A mia madre, che mi ha insegnato ad amare i
gialli quando avevo sette anni. Ce ne stavamo
a letto passandoci una copia di Tragedia in tre
atti di Agatha Christie e leggendo un po’ per
uno ad alta voce. È stata lei a rendere possibile
tutto questo.
1
Le cascate di Reichenbach
Sicché, per favore, afferrate questo fatto con il vostro
tentacolo cerebrale,
la bambola al suo creatore non è mai uguale.
Sir Arthur Conan Doyle,
«London Opinion», 12 dicembre 1912
9 agosto 1893
Arthur Conan Doyle aggrottò le sopracciglia. L’omicidio era il suo chiodo fisso.
«Lo ucciderò» disse incrociando le braccia sul petto. L’aria delle Alpi svizzere gli solleticava i baffi folti e pareva soffiargli direttamente nelle orecchie, che, avendo un’attaccatura molto alta, sembravano sempre ritte, sempre intente ad ascoltare qualcos’altro, qualcosa di lontano alle sue spalle. Il naso era troppo sottile rispetto alla corporatura robusta. I capelli avevano iniziato a ingrigire di recente, cosa di cui peraltro era contento. A soli trentatré anni era già uno scrittore affermato, e i capelli sale e pepe gli conferivano l’aria vissuta dell’uomo di lettere.
I suoi due compagni di viaggio lo raggiunsero sul più alto punto scalabile delle cascate di Reichenbach. Silas Hocking era un ecclesiastico e un romanziere la cui popolarità era arrivata fino a Londra. Her Benny, la sua recente incursione nella letteratura religiosa, era un’opera che Arthur apprezzava molto. Edward Benson, un conoscente di Hocking, era assai più taciturno del suo loquace amico. Sebbene Arthur li avesse incontrati per la prima volta solo quel mattino, mentre faceva colazione al Riefel Alf Hotel di Lucerna, sentiva di potersi confidare, di poter parlare loro della sua decisione e dei suoi piani oscuri.
«Il fatto è che è diventato un peso» continuò, «e voglio sbarazzarmi di lui.» Hocking ansimava, fissando la vasta distesa delle Alpi. Diversi metri sotto di loro, i mucchi di neve si scioglievano formando un impetuoso fiume che, nel corso dei millenni, si era scavato un passaggio nella montagna, riversandosi nel baratro spumeggiante più in basso. Benson fece una palla di neve e la scagliò inspiegabilmente nell’abisso. La forza del vento staccò alcuni frammenti, finché la sfera si dissolse in una serie di sbuffi bianchi.
«Altrimenti» disse Arthur, «sarà lui a uccidere me.»
«Non pensate di essere troppo duro con un vecchio amico?» domandò Hocking. «Vi ha dato la fama. La ricchezza. Voi due fate una bella coppia.»
«Infilando il suo nome in ogni romanzo d’appendice pubblicato a Londra, gli ho regalato una celebrità di gran lunga superiore alla mia. Sono subissato di missive, sapete? “La mia amatissima gatta è scomparsa a South Hampstead. Si chiama Sherry-Ann. Potete trovarla?” Oppure: “Mia madre è stata derubata mentre scendeva da una carrozza a Piccadilly. Potete acciuffare il colpevole?”. Ma il problema è che le lettere non sono indirizzate a me: sono indirizzate a lui. Credono che esista realmente.»
«Già, i vostri poveri lettori adoranti» osservò Hocking. «Avete pensato a loro? Si direbbe che la gente lo ami moltissimo.»
«Più di quanto ami me! Ho ricevuto una lettera persino da mia madre. Sapendo che avrei fatto qualunque cosa mi avesse chiesto, mi ha pregato di firmare “Sherlock Holmes” un libro per la sua vicina Beattie. Riuscite a immaginarlo? Firmare con il suo nome anziché con il mio. Mia madre parla come se fosse la madre di Holmes! Puah!» Arthur cercò di frenare l’improvviso accesso d’ira.
«Le mie opere più importanti vengono ignorate» proseguì. «Micah Clarke? La compagnia bianca? Il piccolo dramma che ho scritto con il signor Barrie? Trascurati per qualche storiella morbosa. E quel che è peggio, Holmes è diventato una fatica immane. Se sarò costretto a inventare un’altra di quelle trame tortuose – la porta della camera da letto sempre chiusa dall’interno, l’ultimo indecifrabile messaggio del defunto, la vicenda raccontata in una sequenza sbagliata cosicché nessuno intuisca l’ovvia soluzione –, esaurirò le mie risorse.» Abbassò stancamente la testa. «A dirla tutta, lo odio. E, per la mia salute mentale, presto farò in modo che muoia.»
