Caso 1: I vicini vogliono vedermi nudo
Questo è il caso di un uomo che non aveva nessuna intenzione di venire in terapia, e che perciò vi è stato portato attraverso una sorta di piccolo benefico imbroglio: fu chiesto ai familiari di comunicargli che era necessario il suo aiuto per guarire la figlia affetta da crisi depressive. Tale tipo di stratagemma, ossia quello di invitare un paziente riluttante a rivolgersi al terapeuta non per sé ma per aiutare un parente stretto «malato», rappresenta un eccellente metodo per iniziare una terapia indiretta.
Questo signore aveva una strana forma di cosiddetta paranoia persecutoria: era convinto che i vicini di casa lo osservassero di nascosto con delle telecamere calate dal soffitto, e che lo studiassero esattamente nel momento in cui andava a letto, quindi mentre si spogliava. Si badi bene, non era un «top model», ma soltanto un uomo di circa 60 anni che, però, aveva questa idea che lo guardassero mentre si spogliava.
Viene da me, e mentre parliamo all’inizio della figlia, a un certo punto mi chiede: «Sa, giusto che siamo qui, mi dicono che Lei è un esperto di strategie, sa! Io avrei un problema con i vicini. Mi spiano tutti con delle telecamere. È proprio come una guerra. Lei mi deve dare qualche strategia, Lei che è così strategico».
Mi faccio vedere interessato dal problema, e senza contraddirlo né mettere in discussione la veridicità delle sue affermazioni, gli chiedo che cosa aveva fatto fino ad allora per combattere tale aggressione. In tal modo vengono fuori le sue «tentate soluzioni»: la prima era stata quella di cambiare casa ogni volta che si manifestava il problema, cosa messa in pratica tre volte, sino a che, per sicurezza, l’ultima volta era andato a stare in un appartamento sopra il quale non abitava nessuno. Sembrava che le cose fossero decisamente migliorate.
Ma, come la sorte talvolta vuole, avviene qualcosa di davvero imprevedibile. Chi viene a stare sopra di lui? Il proprietario di un negozio di ottica che vendeva telecamere. E così la sua paranoia è ricominciata in maniera ancora più potente, inducendolo a correre, a modo suo, ai ripari.
«Voi mi studiate, mi guardate e io vi perseguito!»
Pertanto cominciò a perseguitare i vicini con minacciose telefonate notturne e quelli si rivolsero alla polizia. Intimidito dalle forze dell’ordine, dovette ripiegare dalle sue aggressioni ai vicini, trovando, però, un’altra «geniale» soluzione: mettere sopra al suo letto un baldacchino con un grande telo nero, di quelli molto spessi, che non fanno vedere al di là .
Egli riferisce:
«Vede, all’inizio sembrava che fosse una cosa definitiva perché io entravo all’interno del telo nero, mi spogliavo nel letto, buttavo fuori i vestiti; allo stesso modo, la mattina, mettevo la vestaglia, mi vestivo sotto il baldacchino in modo tale che nessuno poteva guardarmi».
Se non che arriva la guerra del Golfo, e lui, tra tutte le immagini della TV scopre che esistono delle telecamere in grado di vedere oltre le pareti. Pertanto la sua fissazione riprende vigore. Quindi ricomincia anche la sua battaglia con i vicini, tuttora in corso.
Dopo averlo attentamente ascoltato, gli dico:
«Bene, ma Lei non ha pensato che c’è un metodo che hanno usato, proprio in guerra, per annientare le capacità delle telecamere degli aerei di vedere e di riprendere immagini?».
Lui replica:
«Non lo conosco; me lo dica, la prego.»
Allora gli domando:
«Come si fa ad abbagliare qualcosa?».
E lui:
«Il flash, si usa un potente fascio di luce per abbagliare!».
Ed io:
«Perfetto! Se noi mandiamo un forte fascio di luce, le telecamere non possono vedere. Quindi, per favore, Lei faccia questo esperimento da adesso alle prossime due settimane. Vada a casa e compri dei faretti, li pianti in fondo al letto. Tutte le notti prima di dormire accenda i faretti, abbaglierà le telecamere».
L’uomo, al successivo incontro, racconta che è andato a casa, e siccome voleva essere sicuro dell’efficacia della strategia, ha comprato dei fari architettonici, 300 watt l’uno, e li ha piantati ai piedi del letto.
«Sa, la prima notte li ho lasciati accesi sempre, e li abbiamo messi veramente con le spalle al muro. Hanno smesso di guardarmi! La seconda notte ho provato a vedere quanto potevano resistere gli effetti della nostra strategia, quindi ho tenuto acceso un’ora. Dopo un’ora ho spento e ho voluto vedere se facevano i furbi, ma non hanno osato! Quindi, sa, l’ho usato sempre un’ora sola prima di andare a letto.»
E dice ancora:
«Forse abbiamo vinto!»
E io gli rispondo:
«Ma no, non si fidi, il nemico è sempre subdolo, quindi mi raccomando, di qui ai prossimi 15 giorni, prima di dormire, un’ora di flashata, anche se loro non accendono le telecamere, è preventivo, gli fa vedere la sua potenza».
E lui mantenne i faretti accesi per un’ora; poi torna e dice:
«Sa , dopo qualche giorno mi sono accorto che non accendevano più le telecamere, anzi, mi sa che le hanno pure tolte. E allora ho smesso di flasharli».
Ma io replico:
«Ancora deve stare attento, questi possono rimetterle quando meno se lo aspetta. Le suggerisco di qui a quando ci rivedremo, tra qualche settimana, di continuare a dare queste belle flashate».
Torna dopo qualche settimana, e riferisce:
«Ebbene sì, abbiamo decisamente vinto, le telecamere non ci sono più, non mi guardano più».
E, con la voce un po’ dimessa, mi dice:
«Ma se mi fossi inventato tutto?».
E io lo guardo e rispondo:
«Ma secondo Lei, noi avremmo fatto tutto questo se non fosse stato vero? Continui, per favore, non demorda proprio adesso!».
Dopo un mese è tornato e mi ha detto:
«Sa, credo che mi ero veramente inventato tutto! E che lei mi ha condotto con le sue strategie a capirlo».
Questo esempio clinico, se vogliamo simpatico, mostra come si possano effettivamente curare in tempi brevi anche patologie decisamente gravi e come, talvolta, questo possa essere effettuato indirettamente, senza nemmeno avere costruito l’idea della terapia tradizionale. Il signore del caso narrato non sapeva nemmeno di essere oggetto di un intervento terapeutico. Chiedeva aiuto per un problema, quasi una guerra tra lui e quelli che, dal suo punto di vista, lo perseguitavano, mentre in effetti era lui il persecutore. Per aggirare le sue resistenze e condurlo a cambiare la sua percezione di tale realtà , sono stati utilizzati la sua logica e il suo modo di rappresentarsi la realtà conducendolo mediante una serie di concrete «esperienze emozionali correttive» a dubitare delle sue precedentemente incrollabili convinzioni. Tutto ciò sino al punto che egli stesso, senza alcun diretto suggerimento, è giunto a scoprire in quale trappola mentale si fosse infilato solo dopo esserne concretamente uscito, grazie a un intervento che pur rispettando la sua logica l’ha condotta alla sua paradossale saturazione e rottura.
Caso 2: Ho un serpente nella pancia
Viene portato un giovane in preda a una crisi terribile di angoscia provocata da una «uscita delirante»; i familiari raccontano che il giovane da molti anni viene curato farmacologicamente con antipsicotici e con psicoterapia analitica.
Essi raccontano che, da qualche giorno, il giovane è convinto di avere un serpente dentro lo stomaco, per questo non mangia, si rotola per terra ogni qual volta sente qualche cosa dentro la pancia, e sviene ripetutamente durante la giornata, come se fosse stato morso dal serpente. Chiede ai genitori di essere portato da un chirurgo, che gli apra la pancia per uccidere il serpente.
A questo punto, dopo avere parlato con i genitori faccio entrare il giovane e comincio a fare domande; anche in questo caso evito assolutamente di negare o contraddire la realtà che mi viene presentata dal giovane, anzi lo invito a spiegarmi bene come ha fatto il serpente a entrare in lui, come lo sente, e come ha cercato fino a ora di farlo uscire da sé.
Sentendosi compreso il giovane mi descrive dettagliatamente il tutto: e riferisce che il serpente è entrato dentro di lui di notte, mentre dormiva a bocca aperta.
Considerato ciò, io gli suggerisco:
«Bene, allora sappiamo come farlo uscire».
Egli mi guarda stupito, ma non quanto i genitori, che forse pensano che io sia pazzo almeno quanto lui. Io continuo:
«Questa notte vai a letto e assolutamente devi mantenere la bocca aperta tutta la notte; stai attento che non ti si chiuda nemmeno per un attimo, mettiti sdraiato sulla pancia con il mento appoggiato e la testa dritta: in questa posizione faciliterai l’uscita del serpente dalla tua pancia. Mi raccomando devi rimanere tutta la notte immobile e con la bocca spalancata, altrimenti lui avrà paura e non uscirà , e di conseguenza si rintanerà ancora di più nella tua pancia.
Mi raccomando dovrai rimanere completamente rilassato altrimenti lui penserà che è una trappola. Bene, domani mattina telefonami e fammi sapere quando esattamente è uscito».
E così congedai l’intera famiglia, con i genitori che mi guardavano con una strana espressione, mentre il giovane, completamente suggestionato, uscì con l’espressione felice di chi ha finalmente la soluzione in tasca.
La mattina dopo, giunse la telefonata che il serpente se ne era andato dalla sua pancia ma che egli, purtroppo, non sapeva dirmi esattamente in quale momento della notte.
Quando rividi il giovane, dopo qualche giorno, mi raccontò che era stato faticosissimo rimanere tutta la notte in quella posizione con la bocca aperta, ma che a un certo punto aveva sentito stranamente il suo corpo libero dal serpente.
Ho rivisto più volte nell’arco degli anni questo giovane, che vive lavorando nell’azienda della famiglia. Ora si è trovato una compagna, svolge una vita serena, ma ogni tanto entra in qualche crisi simile a quella del serpente. Ogni volta è venuto da me, e io come una sorta di «sciamano tecnologico» gli ho prescritto un rituale di liberazione, basato sempre sulla stessa logica della patologia, rovesciandone, però, il senso, in modo di mettere la forza della persistenza al servizio del cambiamento, conducendo così la patologia alla sua autodistruzione. L’antica saggezza cinese definirebbe ciò: «far salire il nemico in soffitta e togliere la scala».
Caso 3: Delirio e controdelirio
Venne inviata al nostro Centro una famiglia con un soggetto definito «schizofrenico». Questi, un giovane di poco più di vent’anni, manifestava uno stato di «delirio esilarante» pressoché costante: parlava di cose senza senso logico e se la rideva fra sé e sé.
La famiglia entrò nel mio studio, nel quale eravamo Gianfranco Cecchin1 e io. Il giovane rivolgendosi al collega disse:
«Tu pensi che le centrali nucleari siano 1232, come i peli della tua barba, ma ti sbagli perché sono 1233. Sai! Io ero un agente segreto del KGB; sono fuggito dalla Russia passando attraverso un tunnel sotto la cortina di ferro... poi sono andato a lavorare per la CIA... poi sono finito ad Atlantide, ma lì mi hanno mandato via perché fumavo...».
A questo punto io intervenni, utilizzando un «contro delirio»:
«È proprio vero ad Atlantide erano molto severi... a me fecero la stessa cosa perché avevo l’alito cattivo... Sai! Io ero uno squalo che vagava al largo delle coste del Mozambico mangiando i cadaveri che i pirati buttavano giù dai loro vascelli... e questi puzzavano un pochino...».
Il cosiddetto «schizofrenico» mi guardò con fare interrogativo e poi chiese ai suoi genitori:
«Ma dove mi avete portato? Io ho bisogno di un dottore per parlare dei miei problemi, e quello là fa dei discorsi strani, non può certo capire la mia rabbia contro mio cognato che mi ha rubato il posto in famiglia».
A questo punto, considerato che il giovane aveva letteralmente rimesso i piedi a terra, il collega procedette nell’intervista familiare. Questa fece emergere come la patologia del giovane fosse connessa chiaramente con l’ingresso in quella famiglia del marito della sorella del paziente, il quale, persona equilibrata e di cultura superiore, era divenuto il reale punto di riferimento per quella famiglia di umili origini e, per di più, con un figlio psicologicamente labile. Tuttavia, durante la seduta più volte il giovane, ogni qual volta Gianfranco toccava qualche scottante argomento, ripartiva per la sua tangente delirante, e ogni volta io lo assecondavo amplificando la sua proposta bizzarra con controproposte ancor più bizzarre, ma congruenti con la sua, con l’effetto di ricondurlo alla realtà . «Spegnere il fuoco aggiungendo più legna fino a farlo soffocare», era uno dei 36 stratagemmi dell’antica Cina.
Alla fine di questa seduta, congegnammo un rituale da fare eseguire alla famiglia durante la prossima seduta: un rito di reincoronazione del giovane principe, il cui trono era stato usurpato da un cavaliere senza scrupoli, il quale sarebbe stato punito e poi perdonato dal magnanimo principe. Dopo le dovute preparazioni con la famiglia, il rituale fu eseguito e il cosiddetto «schizofrenico», ovvero «uno che pensa che 2 più 2 fa 5 ed è molto contento» è, divenuto un buon «nevrotico», ovvero «uno che pensa che 2 più 2 fa 4 ma è sempre molto preoccupato».
Anche in questo caso, come nel precedente, è stato necessario rivedere varie volte nel corso degli anni il giovane e la sua famiglia ma mai più per una espressione patologica così marcata come la prima volta.