
- 256 pagine
- Italian
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A ritroso
Informazioni su questo libro
Pubblicato nel 1884 'A ritroso' è stato il manuale del perfetto decadente, modello di altri romanzi che narrano vite estenuate, dedite a un sofisticatissimo culto dei piaceri sensibili. In un romanzo singolare, e che ha per tema la singolarità , Huysmans offre una sintesi del modo di sentire di tanti intellettuali europei disgustati, alla fine dell'Ottocento, dalla volgarità della nascente società industriale. Difficile dire se amo o odio questo catalogo di bizzarrie. Tra stati febbrili elanguori erotici, comunque ilritratto di un'epoca."
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Informazioni
Print ISBN
9788817150859eBook ISBN
9788858631911A RITROSO
Devo gioire oltre le possibilità del tempo... sebbene gli uomini abbiano orrore della mia gioia e, nella loro rozzezza, ignorino quello che voglio significare.
Rusbrock il Mirabile
PREFAZIONE DELL’AUTORE SCRITTA VENT’ANNI DOPO IL ROMANZO
Penso che tutti gli scrittori siano come me: che non rileggano mai le loro opere quando sono state pubblicate. Nulla, infatti, è più deludente e penoso del rileggere, dopo anni, le proprie frasi: si sono decantate in certo modo e hanno lasciato un deposito in fondo al libro; e, In genere, i volumi non sono come il vino, che migliora invecchiando; quando sono stati spogliati dal tempo, si alterano e la loro fragranza svanisce.
Ho avuto questa impressione per quel che riguardava certe bottiglie allineate nello scaffale di A ritroso quando ho dovuto sturarle.
E, molto malinconicamente, cerco di ricordarmi, sfogliando le pagine, lo stato d’animo in cui potevo trovarmi nel momento in cui le scrissi.
Si era allora in pieno naturalismo; ma questa scuola, che doveva rendere l’indimenticabile servizio di collocare personaggi reali nei loro propri ambienti, era condannata a ripetersi e a battere il passo incapace di evoluzione.
Almeno in teoria, non ammetteva l’eccezione; si affidava dunque alla pittura dell’esistenza comune, sforzandosi, con la scusa di volere esser viva, di creare esseri il più possibile somiglianti alla buona media. Questo ideale si era attuato, nel suo genere, in un capolavoro che, assai più dell’Ammazzatoio, era stato il modello del naturalismo: L’educazione sentimentale di Gustavo Flaubert. Questo romanzo, per tutti noi delle "serate di Médan", era una vera bibbia; ma su di esso si potevano fare poche variazioni. Era concluso, irripetibile per lo stesso Flaubert; tutti noi, in quel tempo, eravamo dunque costretti a destreggiarci gironzolando per vie più o meno esplorate.
Poiché la virtù, dobbiamo confessarlo, è quaggiù una eccezione, essa veniva scartata dal piano naturalista. D’altra parte non possedevamo il concetto cattolico della decadenza e della tentazione e ignoravamo quindi da quali sforzi e da quali sofferenze essa scaturisce: l’eroismo dell’anima vittoriosa di ogni insidia ci sfuggiva. Non ci sarebbe venuto mai in testa di descrivere questa lotta, con i suoi alti e bassi, i suoi scaltri attacchi, le sue finte, e anche i provvidi aiuti che spesso si preparano assai lungi dalla persona che il Maledetto attacca, nel fondo di un chiostro. La virtù ci sembrava appannaggio di esseri senza curiosità o privi di personalità , in ogni caso poco interessanti da trattarsi dal punto di vista dell’arte.
Restavano i vizi; ma il loro campo era assai angusto per chi volesse coltivarlo, limitandosi ai territori dei Sette peccati mortali. E, per di più, uno solo di questi sette, quello che si oppone al sesto comandamento di Dio, era pressappoco accessibile.
Gli altri erano stati terribilmente vendemmiati e ci restava ormai ben poco da sgranellare. L’Avarizia, per esempio, era stata spremuta fino all’ultima goccia da Balzac e da Hello. L’Orgoglio, la Collera, l’Invidia erano passati per tutte le pubblicazioni romantiche, e questi motivi drammatici erano stati così violentemente contorti dall’abuso delle scene che sarebbe stato davvero necessario un genio per ringiovanirli in un libro. Quanto alla Ghiottoneria e alla Pigrizia, sembrava che potessero incarnarsi piuttosto in personaggi episodici e adattarsi meglio a comparse che non ai protagonisti o alle prime donne del romanzo di costumi.
La verità è che l’Orgoglio sarebbe stato il più splendido tra i misfatti se studiato nelle sue infernali ramificazioni di crudeltà verso il prossimo e di falsa umiltà ; che la Ghiottoneria, recando con sé la Lussuria, la Pigrizia, il Furto, sarebbe stata materia di sorprendenti scavi se si fossero scrutati questi peccati con la lampada della Chiesa e possedendone la Fede. Ma nessuno di noi era preparato a questa bisogna; eravamo dunque costretti a rimasticare sotto tutte le forme il peccato che fra tutti era il più facile a spellare: il peccato di Lussuria. E Dio sa se lo rimasticammo; ma questa specie di carosello non aveva molte possibilità . Per quanto si inventasse, il romanzo si poteva sempre riassumere in poche righe: sapere perché il signor Tale commetteva o non commetteva adulterio con la signora Tale. Chi voleva essere distinto e rivelarsi scrittore aristocratico, poneva la vicenda carnale tra una marchesa e un conte; chi, al contrario, voleva essere scrittore popolare, prosatore di larga vendita, la faceva avvenire tra un innamorato di periferia e una ragazza qualsiasi; la differenza era solo nello scenario. Mi sembra che, oggi, l’aristocrazia abbia prevalso nelle buone grazie del lettore, perché vedo che attualmente egli non si nutre più di amori plebei o borghesi, ma continua a gustare le esitazioni della marchesa che va a raggiungere il suo tentatore in un mezzanino il cui aspetto cambia secondo la moda della tappezzeria. Cadrà ? Non cadrà ? Questo si chiama studio psicologico. E sia pure.
Confesso tuttavia che, quando mi capita di aprire un libro e di scorgervi l’eterna seduzione e il non meno eterno adulterio, mi affretto a richiuderlo, non desiderando affatto sapere come andrà a finire l’idillio annunciato. Il volume in cui non vi sono documenti assodati, 11 libro che non m’insegna nulla, non mi interessa più.
Nel momento in cui apparve A ritroso, cioè nel 1884, la situazione era dunque questa: il naturalismo si sfiatava a forza di girar la mola sempre nello stesso cerchio. La somma di osservazioni che ognuno aveva immagazzinato, prendendole su di sé o sugli altri, cominciava a esaurirsi. Zola, che era un bello scenografo, se la cavava tratteggiando tele più o meno precise; suggeriva molto bene l’illusione del movimento e della vita; i suoi eroi erano privi d’anima, diretti solo da impulsi e da istinti, cosa che semplificava assai il lavoro dell’analisi. Si agitavano, compivano alcuni atti sommari, popolavano di profili molto decisi delle scenografie che divenivano i principali personaggi dei suoi drammi. E in tal modo egli celebrava 1 mercati, i negozi di mode, le ferrovie, le miniere, e gli esseri umani smarriti in questi ambienti vi rappresentavano solo parti secondarie e da figuranti. Ma Zola era Zola, cioè un artista un po’ massiccio, ma dotato di polmoni potenti e pugni duri.
Noi, meno robusti e preoccupati di un’arte più sottile e più vera, dovevamo domandarci se il naturalismo non andava a finire in un vicolo cieco e se non saremmo andati presto a battere il capo contro il muro di fondo.
A dire il vero, queste riflessioni sorsero in me molto più tardi. Cercavo vagamente di sfuggire da una strada chiusa in cui soffocavo, ma non avevo alcun piano prestabilito, e A ritroso, che mi liberò da una letteratura senza uscita dandomi nuova aria, è opera del tutto inconsapevole, immaginata senza idee preconcette, senza segrete intenzioni per un futuro, insomma senza nulla di simile.
Dapprima mi era apparso sotto forma di una novella bizzarra, come una breve fantasia; vi scorgevo un po’ un corrispondente a Secondo la corrente, trasferito in un altro ambiente; mi immaginavo un signor Folantin più colto, più raffinato, più ricco, il quale ha scoperto nell’artificio un revulsivo contro il disgusto ispiratogli dal trambusto della vita e dei costumi americani del suo tempo. Lo immaginavo fuggire nel sogno, rifugiarsi nell’illusione di stravaganti coreografie, solo, lontano dal suo secolo, immerso nel ricordo evocato di epoche più cordiali, di ambienti meno vili.
E via via che vi riflettevo, il soggetto si ampliava e richiedeva pazienti ricerche: ogni capitolo diveniva la sintesi di una specialità , il concentrato di un’arte diversa; si condensava in una essenza di pietre preziose, di profumi, di fiori, di letteratura religiosa e laica, di musica profana e sacra.
Lo strano fu che, senza che dapprima me ne accorgessi, fui indotto dalla natura stessa del lavoro a studiare la Chiesa sotto parecchi punti di vista. Era infatti impossibile risalire fino alle uniche epoche in sé definite che abbia conosciuto l’umanità , fino al medioevo, senza constatare che essa reggeva tutto, che l’arte esisteva solo in lei e per lei. Non avendo la fede, la consideravo con una certa diffidenza, stupito della sua grandezza e della sua gloria, domandandomi come mai una religione che sembrava fatta per i ragazzi avesse potuto suggerire opere così meravigliose.
Mi aggiravo quasi a tastoni intorno a lei, indovinando più che non vedessi, ricostruendomi un insieme con le briciole che trovavo nei musei e nei libri vecchi. E oggi, dopo ricerche più lunghe e più sicure, se scorro le pagine di A ritroso che si riferiscono al cattolicesimo e all’arte religiosa, noto che questo piccolo panorama tratteggiato su fogli di taccuino, è esatto. Quello che disegnavo allora era succinto, mancava di sviluppi, ma era veridico. In seguito mi sono limitato ad ampliare i miei schizzi e metterli a punto.
Potrei benissimo firmare, oggi, le pagine di A ritroso sulla Chiesa, perché in realtà sembrano scritte da un cattolico.
E tuttavia mi credevo lontano dalla religione! Non pensavo che, da Schopenhauer, che ammiravo più che non meritasse, all’Ecclesiaste e al Libro di Giobbe, vi era solo un passo. Le premesse sul Pessimismo sono le stesse, solo che, quando si tratta di concludere, il filosofo se la svigna. Mi piacevano le sue idee sull’orrore della vita, sulla stoltezza del mondo, sull’inclemenza del destino; mi piacciono egualmente nei Libri Sacri. Ma le osservazioni di Schopenhauer non giungono a nulla, vi piantano in asso, per dir così; i suoi aforismi, tutto sommato, sono solo un erbario di piante secche; la Chiesa, invece, spiega le origini e le cause, indica i fini, presenta i rimedi; non si contenta di darvi un consulto spirituale: cura e guarisce mentre il mediconzolo tedesco, dopo avervi ben dimostrato che la malattia di cui soffrite è incurabile, vi volta le spalle sogghignando.
Il suo Pessimismo non è altro che quello della Scrittura, da cui lo ha preso in prestito; egli non ha detto nulla più di Salomone, più di Giobbe, e nemmeno più dell’Imitazione, che ha riassunto, tanto prima di lui, tutta la sua filosofia in una frase: «È veramente una miseria vivere sulla terra!»
A distanza, queste somiglianze e differenze si profilano nettamente, ma in quel tempo, se anche le percepivo, non mi ci soffermavo; non sentivo il bisogno di concludere; la strada tracciata da Schopenhauer era carrozzabile e di aspetto variato: ed io potevo andarvi tranquillamente a passeggio senza desiderio di sapere dove andava a finire. In quel tempo non avevo alcun senso delle scadenze, nessun timore delle conclusioni; i misteri del catechismo mi sembravano fanciulleschi e, come del resto tutti i cattolici, ignoravo totalmente la mia religione. Non mi rendevo conto che tutto è mistero, che viviamo solo nel mistero, che se il caso esistesse sarebbe ancor più misterioso della Provvidenza. Non ammettevo il dolore inflitto da un Dio, pensavo che il Pessimismo potesse essere il consolatore degli animi elevati. Che sciocchezza!
Proprio questo era poco sperimentale, poco documento umano, per servirmi di un’espressione cara al naturalismo. Mai il Pessimismo ha consolato i malati di corpo e gli infermi di anima.
Dopo tanti anni, sorrido nel rileggere le pagine in cui sono affermate queste teorie così decisamente false.
Ma più ancora mi stupisce, in tale lettura, questo fatto: che tutti i romanzi che ho scritto dopo A ritroso sono contenuti in germe in questo libro. I vari capitoli, infatti, non sono che gli spunti dei volumi che seguiranno.
Il capitolo sulla letteratura latina della Decadenza lo ho, se non sviluppato, almeno più approfondito parlando della liturgia in Per strada e in L’oblato. Lo stamperei oggi senza cambiarvi nulla, eccetto per quel che riguarda Sant’Ambrogio. Continuo a non amare la sua prosa diluita e la sua ampollosa retorica; mi sembra ancora quale lo definivo, il "noioso Cicerone cristiano": ma in compenso il poeta è piacevole. E i suoi inni, con quelli della sua scuola che appaiono nel Breviario, sono fra i più belli conservatici dalla Chiesa. Aggiungo che la letteratura un po’ particolare, è vero, dell’innario avrebbe potuto trovar posto nello scompartimento riservato di questo capitolo.
Oggi, non più che nel 1884, non vado pazzo per il latino classico di Marone e del Cece; come ai tempi di A ritroso, preferisco la lingua della Vulgata alla lingua del secolo di Augusto, perfino a quella della Decadenza, tuttavia più curiosa, con il suo aroma di selvaggina e le sue tinte verdognole di cacciagione. La Chiesa che, dopo averla disinfettata e ringiovanita, ha creato, per affrontare un ordine di idee fin allora inespresse, vocaboli magniloquenti e diminutivi di squisita tenerezza, mi sembra essersi foggiata un linguaggio assai superiore al dialetto del Paganesimo, e Durtal, a questo proposito, ha le stesse idee di Des Esseintes.
Il capitolo sulle pietre preziose l’ho ripreso nella Cattedrale, dove me ne sono occupato dal punto di vista della simbolica delle gemme. Ho animato così le pietre morte di A ritroso. Certo, non posso negare che un bello smeraldo possa essere ammirato per le scintille che crepitano nel fuoco della sua verde acqua, ma, se si ignora l’idioma dei simboli, non rimane forse uno sconosciuto, uno straniero con cui non ci si può intrattenere e che tace lui stesso visto che nessuno intende le sue espressioni? Ebbene, lo smeraldo è qualche cosa di più e di meglio di tutto questo.
Senza ammettere, con uno scrittore del sedicesimo secolo, Stefano di Clave, che le gemme si generino, come gli esseri animati, da una semenza sparsa nella matrice del suolo, si può dire benissimo che sono minerali significativi, sostanze loquaci, in una parola: simboli. Sono state considerate sotto questo aspetto fin dalla più remota antichità , e la tropologia delle gemme è uno dei rami di quella simbolica cristiana così perfettamente dimenticata dai preti e dai laici del nostro tempo, e che io ho tentato di ricostituire a grandi linee nel mio volume sulla basilica di Chartres.
Il capitolo di A ritroso è dunque molto superficiale, non è quello che dovrebbe essere: una gioielleria dell’al di là . È fatto di scrigni più o meno ben descritti, più o meno bene messi in mostra, ma è tutto qui; e non basta.
La pittura di Gustavo Moreau, le incisioni di Luyken, le litografie di Bresdin e di Redon sono quali le vedo ancora. Non ho nulla da modificare nell’ordine di questo piccolo museo.
Per quel che riguarda il terribile capitolo VI, il cui numero corrisponde, senza intenzioni preconcette, a quello del comandamento divino che offende, e così pure per certe parti del IX che vi si possono unire, evidentemente non li scriverei oggi così. Sarebbe stato almeno necessario spiegarli, con più profondo studio, mediante quella particolare perversità diabolica che si insinua, soprattutto per quel che riguarda la lussuria, nei cervelli esauriti. Sembra infatti che le malattie nervose e le nevrosi in genere aprano nell’animo delle fessure attraverso cui penetra lo Spirito del Male. Vi è qui un enigma che resta insoluto: la parola "isterismo" non spiega nulla, può essere solo sufficiente a definire uno stato materiale, a denotare irresistibili turbamenti dei sensi, ma non ne deduce le conseguenze spirituali che vi si ricollegano e, più particolarmente, i peccati di dissimulazione e di menzogna che quasi sempre vi si innestano. Quali sono i particolari di questa malattia peccaminosa, in quale proporzione si attenua la responsabilità di un essere colpito nell’anima da una sorta di ossessione che viene a innestarsi sul disordine del suo disgraziato corpo? Nessuno lo sa; in questo campo la medicina sragiona e la teologia tace.
In mancanza di una soluzione che, evidentemente, non poteva portare, Des Esseintes avrebbe dovuto affrontare il problema dal punto di vista della colpa ed esprimere almeno qualche rammarico; non ha voluto condannarsi ed ha avuto torto. Ma, per quanto educato dai gesuiti, di cui fa, più di Durtal, l’elogio, era divenuto in seguito così ribelle alle limitazioni divine, così ostinato a impantanarsi nel fango della carne!
In ogni caso, questi capitoli sembrano paletti inconsapevolmente piantati per indicar la strada di Laggiù. Bisogna d’altra parte notare che la biblioteca di Des Esseintes raccoglieva un certo numero di vecchi libri di magia e che le idee enunciate nel capitolo VII di A ritroso sul sacrilegio sono il germe di un futuro volume che tratterà più a fondo il soggetto.
Neppure un libro come Laggiù, che spaventò tanta gente, lo scriverei tal quale oggi che sono tornato cattolico. È infatti certo che il lato scellerato e sensuale che vi si sviluppa, è riprovevole; e tuttavia, posso affermarlo, ho sempre messo dei veli e non ho mai parlato in modo esplicito; i documenti che contiene sono, al confronto di quelli che ho tralasciato e che conservo nei miei archivi, scipiti zuccherini e banali bazzecole.
Credo tuttavia che, nonostante le sue demenze cerebrali e le sue follie uterine, quest’opera, per il soggetto stesso che esponeva, ha avuto la sua utilità . Ha richiamato l’attenzione sui segreti maneggi del Maligno, che era arrivato a farsi negare; è stata il punto di partenza di tutti gli studi che si sono rinnovati sull’eterno processo del satanismo; ha aiutato, svelandole, a sradicare le odiose pratiche della magia nera; ha insomma preso partito e combattuto molto risolutamente per la Chiesa contro il Demonio.
Per tornare a A ritroso, di cui è solo un succedaneo, posso ripetere a proposito dei fiori quello che ho già detto delle gemme.
A ritroso li considera solo dal punto di vista delle forme e delle tinte, ma niente affatto da quello del loro significato intimo; Des ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- IL FAUST DEL SIMBOLISMO
- CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
- BIBLIOGRAFIA
- A RITROSO