«Che cosa escogiterete?» lo punzecchiò Hocking. «Come farete uscire di scena il magnifico Sherlock Holmes? Pugnalandolo al cuore? Tagliandogli la gola? Impiccandolo?»
«Un’impiccagione! Perbacco, questa sì che è un’idea geniale. Ma no, no, dovrà essere qualcosa di spettacolare. È un eroe, dopotutto. Gli darò un ultimo caso. E un nemico. Questa volta avrà bisogno di un nemico vero. Ci sarà un combattimento all’ultimo sangue tra gentiluomini; Holmes si sacrificherà per un bene più grande e periranno entrambi. Qualcosa del genere.» Benson fece un’altra palla di neve e la lanciò con un movimento delicato. Arthur e Hocking la videro disegnare un arco, prima di scomparire.
«Se volete risparmiare sul funerale» ridacchiò Hocking, «potete sempre farlo precipitare da una rupe.» Guardò Arthur, ma l’altro non sorrise. Invece, corrugò la fronte con l’espressione accigliata che assumeva quando era assorto nei suoi pensieri.
Fissò la voragine. Ascoltò lo scroscio della cascata e l’assordante boato che produceva tuffandosi nella foce del fiume punteggiato di sassi. Fu colto da un terrore improvviso. Immaginò di morire schiantandosi sulle rocce. Poiché era medico, conosceva fin troppo bene la fragilità del corpo umano. Un volo da quell’altezza... Il suo cadavere che ruzzolava e rimbalzava contro i massi... Il terribile urlo soffocato in gola... I resti smembrati sul terreno, i ciuffi d’erba macchiati di sangue... Poi, nella visione, il suo corpo svanì, sostituito da un uomo più snello. Più alto. Un tipo esile e filiforme, con un berretto da cacciatore e un lungo cappotto. Con il volto spigoloso maciullato, una volta per tutte, su un’aguzza pietra grigio piombo.
Omicidio.
2
Gli Irregolari di Baker Street
Mi chiamo Sherlock Holmes. Il mio mestiere è sapere
quello che gli altri non sanno.
Sir Arthur Conan Doyle,
L’avventura del carbonchio azzurro
5 gennaio 2010
La moneta da cinque penny cadde sul palmo di Harold. Sembrava pesare una tonnellata quando atterrò con il simbolo della testa all’insù e lui chiuse le dita intorno all’argento consumato. La strinse per qualche secondo prima di accorgersi che gli tremavano le mani. Nella stanza esplose un applauso.
«Evviva!»
«Benvenuto tra noi!»
«Congratulazioni, Harold!»
Harold udì le risate e un secondo applauso. Qualcuno gli diede una pacca sulla spalla e qualcun altro lo abbracciò con calore. L’unica cosa cui riusciva a pensare, tuttavia, era la moneta nella sua mano destra. Nella sinistra teneva il certificato appena redatto. La moneta era stata incollata maldestramente nell’angolo inferiore e si era staccata quando lui aveva afferrato il foglio con troppa foga. L’aveva presa al volo. Abbassò lo sguardo sul minuscolo dischetto d’argento. Era uno scellino del periodo vittoriano, che, nella sua epoca, valeva solo cinque penny. Ora aveva un valore molto più alto e, per lui, era pari a una fortuna. Batté le palpebre per scacciare le lacrime. La moneta significava che era arrivato, che aveva raggiunto il suo obiettivo, che era uno di loro.
«Benvenuto, Harold» si complimentò una voce dietro di lui. Qualcuno gli spostò il berretto da cacciatore sulla testa. «Benvenuto tra gli Irregolari di Baker Street.»
Quelle parole, che aveva sperato di sentire per molto tempo, gli suonarono strane e illogiche quando infine poté udirle. Tutti i presenti – duecento individui che ridevano, scherzavano e si scambiavano amichevoli pacche sulle spalle – applaudivano Harold. Quell’Harold. Harold White, ventinove anni, con un filo di pancetta, le sopracciglia folte, l’astigmatismo e le...