Dedica
Ai miei genitori, Tindara e Giovanni.
E a Zanego, dove ho finito il libro
guardando il mare.
PARTE PRIMA
L’attentato
Secondo Plinio il Vecchio, il basilisco sarebbe
un piccolo serpente, lungo meno di venti centimetri,
ma la creatura più micidiale in assoluto,
velenosissima e in grado di uccidere
con il solo sguardo.
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1.
Quando l’agente Franchi vide l’inconfondibile sagoma del commissario Ferrara ad attenderlo poggiato alla spalletta sinistra del ponte di Santa Trinità – leggero impermeabile chiaro, impeccabile abito blu, immancabile mezzo toscano in bocca –, imprecò sottovoce e guardò l’ora, prima nello Swatch che portava al polso e poi nell’orologio del cruscotto dell’Alfa 156 di servizio nuova di zecca. Entrambi indicavano le 7:40, segno che non era lui in ritardo ma il commissario in anticipo.
Lo batteva sempre.
Accostò.
«Buongiorno, Sebastiano» lo salutò Ferrara salendo in macchina e spostando la mazzetta dei quotidiani che l’autista gli preparava sul sedile posteriore.
«Buongiorno, dottore» rispose Franchi svoltando subito per il lungarno Corsini da dove avrebbe imboccato il successivo ponte alla Carraia. «Anzi, mica tanto» aggiunse poco dopo vedendo gli strati di nuvole scure che avanzavano minacciose dalla direzione del Parco delle Cascine.
«E dici bene» commentò il capo della Squadra Mobile di Firenze, il cui sguardo era caduto invece sul titolo in prima pagina del “Corriere della Sera” di quel lunedì 1° ottobre 2001:
Conto alla rovescia per l’attacco all’Afghanistan.
Secondo fonti inglesi mancano poche ore. Silenzio minaccioso degli Usa. Blair: «Prove definitive su Osama».
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE A WASHINGTON – L’attacco all’Afghanistan verrà sferrato entro 48 ore. Lo affermano fonti britanniche citate dall’“Observer” di Londra. Gli obiettivi saranno i campi d’addestramento e i covi di Bin Laden e le forze armate talebane, innanzitutto l’aeronautica e la missilistica. L’offensiva inizierà con un massi...
«Secondo me ci becca prima che arriviamo in ufficio.»
«Chi?» domandò interdetto Ferrara.
«La pioggia, no?» replicò l’autista con l’ausilio sonoro di un debole tuono in lontananza.
Ferrara sorrise. Fossero tutti lì, i guai della giornata.
Per lui era nata già guasta dalla prospettiva della mole di lavoro d’ufficio che l’aspettava. La fine di ogni indagine lascia sempre un lungo strascico di rapporti da completare, denunce da formalizzare, prove da catalogare, esposti, tutta la pletora di formalità e documenti che per il capo della Mobile dopo appena tre giorni cominciavano a puzzare, come l’ospite e il pesce.
Di giorni ne erano passati molti di più dalla colossale operazione d’agosto che aveva messo fine al traffico di droga del mafioso Salvatore Laprua detto zì Turi, arrestato per l’omicidio della giornalista del “Tirreno” Claudia Pizzi, e travolto come un ciclone il vertice della Procura di Firenze, ora temporaneamente affidato alla sua amica Anna Giulietti, promossa al ruolo di procuratore aggiunto.
«Ha visto i giornali, dottore?» domandò Franchi mentre si immetteva nel lungarno Soderini.
«Aria di tempesta anche lì, eh?»
«Poveracci. Se penso che stavo per arruolarmi nei carabinieri e magari mi spedivano laggiù mi vengono i brividi. Mia madre ci avrebbe fatto una malattia, capo, già a vedermi nella nostra divisa si fa ogni volta il segno della croce convinta che il nostro mestiere è il più pericoloso del mondo!» disse ridacchiando.
«Parole sante, Sebastiano, dovresti dirlo a mia moglie. Anche lei più passa il tempo e più vede pericoli dappertutto, e continua a dirmi che è ora di mettermi in pantofole a fare cruciverba o scrivere le mie memorie!»
«Per carità, capo! Glielo dico sì, che il capo della Squadra Mobile è in una botte di ferro. Il guaio è che le donne vedono troppi film gialli, dottore, dove i poliziotti risolvono tutto a pistolettate. Se mia madre sapesse che il pericolo più grosso che corro è quello di dover cambiare una gomma!...»
Avevano appena superato l’edificio della Croce Rossa che squillò il cellulare. Vedendo sul display un nome aggiunto da poco alla rubrica – Silverio Liuzza, l’avvocato di Laprua che aveva preso a tormentarlo di recente con ambigui messaggi –, Ferrara si meravigliò. Erano solo le 7:46, un’ora insolita per la telefonata di un legale che certo non doveva essere nel suo studio. Pensò fosse meglio fermarsi per parlare con più agio e non correre il rischio di perdere campo: magari era la volta che scopriva le carte.
«Accosta appena puoi, va’.»
L’autista, vedendo che un’Audi A3 parcheggiata sulla sinistra accanto al marciapiedi proprio prima di piazza del Cestello aveva messo la freccia per uscire, frenò un po’ bruscamente, costringendo a un’identica manovra il furgone postale che lo seguiva.
«Buongiorno, avvocato» diceva intanto il capo della Mobile all’apparecchio.
«Buongiorno a lei, illustrissimo commissario Ferrara» attaccò il logorroico Liuzza, un napoletano che si compiaceva del suono della propria voce, e il commissario si dispose a sorbirsi la litania degli immancabili aulici convenevoli che facevano da preludio a tutte le sue telefonate.
Ma non era destino che li ascoltasse.
Fu solo questione di attimi, frazioni di secondo.
L’Audi si era appena allontanata e Franchi aveva iniziato la manovra per accostare quando un immane boato scosse le fondamenta delle case in un raggio di centinaia di metri. Tremarono le spesse mura delle antiche chiese da San Frediano a Santo Spirito, vibrarono i cristalli delle vetrine delle botteghe di Ponte Vecchio e i vetri delle finestre di Palazzo Pitti. L’onda sismica provocata dall’esplosione fu avvertita in diversi dei quartieri d’Oltrarno, ma giunse attutita dall’altra parte del fiume perché ad assorbirla ci pensarono le sue acque, che parvero per un attimo arrestarsi sul ciglio della cascatella della Pescaia di Santa Rosa come se volessero ritrarsi.
L’Alfa Romeo 156, appena assegnata a Ferrara dal questore, rinculò per effetto dello spostamento d’aria (questione di attimi: Franchi aveva appena schiacciato la frizione e la macchina si trovava in folle) e andò ad accartocciarsi contro il furgone postale che stava per superarlo. I cristalli andarono in frantumi, schiacciati e trafitti da schegge di acciaio e rami dei lecci della piazza divelti dall’esplosione insieme alla pesante catena che delimita l’area di parcheggio. Il capo della Squadra Mobile seguì con occhi abbacinati una palla di fuoco levarsi in volo e il sedile davanti venirgli pericolosamente incontro mentre avvertiva contro l’orecchio l’insopportabile pressione dell’apparecchio che ancora stringeva in mano.
Il sangue sul volto attonito dell’autista che si era voltato verso di lui come a scusarsi di non poterlo soccorrere fu l’ultima cosa che vide.
2.
Stretta tra Borgo San Frediano e l’Arno, piazza del Cestello prende il nome dall’imponente chiesa di San Frediano in Cestello dalla grezza facciata in pietra, parallela alla sponda del fiume come il piccolo teatro e l’albergo che le stanno accanto, ed è chiusa ai lati dal Seminario arcivescovile adiacente alla chiesa da una parte e dal Centro amministrativo del Comando logistico dell’esercito da quella opposta. Il quarto lato, aperto verso il fiume e ombreggiato da alberi antichi, delimita il parcheggio che riempie la piazza, sempre affollato.
I primi a uscire dopo lo scoppio della bomba furono i militari, uno sparuto gruppo che agli ordini del tenente di servizio si avventurò oltre il tappeto di vetri infranti del portone.
Una densa nuvola di fumo nero avvolgeva la piazza e diffondeva un odore acre e pungente.
Quando gli occhi lacrimanti dei militi cominciarono a fendere gli strati fumosi, gli uomini si arrestarono ammutoliti.
«Ma… Ma…. Madonna, sior tene!…» esclamò il più giovane, alto, magro, biondo e incredulo, scorgendo il cratere presso cui bruciavano le carcasse delle macchine investite dalla deflagrazione. E rimase con la bocca aperta su quell’ultima “e”, senza la forza di richiuderla. Il tenente fissava invece, inorridito, quelli che sembravano resti umani appiccicati alle lamiere contorte e perfino al muro del Seminario.
dp n="14" folio="14" ? Subito dopo sbucarono, da via del Piaggione accanto al Comando, un ispettore e cinque agenti del vicino Commissariato di Pubblica Sicurezza Oltrarno di piazza del Tiratoio. L’ispettore parlava concitatamente al cellulare collegato alla Questura di via Zara. Dal lato opposto arrivavano di corsa tre militi della caserma della Guardia di Finanza del lungarno Soderini.
Il silenzio irreale seguito all’esplosione fu rotto dall’eco della prima sirena ancora lontana e poi da un flebile lamento. Come segnali, diedero il la all’inferno acustico che accompagna ogni strage: urla, richieste di aiuto, pianti e, su tutto, la sinistra cacofonia dei timbri diversi e sovrapposti di altre sirene in avvicinamento, ambulanze, pompieri, forze dell’ordine, ciascuna con la propria distintiva e angosciosa urgenza.
All’ultimo piano della Questura, nei locali della Sala Operativa, il questore Riccardo Lepri seguiva personalmente l’esecuzione del piano varato in Prefettura dal Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica per le emergenze gravi. Accanto a lui c’era Francesco Rizzo, il vicecapo della Squadra Mobile. Al centro della sala l’operatore, con il microfono costantemente in mano, cercava in modo frenetico di coordinare gli interventi delle volanti sparse sul territorio. Già tutte impegnate, tardavano a rispondere.
«Volante Centro da Sala Operativa» provò ancora.
«Avanti» gli giunse finalmente la voce di riscontro.
«Portatevi con la massima urgenza in piazza del Cestello, c’è stata una forte esplosione.»
«Ci liberiamo subito.»
«Bene, aggiornateci quando siete sul posto.»
«Ok.»
«Volante Novoli da Sala Operativa.»
«In ascolto.»
«Posizione?»
«Viale Redi.»
«Portatevi all’ospedale di Careggi, stanno arrivando i feriti, identificateli e date notizie.»
dp n="15" folio="15" ? «Ricevuto, andiamo subito.»
«Azionate pure i sistemi di allarme. Siete autorizzati.»
«Ok.»
«Poli 476 da Sala Operativa.»
«Avanti, stiamo alzandoci in volo.»
Si udì il rumore delle pale dell’elicottero.
«Sorvolate la zona dalla piazza alla periferia, segnalate immediatamente movimenti sospetti» si intromise il questore.
«Qualche veicolo, qualcosa in particolare da ricercare?»
«Siamo al buio. Non abbiamo la più pallida idea. Ci affidiamo a voi, ma in caso di situazioni sospette, informateci e aspettate disposizioni.»
«Ok, ci siamo alzati in questo momento.»
Il rumore divenne più forte.
Il commissario Rizzo, dopo l’ennesimo tentativo andato a vuoto di rintracciare al telefono il suo capo, Michele Ferrara, diede sfogo alla smania trattenuta a stento fino a quel momento.
Era stato lui a raccogliere la notizia dell’esplosione e a guidare gli uomini nel caos che ne era seguito – chi correva a prelevare dall’armeria la mitraglietta M12, chi il giubbotto antiproiettile, chi si precipitava di corsa nel cortile per mettere in moto l’auto in attesa dei colleghi. Lui era rimasto in Questura perché voleva cercare Ferrara, cui spettava la direzione e che a quell’ora di solito era già in ufficio, ma alla fine si era ritrovato a seguire passivamente e a disagio gli eventi insieme al questore, sentendosi di troppo.
«Ancora niente?» si informò Lepri, leggendo già la risposta nello sguardo deluso del commissario.
«No, non risponde nessuno. Neanche a casa. Segreterie telefoniche da tutte le parti! Io vado, signor questore.»
«D’accordo, ma teniamoci in contatto. Il primo che lo rintraccia avvisa l’altro, va bene? Anzi, se lo dovesse trovare prima lei gli dica di telefonarmi subito.»
«Senz’altro» dovette quasi gridare, perché aveva già un piede fuori dalla porta.
dp n="16" folio="16" ? Si precipitò giù dalle scale e salì sulla prima auto che gli venne a tiro e che aveva già sul tetto il lampeggiante acceso.
«Vai, vai, presto!» ordinò, facendo contemporaneamente il numero dell’ispettore Riccardo Venturi.
«Sei già sul posto?»
«Appena arrivato, dottore.»
«Com’è la situazione?»
«Come a Beirut.»
3.
Al momento dello scoppio Petra, la moglie di Ferrara, era da poco entrata nella piccola serra dopo aver seguito dalla terrazza del loro attico l’allontanamento della macchina del marito finché l’aveva vista superare il ponte alla Carraia. Aveva anche visto le nuvole gonfie che minacciavano un temporale, e aveva pensato di pulire le cassette delle piante prima di rigovernare gli avanzi della colazione per timore che la pioggia più tardi glielo impedisse.
Il tuono che fece vibrare i vetri e tremare leggermente il pavimento non fu di quelli che annunciano pioggia, ma il genere di sventura che da sempre alimentava la sua ansia e che sembrò incarnarsi nella densa nuvola di fumo nero che si levò dalla piazza del Cestello.
«Mein Gott!» esclamò barcollando, per poi precipitarsi in casa a sollevare il ricevitore e battere i tasti del numero di cellulare di Michele.
«Il cliente da lei chiamato non è al mom...