Dedica
A E. da E.
A Y. da M.
Introduzione
dp n="10" folio="10" ? dp n="11" folio="11" ? Se vi piacciono le storie “forti”, eccone una.
In un mito greco si racconta che l’indovino Tiresia, passeggiando su un sentiero di montagna, vide due serpenti attorcigliati nell’atto della copula. Infastidito dalla scena, Tiresia decise di uccidere il serpente femmina. Così l’indovino divenne vittima di un incantesimo e in quel preciso istante si trasformò in donna. Per sette anni Tiresia vagò per il mondo, provando tutte le emozioni di un corpo femminile (compreso il piacere sessuale), sposandosi e avendo figli, finché un giorno si ritrovò nuovamente di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta, però, decise di uccidere il serpente maschio. Immediatamente, Tiresia tornò a essere uomo.
Un giorno, molto tempo dopo, Zeus ed Era si trovarono a discutere su chi, fra uomo e donna, potesse provare più piacere. Il dio credeva infatti che a godere maggiormente fosse la donna, mentre Era sosteneva che fosse l’uomo. Per dirimere la questione pensarono dunque di chiamare Tiresia, che aveva provato entrambe le condizioni. Allora l’indovino, dall’alto della sua esperienza, affermò che il piacere era un cerchio composto di dieci parti. L’uomo poteva gustare solo la prima, mentre era la donna ad avere il privilegio di sentire un piacere nove volte più intenso. La spiegazione di Tiresia dava quindi ragione a Zeus. L’ira di Era non si fece attendere: arrabbiata per la rivelazione di questo segreto, rese cieco l’indovino. Subito Zeus, non potendo rimediare a ciò che Era aveva fatto, lo ringraziò comunque del suo appoggio concedendogli la facoltà di prevedere il futuro e di vivere per altre sette generazioni.
Nonostante siano passati molti secoli dalla genesi di quel mito, quello che rimane oggi del cerchio del piacere raccontato da Tiresia è ancora in gran parte nascosto nel mistero. Però ci sono molte cose che oggi sono state ampiamente spiegate, a cui sono seguiti dibattiti farciti di parole pronunciate da sessuologi, sociologi, opinionisti, veline e calciatori. Noi autori vorremmo proporvi il sesso da un punto di vista totalmente diverso: quello della fisica. Come come? Cosa c’entra la passione amorosa con quei libri così noiosi che vi rovinavano i giorni di scuola? Se siete convinti che non c’entri nulla, rimarrete sorpresi. Gli autori sperano che, in caso contrario, voi lettori non siate irascibili come Era. In fondo, Zeus non ci ha consultati. E per fortuna, dato che non saremmo stati in grado di rispondere a una domanda così complessa. Comunque, se avessimo conosciuto la risposta, ce la saremmo tenuta stretta stretta. Dopo tutto, perché togliere a voi lettori il gusto di scoprirla da soli o… in compagnia? Buona lettura.
Parte 1
Fondamentali del sesso
dp n="14" folio="14" ? dp n="15" folio="15" ?
Meccanica
dp n="17" folio="17" ? Sotto pressione
Il corpo umano è complicatissimo: miliardi di cellule, sofisticati sistemi biologici interconnessi fra loro, un cervello ancora pieno di misteri. Nessuno è mai riuscito a “costruire” un essere umano, e persino far camminare un robot su due gambe è estremamente difficile. In mezzo a questo ginepraio di informazioni, per fortuna c’è la Fisica che, “smussando” la realtà, riesce a costruire modelli efficienti per capire come funzioniamo. Volete sapere come si muove una modella che sculetta in passerella? Facile: basta assimilarla a un pendolo rovesciato. Oppure siete curiosi di scoprire quanta superficie di pelle abbiamo? Una buona approssimazione si ottiene considerando il corpo come un cilindro. E già che ci siamo, un fisico vede l’erezione come un banale caso di idraulica. Provate a pensarci: si tratta di un fluido (il sangue) che va a riempire un tubo (il pene) e lo mantiene turgido grazie alla pressione. Proprio così: se, come cantava Enzo Jannacci, per fare musica ci vuole orecchio, per fare sesso ci vuole… pressione. E l’erezione si raggiunge, e soprattutto si mantiene, solo se la pressione del sangue all’interno del pene raggiunge determinati valori, ai quali corrisponde il fenomeno visibile – e tangibile! – dell’inturgidimento.
