La vecchia nuova me
Va bene, ho mentito, ma solo a proposito della cena. Il resto del post è assolutamente sincero. Non potevo confessare che ho disobbedito, che ho bellamente ignorato i risultati del mio ultimo sondaggio e come risultato sono stata tenuta in ostaggio per tre ore. Soprattutto perché la notizia della rapina viene trasmessa in continuazione da dodici ore su tutti i canali televisivi locali; c’è perfino il video del mio rilascio, che si chiude sull’attimo in cui abbraccio i miei. Il fatto che “Baby Brooklyn” si sia trovata in un altro disastro tredici anni dopo il primo pare una storia più interessante di quelle degli altri poveretti che erano lì con me. E così se scrivessi sul blog che cosa è davvero successo ieri sera, il mio anonimato andrebbe a farsi friggere. Qualcuno farebbe due più due e scoprirebbe chi sono.
Per questo ho mentito, per salvaguardare la mia identità. E forse – magari solo un po’ – anche per salvaguardare il mio orgoglio. Non è che sia molto fiera di come mi sono comportata ieri. Tornerei indietro a cambiare le cose se potessi? Sì. Vorrei essere rimasta in macchina con Brian e essere andata in quello stupido ristorante come avevo promesso? Certo. E ho imparato la lezione su che cosa vuol dire disobbedire ai miei lettori? Assolutamente.
Da oggi in poi nessuna eccezione, nessun cambiamento di programma dell’ultimo minuto. D’ora in avanti farò solo quello che dicono loro.
Lunedì mattina sono giù dal letto all’alba. Oggi è un giorno importantissimo perché rivedrò di nuovo Hunter dopo la figuraccia di sabato sera. Quando sono uscita dal 7-Eleven lui era ancora lì, è vero, una sorpresa fantastica, certo, ma significa anche che l’ultima volta che ci siamo visti io ero uno zombie, dato che uscivo da tre ore spiaccicata su un pavimento lurido con una pistola puntata alla testa. Non esattamente l’immagine che vorrei aver dato di me. E poi, dato che al TG trasmettono ancora la notizia della rapina con tanto di foto degli ostaggi, è possibile che a scuola la gente ricominci a notarmi. E non in maniera positiva.
Quindi oggi devo essere meravigliosa. No, meravigliosa non basta: devo togliere il fiato, come una che ha appena posato per un servizio fotografico di Vogue.
Da quando Shayne mi ha tolto il ruolo di co-pilota, ho abbandonato la mia routine di trucco e parrucco a prova di paparazzo, ma è arrivato il momento di rimettermi in azione e di ricominciare a valorizzarmi.
Mi faccio una doccia con calma, doppio shampoo, e lascio il balsamo in applicazione per tutti e tre i minuti indicati sull’etichetta; intanto passo meticolosamente il rasoio su ogni centimetro delle gambe, prestando particolare attenzione ai punti difficili da raggiungere.
E durante il processo sento la voce di Shayne che, come un ufficiale dell’esercito, mi impartisce ordini, assicurandosi che io faccia un buon lavoro: “Non importa se fuori fa troppo freddo per indossare una gonna. Non devi mai andare in giro con le gambe pelose. MAI. Le conseguenze negative supererebbero di gran lunga i minuti in più che ci metti a depilarti.”
Salto fuori dalla doccia, mi asciugo, e frugo sotto il lavandino alla ricerca dei miei prodotti, tirando fuori bracciate di flaconi di elisir per aumentare la popolarità, che di recente avevano perso gran parte della loro utilità, considerata la mia attuale condizione sociale. Applico con cura due diverse creme idratanti su tutto il corpo, una per donare al mio incarnato pallido e dimenticato dal sole una tonalità appena più scura e la seconda per dare alla suddetta pelle più scura un effetto luminoso.
“Solo perché viviamo in Colorado non significa che non possiamo far finta di arrivare dritte dalla spiaggia” prosegue la voce di Shayne. “Perfino a novembre. Una pelle baciata dal sole tutto l’anno non è un’esclusiva dei protagonisti dei reality show in California. Dopotutto, il Signore ha creato le creme auto-abbronzanti per questo motivo: per permettere a tutti di giocare ad armi pari.”
Poi raccolgo i capelli con una fascia e inizio a lavorare sul viso. Con i gesti sicuri di un’artista trasformo i miei occhi spenti in fari penetranti, incorniciati da palpebre morbide e vellutate sui toni moka e cannella, con ciglia piene di volume, color mezzanotte. Applico sulle labbra uno strato di gloss volumizzante, che pizzica da morire mentre viene assorbito per regalarmi il broncio hollywoodiano che cerco.
“La vera bellezza, o l’ammirazione della scuola intera, non si ottengono facilmente. E richiedono sofferenza. Credi che le celebrità in tivù siano diventate dei sex symbol per l’aspetto che hanno la mattina quando si alzano dal letto?”
Di solito i vecchi ricordi degli ordini e i codici rigidi di comportamento di Shayne mi infastidiscono, e cerco di non ascoltarli. Ma stamattina ne ho bisogno, e ben venga la guida severa. Ho bisogno di incoraggiamento duro, ma efficace. E per la prima volta dopo molto tempo sono felice dei miei cinque duri e lunghi anni di training nella scuola di popolarità di Shayne Kingsley. Anche se non faccio più parte del suo esercito di soldatini rosa, l’addestramento mi è ancora utile. Soprattutto oggi.
Quando due ore più tardi emergo dal bagno, sono il ritratto della perfezione: dalle morbide onde dei capelli alle scarpe ultimo grido che indosso, sembro appena uscita da una rivista di moda. Devo ammetterlo, quando mi guardo allo specchio mi piace ciò che vedo. Mi vedo forte, sicura. Non voglio sembrare troppo piena di me, ma la persona che vedo in questo momento è davvero carina.
Era da un po’ che non la vedevo, e probabilmente mi ero quasi dimenticata com’era fatta, o persino di poter essere così. Così nel senso di una che potrebbe stare accanto a uno come Hunter.
Devo ammettere che è bello essere tornata.
Dopo il trauma della rapina di sabato sera, i miei erano dispiaciutissimi per me e mi hanno revocato la punizione. Devo ancora lavorare al cantiere due volte a settimana, ma non sono più segregata in casa tutte le sere, e hanno promesso di ricominciare ad accompagnarmi a scuola la mattina, così non dovrò più prendere quel vecchio autobus puzzolente.
Il mio nuovo/vecchio “look” sembra funzionare, perché appena varcata la soglia della scuola, la gente inizia a fissarmi. Forse funziona addirittura troppo bene, perché prima ancora di arrivare nell’atrio, una folla mi circonda. Mi chiamano, mi fanno domande, e io sono così sopraffatta che rimango senza parole. Riesco solo a stare immobile, come un cervo che attraversando la strada viene illuminato dai fari di un’auto, e intanto farfuglio cose incomprensibili.
«Oddio, Brooklyn. Ti ho visto in tivù. Stai bene?»
«Ti ha puntato la pistola alla testa?»
«Sei davvero la stessa Baby Brooklyn che era caduta nella miniera tredici anni fa?»
Cerco di farmi largo tra la calca, ma sono intrappolata, perché c’è troppa gente. Qui sono tutti matti! Per cercare di sfuggire sono finita spalle agli armadietti, e ho un lucchetto conficcato nella schiena.
Dalla folla sbuca un braccio, che mi afferra per una manica e mi tira fuori dalla ressa. Solo quando sono libera dal muro di persone che avevo davanti e mi ritrovo in un’aula vuota guardo il mio salvatore. È Hunter.
«Grazie» dico senza fiato. «Che delirio.»
«Come stai?»
«Bene!» rispondo per smorzare la sua preoccupazione. «Sto bene al 101%.»
«Non siamo molto fortunati con in nostri incontri, vero?» chiede.
Sorrido nervosamente e scuoto la testa. «No, non molto.»
«Temo che se ti chiedessi di uscire di nuovo potresti finire rinchiusa in qualche prigione sudamericana.»
«Oh, non credo» rispondo in fretta.
«Be’, allora che ne dici di…» continua con un sorrisetto malizioso, «venire con me al Ballo d’inverno il mese prossimo?»
Mi cade la mascella e sono pronta a urlare “Sì!” a pieni polmoni, ma poi penso al blog, e mi viene in mente che non ho la libertà di rispondere a questa richiesta in maniera autonoma. Soprattutto dopo quello che è successo l’ultima volta che ho cercato di eludere i desideri dei miei lettori. Così invece di rispondere quello che voglio davvero, dico: «Grazie. Ci penserò.»
E inizio a pregare che non si offenda, e voltandosi esca dalla porta dicendo: “Non ti scomodare.”
Hunter però ride, come se fosse parte di un gioco complicato a cui partecipa volentieri, e mi stringe in vita. «Ok, Brooks, va bene.»
Sto per uscire dall’aula e affrontare la spaventosa folla che mi attende, quando vengo trattenuta da un pensiero. In realtà da un ricordo. Ripenso alla sera dell’inaugurazione, e a Shayne in fila per entrare. Senza accorgermene gli chiedo: «E Shayne?»
Hunter sembra sorpreso dalla domanda. «Shayne cosa?»
«Sei uscito con lei?» sputo fuori prima di poter pensare a qualsiasi strategia per sembrare meno brutale. «Scusa, so che non dovrei chiederlo, ma devo saperlo.»
Hunter si preme le tempie con le dita, come se fosse alle prese con un fortissimo mal di testa. «Mmm…» inizia a mugugnare in tono sconcertato e confuso.
«Cioè, lo so che è probabile. Conosco un sacco di ragazzi che sono usciti con lei.»
«No» dice alla fine, afferrandomi le mani. «Assolutamente no, e non ho nessuna intenzione di farlo.»
«Ma…» mi mordo le labbra, «era lì al locale quella sera. Lei è venuta e io no.»
Hunter mi guarda confuso, come se gli stessi parlando in una lingua sconosciuta. «No» ripete di nuovo, «sono sicuro che non c’era.»
«Sei sicuro? Perché…»
Hunter mi interrompe stringendomi le mani. «Sono sicuro che non c’era perché non l’ho mai inserita nella lista degli invitati.»
Confusa, ripenso a quella sera, mentre ero accovacciata sul pavimento dell’auto di papà, e sbirciavo fuori dal finestrino come una spia imbranata. Ho visto Shayne che con i suoi occhi...