
- 144 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Storia di Piera
Informazioni su questo libro
In questo libro, nato dall'incontro di due donne, si racconta di "uno strano caso di famiglia sconquassata e infelice ma che nello stesso tempo contiene in sé le ragioni arcaiche dell'unione e dell'amore…". Si racconta anche di un rapporto inusuale fra una madre e una figlia, rapporto carico di sensualità e di complicità, che si evolve e dura negli anni. Si racconta di un'infanzia sonnolenta: una bambina che ha covato i suoi sogni dentro una sartoria, gli abusi degli amici del babbo, e infine la scoperta del teatro come la "casa dei desideri". Si racconta la storia di una vita.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Storia di Piera di Dacia Maraini,Piera Degli espositi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Art e Artist Biographies. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Storia di Piera

Proprietà letteraria riservata
© 1980 Gruppo Editoriale Fabbri — Bompiani,
Sonzogno, Etas S.p.A., Milano
© 1997 RCS Libri S.p.A., Milano
© 1997 RCS Libri S.p.A., Milano
eISBN 978-88-58-63074-7
Prima edizione digitale 2012 dalla quarta edizione BUR Scrittori contemporanei
gennaio 2006
gennaio 2006
Copertina:
Amadeo Modigliani, Elvira seduta appoggiata a un tavolo (part.), coll. privata © Burnstein Collection/Corbis
Foto di Dacia Maraini e Piera Degli Espositi© Giuseppe Moretti
Progetto grafico di Mucca Design
Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
In questa lunga intervista con Dacia abbiamo scritto e parlato d’amore. Per me l’amore è una investitura e lungo la mia strada ho eletto dei Re e dei Papa. Naturalmente queste grandi figure vivevano il tempo del mito — che si sa essere tempo a volte limitato — io ho cercato di capire da dove questo bisogno dell’investitura e della grande visione era venuto. E ho parlato come capita a me fino alla fine del fiato, per correre dietro all’immagine.
Prendendo con Dacia un trenino che mi piace pensare color blu (che è un colore buono), mi sono e ci siamo incamminate. Ho scoperto così che nella mia mitica famiglia il Mito appunto era di casa o almeno io avevo visto e vissuto fin da piccola quel clima così. E ho portato l’amica a visitare la mia casa con le figure che c’erano dentro. Perché lei potesse conoscerle e amarle e forse anche in qualche modo vendicarle.
PIERA DEGLI ESPOSTI
Questo libro nasce da un incontro felice, una scoperta di affinità, di somiglianza, Piera ed io apparentemente così diverse eppure unite da molte comuni esperienze: la violenza subita e assorbita durante l’infanzia, le grandi paure che hanno fatto nascere una struttura di difese complessa e spinosa, la gaiezza di fondo che nulla può turbare o abolire, le tormentose difficoltà per prendere possesso di una cultura fondamentalmente estranea e predatrice, i sogni di una sensualità sepolta sotto coltri di timori, di sensi di colpa, di incertezze.
Molte volte negli anni passati Piera mi aveva detto: facciamo qualcosa insieme a teatro, facciamo un bel personaggio di donna. Io dicevo sì, facciamo qualcosa insieme, ma poi ci perdevamo di vista; io avevo molte cose da fare, lei lo stesso e inoltre non era chiaro che cosa avremmo messo in scena e in che modo. In realtà io la conoscevo pochissimo: era amica di una mia amica, la stimavo come attrice, correvo a vederla quando veniva a Roma, con la compagnia dello Stabile dell’Aquila, ma non avevo mai parlato a lungo con lei, non conoscevo il suo carattere, la sua vita. Intuivo che aveva qualcosa di diverso dalla maggioranza degli attori, qualcosa di goffo e di candido, che mi ispirava una profonda simpatia, sentivo in lei l’ombra di quel "sentimento tragico" che ha formato il suo carattere ma non ne conoscevo l’origine.
