Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde
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Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde

Informazioni su questo libro

Il dottor Jekyll, medico stimato e rispettabile, ultimamente ha un comportamento strano: rifugge la compagnia degli amici di sempre e frequenta un certo signor Hyde, individuo di estrema malvagità e aspetto ripugnante. Ma perché il medico fa testamento in suo favore? Chi è davvero il misterioso Hyde? Ambientata in una Londra allucinata e circospetta – in città è attivo Jack lo Squartatore – questa fantasia nera di Stevenson ha dato corpo e nome all'idea della doppia personalità. Lo sventurato Jekyll, che con le sue polveri e i suoi alambicchi cerca la possibilità di darsi al vizio senza sentire rimorso, è simbolo e vittima dell'ipocrisia sociale. Pubblicato per la prima volta a Londra, da Longmans, Green, &Co., nel 1886.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817059725
eBook ISBN
9788858629963
LO STRANO CASO
DEL DOTTOR JEKYLL E
DEL SIGNOR HYDE
I
STORIA DELLA PORTA
L’avvocato Utterson era un uomo dall’aspetto rude, non s’illuminava mai di un sorriso; freddo, misurato e imbarazzato nel parlare, riservato nell’esprimere i propri sentimenti; era un uomo magro, lungo, polveroso e triste, eppure in un certo senso amabile. Nelle riunioni di amici, quando il vino era di suo gusto, gli traspariva negli occhi qualcosa di veramente umano; qualcosa che non trovava mai modo di risultare nelle sue parole, e che si manifestava, oltre che in quella silenziosa espressione della faccia dopo una cena, più spesso ancora e più vivamente nelle azioni della sua vita. L’avvocato era severo nei riguardi di se stesso; quando si trovava solo, beveva gin, per mortificare l’inclinazione verso i buoni vini; e, sebbene il teatro lo attirasse, non aveva mai varcato la soglia di un teatro in vent’anni. Nei riguardi del prossimo era tuttavia di una grande indulgenza; talvolta si meravigliava, quasi con invidia, della forza con la quale certi animi potevano venire spinti alla malvagità; e, in ogni occasione, era disposto più ad aiutare che a disapprovare. «Io tendo all’eresia di Caino,» soleva dire argutamente, «lascio che mio fratello se ne vada al diavolo come meglio gli piace1.» Avendo un simile carattere, gli accadeva spesso di essere l’ultimo conoscente stimato, e di esercitare l’ultima buona influenza nella vita di uomini perduti. Costoro, sinché frequentavano la sua casa, venivano trattati senza il minimo mutamento di modi.
Indubbiamente questo contegno riusciva facile al signor Utterson, poiché egli era riservato al massimo grado, e anche le sue amicizie parevano fondate su una simile dottrina di bontà. È proprio dell’uomo modesto accettare il cerchio delle amicizie, così come sono, dalle mani della sorte; questo era il caso dell’avvocato. I suoi amici erano persone del suo stesso sangue, oppure gente che conosceva da lungo tempo; i suoi affetti, come l’edera, si sviluppavano con il tempo, e non implicavano particolari qualità nel loro oggetto. Di tal genere senza dubbio doveva essere il legame che lo univa al signor Richard Enfield, suo lontano parente, uomo molto conosciuto in città. Per molti restava un mistero cosa quei due potessero trovare uno nell’altro, e quali argomenti di conversazione potessero avere in comune. Coloro che li incontravano nelle loro passeggiate domenicali riferivano che non parlavano, e parevano singolarmente tediati, e salutavano con evidente sollievo l’apparire di un comune conoscente. E tuttavia, i due uomini tenevano in gran conto quelle passeggiate, considerandole il maggiore svago della loro settimana, e non solo scartavano ogni altra occasione di divertimento, ma resistevano persino al richiamo degli affari, per goderne senza interruzione.
In uno di quei vagabondaggi accadde che passassero per una strada secondaria di un quartiere affollato di Londra. La via era piccola e quel che si dice tranquilla, ma nei giorni feriali era piena di gente affaccendata. I suoi abitanti erano tutti gente agiata, a quanto pareva, e tutti speravano con emulazione di poter stare sempre meglio, e spendevano il sovrappiù dei loro guadagni in cose futili; perciò le vetrine dei negozi si allineavano lungo la via con aria invitante, come una fila di sorridenti venditrici. Anche la domenica, quando la strada velava la maggior parte dei suoi fascini, ed era relativamente vuota e quieta, splendeva pur sempre come un fuoco in mezzo alla foresta, a paragone con gli squallidi dintorni; e, con le sue persiane dipinte di fresco, gli ottoni ben lucidati, la sua pulizia generale e la sua vivacità di colori, colpiva subito e ammaliava l’occhio del passante.
A due porte dall’angolo, sul lato sinistro della strada procedendo verso est, la linea era spezzata dall’ingresso di un cortile, e, proprio in quel punto, sporgeva sulla via un sinistro fabbricato. Era alto due piani; non presentava finestre, solo una porta al piano inferiore, e una facciata cieca con il muro scolorito al piano superiore; recava in tutto i segni di una prolungata e sordida negligenza. La porta, senza campanello né battaglio, era sudicia e screpolata. I vagabondi sonnecchiavano nel vano, e accendevano i fiammiferi sui battenti; i bimbi giocavano sui gradini, e gli scolari avevano provato il loro temperino sul legno; e per quasi una generazione nessuno era mai apparso a cacciar via gli inopportuni visitatori né a riparare le loro malefatte.
Il signor Enfield e l’avvocato passavano sull’altro lato della strada; ma, quando arrivarono davanti a quell’ingresso, il primo alzò il bastone e lo indicò:
«Avete mai notato quella porta?» chiese; il compagno rispose affermativamente, e allora lui aggiunse: «nella mia mente è connessa a una storia molto strana.»
«Davvero?» disse il signor Utterson, con un leggero mutamento di voce «di che storia si tratta?»
«Ebbene, è così,» rispose il signor Enfield: «io stavo tornando a casa da qualche posto in capo al mondo, circa alle tre di una scura mattina d’inverno, e i miei passi mi portavano attraverso una parte della città dove non c’era letteralmente nulla da vedere se non lampioni. Una strada dopo l’altra – e tutta la gente addormentata – una strada dopo l’altra – e tutte illuminate come per una processione e tutte vuote come chiese – sinché alla fine mi trovai in quello stato d’animo nel quale uno si mette in ascolto, e comincia a desiderare di scorgere una guardia. A un tratto, vidi due figure: una era un uomo piccolo, che camminava in fretta verso est, e l’altra una bimba di circa otto o dieci anni che correva il più velocemente possibile per una via traversa. Ebbene, signore, quei due come era naturale si scontrarono all’angolo; allora accadde la cosa orribile: infatti l’uomo calpestò tranquillamente il corpo della bimba e la abbandonò che gridava, lì per terra. A sentir dire questo sembra nulla, ma era terribile a vedersi. Quello non somigliava a un uomo; era come una creatura infernale. Detti in un grido, mi misi a correre, e afferrai per il colletto il mio uomo, e lo riportai là, dove già s’era formato un gruppo di gente intorno alla bimba in lacrime. Si mostrava perfettamente calmo e non opponeva resistenza, ma mi lanciò un’occhiata, un’occhiata così atroce che mi bagnò di sudore quasi avessi corso a lungo. Coloro che erano comparsi appartenevano alla famiglia della bimba; e il dottore che avevano mandato a chiamare giunse subito sul posto. Ebbene, la bimba non aveva nulla di particolare, era solo spaventata, secondo il sega-ossi; e qui potreste credere che tutto finisse. Ma c’era una curiosa circostanza. Sin dalla prima occhiata il mio uomo mi aveva fatto orrore. Così pure alla famiglia della piccola, cosa che era perfettamente naturale. Ma quello che mi colpì fu il caso del dottore. Egli era il solito medico angoloso e asciutto, senza età e senza colore, con un forte accento scozzese, incapace di emozioni come una cornamusa. Ebbene, signore, provava quello che provavamo tutti noi: ogni volta che guardava il mio prigioniero, vedevo il sega-ossi diventare pallido dal desiderio di ucciderlo. Sapevo cosa avesse in mente, proprio come lui sapeva cosa avessi in mente io. Ma, siccome un omicidio era fuor di questione, ci comportammo come meglio si poteva; dichiarammo all’uomo che noi potevamo fare e avremmo fatto un tale scandalo dell’accaduto, da infamare il suo nome da un capo all’altro della città. Se aveva amici, o qualsiasi credito, sarebbe stato nostro compito farglieli perdere. Mentre lo minacciavamo in simile modo, tenevamo le donne lontane da lui come meglio possibile, perché apparivano selvagge come furie. Non vidi mai un cerchio di facce così piene d’odio; e l’uomo stava nel mezzo, con una specie di tetra ironica freddezza – anche lui era spaventato, si vedeva bene – ma cercava di non mostrarlo, proprio come Satana. “Se avete deciso di divulgare questo incidente” disse “io, naturalmente, non ho possibilità di difendermi. Ma un gentiluomo preferisce sempre evitare le scene. Dite il vostro prezzo.” Ebbene, riuscimmo a ottenere cento sterline per la famiglia della bimba; evidentemente lui avrebbe voluto cavarsela in altro modo, ma c’era qualcosa di minaccioso nelle nostre facce, e dovette cedere. Ora si trattava di prendere il denaro; e dove credete che ci accompagnò, se non qui, davanti a questa porta? Estrasse una chiave, aprì, entrò, e subito tornò fuori con dieci sterline d’oro e un assegno per la banca Coutts, pagabile al portatore, e firmato con un nome che ora non posso dire, benché costituisca una delle cose principali della mia storia; ma era un nome per lo meno molto conosciuto e spesso stampato. La cifra era alta; ma la firma valeva ben di più, se non era falsa. Io mi presi la libertà di osservare al mio gentiluomo che tutta la faccenda mi sembrava losca, e che in realtà un uomo non può entrare in una cantina alle quattro del mattino, e uscirne con un assegno di circa cento sterline firmato da un’altra persona. Ma lui appariva completamente a proprio agio, e sorrideva con ironia. “Tranquillizzatevi” disse “resterò con voi sinché la banca non si aprirà, e riscuoterò io stesso l’assegno.” Perciò ce ne andammo tutti, il dottore, il padre della bimba, l’amico e io, e passammo il resto della notte a casa mia; il giorno seguente, dopo aver fatto colazione, ci recammo, sempre tutti insieme, alla banca. Presentai rassegno io stesso, e dissi che avevo tutte le ragioni per credere si trattasse di un falso. Invece, l’assegno era buono.»
«Perbacco!» disse il signor Utterson.
«Vedo che anche voi la pensate come me,» disse il signor Enfield. «Sì, è una brutta storia. Infatti il mio uomo era un tipo con il quale nessuno dovrebbe avere a che fare, un uomo veramente dannato; e la persona che aveva emesso l’assegno era la più onesta che si potesse pensare, e (quel che è peggio) uno di quei tipi che fanno veramente del bene. Un ricatto, immagino: un uomo onesto che paga per qualche errore di gioventù. “La casa del ricatto”, così ora io chiamo di conseguenza quell’edificio con quella porta. Benché anche questo, vedete, non spieghi nulla,» aggiunse, e, dette queste parole, s’immerse nel silenzio.
Fu tratto dalla sua meditazione dal signor Utterson che gli domandò piuttosto bruscamente:
«E non sapete se colui che aveva emesso rassegno vivesse in quella casa?»
«In un posto simile?» rispose il signor Enfield.
«Ma credo di avere notato il suo indirizzo; abita in una...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde
  7. Indice