Come funziona dunque il pene? I manuali di anatomia raccontano che è formato da una testa o glande e dall’asta o corpo. Sul glande si trova l’apertura esterna dell’uretra dalla quale fuoriescono sia l’urina sia lo sperma. Il corpo è costituito da tre strutture formate da tessuto spugnoso, ricco di vasi sanguigni: i due corpi cavernosi, che si trovano ai lati dell’asse del pene, e il corpo spongioso (o spugnoso), un cilindro che circonda l’uretra e si espande a formare il glande dove terminano anche i corpi cavernosi. Il tessuto cavernoso è di natura vascolare, formato da cavità dilatabili e comunicanti tra loro. Queste strutture funzionano proprio come una spugna che, in seguito a una stimolazione fisica o psicologica permette al sangue di raccogliersi in quest’organo senza poi farlo defluire nelle vene, facendo sì che il pene aumenti di volume e diventi rigido.
In queste condizioni i valori tipici della pressione intracavernosa sono fra 150 e 170 mmHg, quindi significativamente più alti di una normale pressione arteriosa sistolica, detta “massima” (che in una persona sana è compresa fra 120 e 130 mmHg, mentre la minima, o diastolica, si attesta attorno a 80-90 mmHg).
Dopo l’orgasmo si riduce il flusso di sangue negli spazi cavernosi, la pressione intracavernosa si riduce ai livelli precedenti la stimolazione e il pene torna allo stato di flaccidità. I lettori di sesso maschile sanno bene che deve trascorrere un certo lasso di tempo prima che la sequenza possa ripetersi: è il cosiddetto “periodo refrattario” ed è l’unico momento in cui un uomo fa volentieri a meno della propria partner!
Un po’ di Storia
Se non fosse per lui, molti dei dati di cui abbiamo parlato sarebbero sconosciuti. Stiamo parlando di Evangelista Torricelli (Faenza, 1607-Firenze, 1647), giovane allievo di Galileo Galilei e inventore dello strumento con cui si misura la pressione atmosferica: il barometro. Il “tubo di Torricelli” o “barometro di Torricelli”, è costituito da un tubo di vetro, chiuso a un’estremità e riempito di mercurio, la cui imboccatura è posta in una vaschetta, anch’essa contenente mercurio, in modo da creare un sistema di vasi comunicanti.
Con questo apparato Torricelli misurò l’altezza raggiunta dalla colonna di mercurio all’interno del tubo, pari a 760 millimetri, e dedusse che il peso di questa colonna doveva essere equilibrato da un’altra forza, generata da quella che oggi chiamiamo pressione atmosferica. Il mercurio contenuto nel tubo non è infatti soggetto alla pressione esterna, al contrario di quello nella vaschetta. È proprio da questo esperimento e dal suo inventore che prende nome l’unità di misura della pressione, chiamata Torr, ma più comunemente nota con l’espressione “millimetro di mercurio” (da cui il simbolo mmHg, dove Hg è il simbolo chimico del mercurio), in quanto indica la pressione generata da una colonna di mercurio alta 1 millimetro). Non a caso Torricelli scelse il mercurio, l’unico metallo che si trova allo stato liquido a temperatura ambiente. Data la sua elevata densità, infatti, il mercurio permette di ottenere pressioni alte con volumi relativamente limitati. Così, Torricelli riuscì a eguagliare la pressione atmosferica con una colonna di mercurio alta solo 76 centimetri, mentre se avesse impiegato l’acqua al posto del mercurio, avrebbe avuto bisogno di un tubo lungo 10,33 metri.
A ognuno il suo
Oltre che fisica, la pressione può essere anche psicologica, e in questo caso si parla di impotenza. Capita a tutti di fare cilecca e non è necessario farne una tragedia! Nella schematizzazione classica esistono tre tipologie di impotenza maschile: l’impotentia generandi, ovvero l’impossibilità di generare prole, che comprende quindi tutte le tipologie di sterilità, l’impotentia coeundi, ovvero l’incapacità a congiungersi nell’atto sessuale o l’impossibilità fisica di eiaculare (pur avendo una normale capacità erettile) e infine l’impotentia erigendi, la vera e propria disfunzione erettile, legata all’incapacità di raggiungere un’erezione sufficiente per avere un rapporto sessuale e che ha fatto la fortuna miliardaria della Pfizer. In pratica, questi disturbi sono legati a una o più delle fasi dell’atto sessuale considerato dal punto di vista maschile, quelle che, nel diritto civile e canonico, prendono i nomi latini di erectio, immissio, eiaculatio e inseminatio. In mancanza di erectio, tutte le altre fasi sono compromesse… ragione per cui l’impotentia erigendi è considerata l’impotenza vera e propria. E, qualunque sia la causa della disfunzione erettile, è comunque sempre un fatto di pressione. È curioso notare che la temibile ansia da prestazione, fra le principali cause psicologiche dell’impotentia erigendi, colpisca soprattutto chi si sente “sotto pressione”!
Per saperne di più
Sin qui abbiamo parlato di pressione, ma ancora non l’abbiamo definita: per i fisici è semplicemente una forza per unità di superficie. In pratica i valori di pressione ci dicono come si distribuisce una determinata forza sulla superficie del corpo su cui questa stessa forza agisce. Un concetto fisico citato quotidianamente – ogni notiziario meteorologico cita la pressione atmosferica, prima di un lungo viaggio in auto controlliamo la pressione dell’aria negli pneumatici, se l’acqua della doccia arriva con poca pressione è difficile sciacquarsi, a ogni visita medica è sempre opportuno farsi misurare la pressione del sangue (al braccio, non al pene!) – ma spesso usato a sproposito. I liquidi come il sangue e l’acqua, a differenza dei solidi, che sono caratterizzati da volumi e da forme definite, assumono la forma del recipiente che li contiene, seguendo l’andamento delle sue pareti, a parte in quella che viene chiamata superficie libera, che è appunto la superficie non in contatto con le pareti. Un liquido versato in un contenitore esercita delle forze sulle pareti e sul fondo del recipiente. Per descrivere tali forze è opportuno impiegare il concetto di pressione, ovvero il rapporto fra la forza e l’area della superficie sulla quale essa agisce. Ragionamenti analoghi si possono fare anche per le sostanze aeriformi (comunemente dette “gassose”), come l’aria, appunto. Ma i gas, a differenza dei liquidi, non solo assumono la forma del recipiente che li contiene, ma tendono anche a riempirlo, occupando tutto lo spazio disponibile (ai gas non si applica quindi il concetto di superficie libera). A parità di forza applicata, la pressione è tanto maggiore quanto minore è la superficie su cui la forza si distribuisce. Così, per esempio, un cammello non affonda nella sabbia del deserto sulla quale percorre centinaia di chilometri grazie alle piante larghe delle sue zampe: pianta larga corrisponde infatti ad area grande, e quindi a una minore pressione esercitata sul terreno. Questo non accade invece a chi si avventura su una spiaggia o sull’asfalto appena colato con un paio di scarpe dotate di tacchi a spillo.
Sfruttando questa importante differenza fra peso e pressione, nel caso in cui ci si trovi a dover attraversare un fiume o un lago ghiacciato senza sapere se lo spessore del ghiaccio è tale da sopportare il nostro peso, ci possiamo sempre mettere a carponi e distribuire il peso del corpo su una superficie maggiore di quella dei nostri piedi. Camminando a quattro zampe, ogni centimetro quadrato del lastrone di ghiaccio sotto di noi sopporterà un carico ridotto e potrà quindi resistere al nostro passaggio. Il risultato non è garantito, ma il rischio di finire nell’acqua gelida è senz’altro minore!