dp n="8" folio="8" ? Dall’ultima volta che l’avevo vista erano passati mesi e mesi. Sapevo che era malata, che stava a Bologna a curarsi, ma niente di più. Una sera, in primavera, l’ho incontrata in casa di un’amica e mi ha detto che era stata molto male ma che ora era guarita e voleva ricominciare a lavorare: mi chiedeva se avevo ancora desiderio di riprendere il vecchio progetto teatrale. Ho detto di sì, che ero disponibile. Ma questa volta facciamo sul serio: decidiamo di incontrarci tre volte alla settimana per trovare un tema, un’idea su cui lavorare, per tirarne fuori uno spettacolo.
Vedendola spesso ho imparato a conoscerla. Mi incantavo a sentirla parlare con quella sua voce sempre un poco sorpresa e impacciata, il suo linguaggio stravagante, a volte ingenuo e bambinesco a volte sapientissimo e raffinato; un linguaggio fatto di immaginisegnali che escludono con decisione inconsapevole i luoghi comuni del parlato cosiddetto normale.
Piano piano mi è sembrato di intravedere le sue radici che sono profonde e nodose e lunghissime. Radici che continuano, nonostante la vita pellegrina di attrice itinerante a rimanere puntigliosamente sprofondate nella terra emiliana; la madre, il padre, gli amanti, le signorine, le zie, i ragazzi, le amiche, le finestre, la sartoria, i bar... radici che prendono ancora nutrimento da quelle angosciose esperienze e che impediscono la crescita di altre nuove radici. Uno strano caso di famiglia sconquassata e infelice che nello stesso tempo contiene in sé le ragioni arcaiche dell’unione e dell’amore. Un amore che contro ogni legge della natura si protrae al di là della vecchiaia, della dissoluzione, della morte fisica.
Dopo avere ascoltato la sua storia ho pensato che non si poteva fare altro che mettere in scena la storia stessa. Lo spettacolo sarebbe stato una proiezione dei sogni, delle paure, dei fantasmi che abitano il suo corpo. Gliel’ho detto e lei, con qualche incertezza ha accettato. Così abbiamo deciso di mettere giù il materiale della sua vita.
Intanto è venuta l’estate e lei era in partenza per la montagna, io per il mare. Abbiamo deciso che appena poteva mi avrebbe raggiunta dove stavo. E così è stato. Un giorno l’ho vista scendere dall’autobus nella piazzetta circolare di Sabaudia con una grossa valigia piena di camicie e di libri.
Di mattina io scrivevo, lei andava a spasso con Pinolo, il mio instancabile bastardo che la trascinava per chilometri lungo la spiaggia assolata. Nel pomeriggio ci sedevamo al fresco, sulle sdraio, e parlavamo col registratore acceso per due o tre ore. Verso le sette andavamo a fare la spesa, qualche volta ci sedevamo al bar del paese dove lei prendeva dei grossi gelati alla crema. Poi tornavamo a casa, preparavamo la cena, spesso continuando a parlare di sua madre, di suo padre, del teatro, fino all’ora di andare a dormire.
A metà agosto, se n’è andata e io ho fatto sbobinare le cassette. Ne è venuto fuori un mucchio di fogli in cui le parole correvano disordinate, affannosamente, con delle corse in avanti, delle immersioni ipnotiche nel passato, accavallando in modo sconclusionato temi e ricordi: una vita di bambina inestricabilmente intrecciata a una vita di madre delirante e tempestosa “andavamo insieme noi due tenendoci per mano a fare l’elettroshock", un tenerissimo rapporto di protezione, inganno, sensualità col padre "un uomo chiuso dentro una cristalliera", e le signorine odiate e amate della sartoria, gli amanti divisi con la madre, i giochi solitari, la scoperta del teatro, la malattia, l’amore. Ho subito pensato che bisognava lasciare il racconto com’era uscito dalla bocca di Piera, nella sua forma di monologo dai tempi imprevisti, a momenti sonnolento, sensuale, ironico, a momenti concitato, rabbioso, cupo. Non si poteva trasformarlo in un testo teatrale senza rompere quel carattere di narrazione casuale, frammentaria, piena di ombre e di splendori, con i suoi ciechi e limpidi personaggi, le sue azioni assolute, il suo fato, il suo intreccio psicologico scolpito nel tempo come una leggenda arcaica.
