quante piume e quante cianfrusaglie potrebbero comprare col peso in oro di qualcheduno, e questo cambierà aspetto alla questione, glielo garantisco io.»
«Le ripeto, Haley, che non è nemmeno il caso di parlarne. Ho detto di no, e no dev’essere» ribatté Sh...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La capanna dello zio Tom
  4. Ultime osservazioni
  5. Un libro, una guerra