Ma torniamo alla pressione del sangue. Questa, in generale, non è altro che la forza idrostatica che il sangue esercita sulle pareti dei vasi. Varia naturalmente a seconda dei distretti vascolari in cui la si misura, e dipende da diversi fattori, come il diametro dei vasi (ecco perché i farmaci vasocostrittori e vasodilatatori sono così importanti nel sesso). In particolare, la Fisica ci dice che la misurazione a livello del braccio corrisponde al valore cardiaco, perché si trovano entrambi alla stessa quota. Al di là del livello cardiaco, la pressione arteriosa sistemica – questa è l’espressione corretta per quella che più comunemente, ma erroneamente, è conosciuta come “pressione sanguigna” – varia a seconda del punto in cui viene misurata e in base alla postura, allo stato di attività, a stimoli emotivi o dolorosi, alla temperatura e all’uso di sostanze vaso- o psico-attive (come il caffè, per esempio).
Attrito
Ecco a voi il reportage di una discussione realmente avvenuta in un ristorante milanese e fedelmente riportata agli autori da un amico comune (che ama origliare e osservare: in altre parole, non si fa mai i cavoli suoi).
Un certo Marcello, prima di infilarsi in bocca un pezzetto di formaggio con il miele dice: “Ah, io quando faccio l’amore ho bisogno di almeno 7 ore”.
Donatella, posando la forchetta, girandosi verso di lui e strabuzzando gli occhi: “Così tanto?”.
Giorgio, a sostegno della sua categoria: “Be’, ovvio! Perché, a voi quanto serve?”.
Michela: “A me bastano 15 minuti, poi comincio a pensare ad altro”.
Donatella, evidentemente sollevata: “Anche io! Anzi, sarei più per i 10 minuti!”.
Mauro, inorridito: “Ma ragazze! Che cosa state dicendo? Si vede che non avete mai trovato quello che vi fa godere veramente!”.
Michela, ignorando Mauro: “Ma tu intendi 7 ore di… di… eh?”.
Marcello, un po’ stordito dal vino: “Di?”.
Donatella, spazientita: “Di penetrazione, di biscotto nel forno, di mambo orizzontale, di spina nella presa, di…”.
Marcello: “Ok, ho capito… ma che razza di domanda, certo! 7 ore di penetrazione!”.
Michela: “Scusa, ma l’attrito non te lo brucia come un legnetto nel camino?”.
I maschi, con sguardo inebetito e quasi all’unisono: “Cosa c’entra l’attrito?”.
L’attrito c’entra eccome.
Sulla rivista specializzata Journal of Sexual Medicine, la pubblicazione ufficiale della International Society for Sexual Medicine, sono apparsi i risultati di un sondaggio effettuato fra cinquanta specialisti in terapia sessuale che hanno raccontato le loro esperienze con i pazienti. La domanda era: secondo voi, qual è il tempo ideale da dedicare al sesso inteso come penetrazione, quindi tralasciando i preliminari? I maschi della tavolata milanese avrebbero sussultato se avessero letto questo articolo. Secondo le coppie che si sono rivolte ai medici, infatti, quando il rapporto supera i 13 minuti, inizia a diventare un po’ noioso e la mente tende a distrarsi (un punto a Michela). Dai 3 ai 7 minuti il sesso è “accettabile”, ma la durata ideale è di 10 minuti (un punto a Donatella). Secondo gli studiosi, questo risultato è molto realistico: in quel breve lasso di tempo ci si concentra davvero su ciò che si sta facendo, sul partner e sulla magia del momento. Quindi, d’ora in poi basta ansie da prestazione prolungata. Tanto ormai si sa che nella maggior parte dei casi, all’undicesimo minuto di gioco si insinua il pensiero della spesa, della partita con gli amici, di quel paio di scarpe visto in vetrina… Ma ogni coppia è un mondo a sé: forse da qualche parte c’è chi arriva in zona Cesarini al novantesimo minuto. Altre invece sono pronte in 20 minuti, un po’ come i carciofi trifolati. La cosa importante, quando si gioca, è fare gol in entrambe le reti.
Tempo e fastidio
E ora passiamo al vero problema che incontrerebbero Marcello Sette Ore e i suoi discepoli.
Tutto quel tempo dedicato alla penetrazione può anche essere realizzabile, magari con qualche intervallo, come suggeriva Sting qualche anno fa, ma questo non porterà alcun godimento in più. Anzi, saranno dolori, perché qui entra in gioco l’attrito, ovvero la forza legata allo “sfregamento” da cui ha origine il piacere ma che, se tirata troppo per le lung...