Nel frattempo (dall’inizio di questo racconto sono passati due anni e mezzo, quasi tre), io mi ero incontrata con un personaggio storico che mi intrigava molto e mi pareva molto vicino a Piera. Parlo di Charlotte Corday e del suo goffo e appassionato modo di vivere la rivoluzione. Pensavamo in un primo tempo di farne una storia raccontata soprattutto per immagini e di proporla alla televisione, ma poiché la televisione ha fatto orecchie di mercante, abbiamo deciso di farne un testo teatrale, sperando un giorno di potere realizzare il vecchio progetto comune.
Questo racconto invece abbiamo deciso di lasciarlo com’è tagliandolo solo delle sue lungaggini e ripetizioni, allungandolo di cose rimaste dimenticate (in questi due anni e mezzo ci abbiamo lavorato a più riprese per settimane e settimane) e di pubblicarlo come libro.
Così lo presentiamo ai lettori, come il ritratto di una donna che ha vissuto con divorante intensità una storia famigliare apparentemente diversa, unica, ma in realtà antica e comune a tutte le donne come l’archetipo doloroso del destino femminile nell’ostile e affascinante mondo dei padri.
DACIA MARAINI
PIERA. Ecco, questa è la fotografia di mia madre, hai visto? così giovane, così imbronciata. Mi fa l’effetto di una persona morta, anche se lei è molto presente in me. Quel suo modo di tirarmi per la mano, non per affetto, come quando mi tirava le trecce forte forte.
DACIA. Perché ti tirava le trecce?
P. Bisogno di ordine, non so, di pulizia, una cosa che contrasta con la sua vita di disordine, tutta sola, ripiegata, anche dentro villa Paradiso, la casa di riposo ospedale, tiene tutta la sua roba in ordine. Dopo trent’anni che l’hanno torturata di elettroshock... quando mi vede la mamma mi mette una mano sulle gambe, come ha fatto l’altro giorno che sono andata a trovarla e mi dice: belle le tue gambe eh? Mi parla sempre da donna, mai da madre. Parla così quando è dolce. Quando diventa cattiva urla: lurida, brutta, ti si spacchino le gambe, diventa un’altra.
D. Anche mia madre mi ha sempre parlato da donna. Ma io da piccola lo rifiutavo. Mi sembrava una cosa sconveniente.
P. Anch’io mi vergognavo... lei mi parlava da amica, e io ci stavo male. La malattia dei polmoni era legata alla famiglia di mio padre in cui alcuni fratelli sono morti di tisi, zia Piera, lo zio Oliviero, lo zio Filippo... La mamma, quando era nel suo periodo nero diceva: tutti marci in quella famiglia, tutti puttanieri. E il babbo quando mi sentiva tossire diceva con quella voce dolce, per non spaventarmi: cos’è quella tossina? Era ossessionato.
D. Quando ha cominciato ad avere i periodi neri tua madre?
P. Più o meno quando io avevo sette anni. La mamma di allora non l’amo. Quella di queste fotografie che mi riportano alla sua trascinata di mano, al suo non essere madre, sono le immagini di quella mamma furente.
D. Però continuavi ad amarla anche quando era così.
P. Sì, ma era un amore terribile, pieno di pena. Anche adesso, quando la vedo arresa, di fronte alle cure dell’ospedale, con le sue malinconie cupe... la mamma da sola non può vivere, non si frequenta, forse non si è mai amata, conosciuta. Quando mi vede dice: hai una bella vita eh? stai su, le vedi le tue amiche? devi stare con loro. Ieri guardavo un ragazzo che abita nella mia strada e parla da solo. Pioveva, la strada era vuota ma lui chiacchierava a voce alta e io ho pensato che aveva una ressa di persone dentro che lo sovrastavano. Ecco, penso che mia madre sia abitata come da persone, da paure, furori sessuali, sensi di colpa, chissà, una folla di persone, di voci e lei non ci sta, fugge.
D. In questa fotografia ci sei anche tu.
dp n="13" folio="13" ? P. In quella foto io avevo sei o sette anni, era quando il vecchio Blandi mi faceva vedere il coso e mia madre mi prendeva a schiaffi. Però le piaceva che io piacessi. Amava comprarmi i vestiti per strada, al mercato mi faceva portare le scarpe coi tacchi alti. Era brusca. A me piaceva la sorella della mamma, che invece era l’opposto di lei, una donna bimba, faceva la modista, le piaceva la conversazione. Aveva una figlia, Aurora, che aveva un carattere brusco. Ecco, Aurora sembrava la figlia di mia madre e io la figlia di mia zia. Così fantasticavo...
D. Le due sorelle andavano d’accordo, così differenti com’erano?
P. La mamma era una generosa, una che si buttava. Io allora la giudicavo male, ma oggi no. Mia zia era rigida moralista, sotto l’apparenza della gentilezza era dura. La mamma scriveva delle lettere in forma di poesia. L’altro giorno l’ho trovata che si era addormentata su una sedia, con un foglio in mano. C’era scritto: si nomea Carla... una lettera rivolta a mia sorella, che lei d’altra parte ha tenuto sempre in collegio...
D. Ti ricordi di altre poesie?
P. Scriveva di solito alle donne. Ha sempre amato molto le donne: scriveva lettere, poesie, sempre per le amiche.
D. Mi hai anche detto che dipingeva.
P. Faceva dei disegni ad acquarello. Una volta ho visto un mare che aveva fatto, marrone, rappreso, con delle barche come dei feti, e poi dei fiori morti, era lugubre.
dp n="14" folio="14" ? D. Tuo padre per lunghi anni è stato fuori casa...
P. Da quando avevo dodici anni a quando ne avevo diciannove mio padre era sindacalista e i sindacalisti allora erano in prevalenza comunisti da noi... ci fu un contrasto ideologico col partito e un giorno lui scoprì dai giornali che era stato trasferito a Verona... il Veneto era bianco... lui fece un gran lavoro con gli operai essendo anche salito come incarico.
D. Rimase comunque comunista?
P. Sì, sì... ho letto delle lettere che lui aveva mandato ai compagni... amareggiate, però è rimasto un episodio nella sua vita. Da Verona ritornava ogni quindici giorni. La domenica si dedicava alla casa; col suo passo mattiniero, gli piaceva dare la cera, fare il letto, pulire.
D. Tua madre non li faceva i lavori di casa?
P. Mai. Odiava tutto quello che riguardava la casa. Di solito li facevo io. O il babbo. O una donna a ore, quando avevamo più soldi. Mi ricordo quelle domeniche come una cosa bellissima anche per quel loro silenzio casalingo che si sentiva solo quando c’era lui. Prima di andare a tavola il babbo lavava la mamma. Stava delle ore, nella vasca, su di lei, a lavarla. E poi andavamo a tavola. Avevamo quei legni antichi con la vasca e sopra una catinella in cui si metteva l’acqua, sai. Lui le lavava la schiena, aveva un’adorazione per quel corpo bianco. A tavola diceva: vostra madre è un velluto, e ce la descriveva: bella, fatta ad anfora, monumentale, con la vita stretta e i fianchi larghi... poi lei si abbandonava sul divano, dormiva, era congestionata perché mangiava veloce, tanto, senza gustare il cibo e poi si buttava lì a dormire, senza mai curarsi di nessuno...
dp n="15" folio="15" ? D. Ma questo quando già stava male o prima?
P. Era l’inizio. Faceva le sue passeggiate misteriose, nessuno sapeva dove andava. Quando stava male non si lasc...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio