Cosa arcana e stupenda
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Cosa arcana e stupenda

L'Occidente e Leopardi

  1. 512 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Cosa arcana e stupenda

L'Occidente e Leopardi

Informazioni su questo libro

Un libro che ricostruisce il pensiero filosofico del Leopardi, un pensiero che ha un'importanza basilare per la definizione di quell''essenza del nichilismo' attorno alla quale ruota la riflessione di Severino. Leopardi ha affrontato le questioni ultime (la verità, l'essere, il nulla) per giungere a un linguaggio in cui la poesia diviene la forma della filosofia. Per questo Severino studia e interpreta l'intero corpus leopardiano, illuminandone l'intima coerenza umana e intellettuale e la tragica grandezza. Perché 'l'autentica filosofia dell'Occidente, nella sua essenza e nel suo più rigoroso e potente sviluppo, è la filosofia di Leopardi'.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817012355
eBook ISBN
9788858630365
Argomento
Letteratura

Dedica

A mia moglie

Prefazione

Al termine della “Prefazione” del mio libro Il nulla e la poesia. Alla fine della tecnica: Leopardi (Rizzoli, 1990, ora Bur 2005) si dice: «Questo è il primo dei due volumi che intendono rivolgersi al carattere decisivo del pensiero di Leopardi in relazione al presente e al futuro dell’età della tecnica. Mostra la configurazione di fondo dei temi; e solo in alcuni testi, soprattutto gli ultimi e i primi, profondamente solidali – giacché l’unità rigorosa e potente, la continuità profonda del pensiero di Leopardi è stata essa stessa ignorata [essa stessa, come la grandezza epocale di questo pensiero]. Al volume successivo, il compito di portare alla luce gli sviluppi fondamentali».
Il presente volume contiene appunto tali sviluppi. Forma quindi, insieme al precedente, un unico discorso.
A sette anni dalla pubblicazione de Il nulla e la poesia, si deve ripetere – ma la cosa era prevedibile – che la grandezza filosofica di Leopardi continua ad essere ignorata, sebbene siano apparsi nel frattempo studi eccellenti sul suo pensiero poetante. Anzi, spesso è proprio l’eccellenza della ricerca a portare fuori strada, perché l’intelligenza e competenza con cui ci si accosta ai diversi temi di quel pensiero fanno perdere di vista la loro “configurazione di fondo”, il terreno e il contesto in cui essi prendono spicco e significato e in relazione al quale viene in luce che Leopardi è uno dei grandi pensatori dell’Occidente perché apre e fonda la dimensione in cui si muove l’intera filosofia contemporanea (spesso dimentica di tale fondazione), e quindi si mette in condizione di comprendere l’inevitabilità del fallimento della tecnica, verso il paradiso della quale la nostra civiltà si sta portando.
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Per il pensiero greco, a partire soprattutto da Eschilo e, poi, per l’intera tradizione occidentale, la verità è il rimedio contro l’angoscia provocata dall’annientamento della vita e delle cose (cfr. E. S., Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Adelphi, 1989 – della simmetria tra questo sottotitolo e quello de Il nulla e la poesia si parla all’inizio della summenzionata “Prefazione”). La verità è epistéme incontrovertibile che mostra l’esistenza dell’Eterno, in cui è custodito tutto ciò che nel mondo è ancora trattenuto o è già risospinto nel nulla. Leopardi apre e fonda la dimensione in cui si muove il pensiero contemporaneo, perché porta alla luce l’inevitabilità della “distruzione” di ogni Eterno e di ogni epistéme, ossia porta alla luce quanto vi è di più decisivo nell’intero sviluppo storico del pensiero dell’Occidente – il decisivo che dopo Leopardi tenderà a ritornare nell’ombra, facendosi per lo più avvertire nelle sue forme derivate e indirette. Nel pensiero contemporaneo il rifiuto della tradizione occidentale – che deriva in buona parte da Nietzsche, attraverso cui il pensiero di Leopardi si diffonde in modo anonimo – è ormai un luogo comune. Pressoché assente è invece la consapevolezza del fondamento che rende inevitabile tale rifiuto e per il quale la nostra civiltà è destinata alla dominazione della tecnica e, infine, al fallimento del paradiso della tecnica (cfr. Il nulla e la poesia, capp. IX-XVI).
Mostrando l’inevitabilità del tramonto della tradizione occidentale Leopardi mostra dunque che il contenuto della verità è l’annientamento e l’annientabilità di ogni cosa, e che quindi la verità non è il rimedio, ma, all’opposto, la radice dell’angoscia. Il rimedio, per chi ha paura, è la dimenticanza della verità – sempre meno realizzabile nel tempo della ragione e della tecnica. Per chi, alla fine dell’età della tecnica, ardisce sollevare gli «occhi mortali» incontro alla verità – per il “genio” –, l’unica possibile forma di rimedio è l’unione della verità, ossia della visione del nulla annientante, alla poesia, cioè all’ultima illusione che consente di reggere lo spettacolo terribile della verità.
La grandezza decisiva del pensiero di Leopardi continua a non esser capita non tanto perché queste “tesi” siano ignorate – anche se il loro senso determinante e la loro portata storica vengono per lo più tenute sullo sfondo –, ma perché non si riesce a scorgere la loro potenza filosofica, cioè la loro inevitabilità, il loro non essere semplici “tesi” o “punti di vista”.
Continua ad essere riproposta l’interpretazione che attribuisce allo Zibaldone e quindi al pensiero di Leopardi un carattere irrimediabilmente frammentario – che persisterebbe nonostante l’analisi che ne Il nulla e la poesia viene compiuta di tale pensiero (cfr. ad esempio l’“Introduzione” all’edizione dello Zibaldone, A. Mondadori, 1997 a cura di R. Damiani). Certo la relazione della coscienza al “frammento” è un tratto caratteristico del pensiero e in generale della cultura del nostro tempo. È il corrispettivo, in sede “umanistica”, di ciò che è la “specializzazione” in campo scientifico. Ma perché l’Occidente giunge al “frammento” e alla “specializzazione”? Per una semplice questione di gusto? per una decisione arbitraria? per caso e senza ragione?
Rispondere positivamente a queste domande significa porsi in relazione all’epoca del “frammento” e della “specializzazione” come a qualcosa di cui ci si deve limitare a prendere atto: qualcosa che c’è, che c’è di fatto. Ma che, proprio per questo, in un futuro più o meno prossimo potrebbe non esserci più: potrebbero ritornare le grandi spiegazioni unitarie del tutto, che sono proprie della tradizione occidentale, e anche dell’Oriente. Il nostro passato potrebbe di nuovo avanzare legittimamente la pretesa di guidare la storia.
Tuttavia si può rispondere positivamente a quelle domande, perché non si riesce a scorgere l’inevitabilità e irresistibilità della distruzione della tradizione occidentale, che per la prima volta vengono alla luce nel pensiero di Leopardi – e che solo raramente, in seguito, si ripresenteranno con la stessa consapevolezza e potenza. Non si riesce a scorgere che, sul fondamento di tale distruzione, il mondo non può stare dinanzi in altro modo che come “frammento” e come oggetto di “specializzazione” scientifica. Che invece è quanto Leopardi vede in piena luce.
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Infatti, se non esiste alcun eterno e alcuna verità assoluta e incontrovertibile al di fuori di quella che afferma l’esistenza del divenire, l’essere è la sporgenza casuale e precaria delle cose dal nulla, in una successione dove tale sporgenza è via via occupata e costituita da cose sempre diverse, tra le quali non può esistere alcun nesso e alcun legame necessario e che quindi sono puri “fatti” senza perché (cfr. cap. II). Ciò che esce dal nulla non può unirsi al già esistente in forza di un legame necessario. Uscendo dal nulla non ha alcun diritto da accampare, nessuna vocazione originaria da esprimere e da far rispettare, nessuno scopo da raggiungere. E nessun legame di tale natura può unire ciò che va nel nulla alle cose che continuano ad esistere. E poiché la totalità dell’esistente è costituita da cose che sporgono provvisoriamente dal nulla, nessun legame necessario può unire le cose che costituiscono la totalità di fatto esistente. La totalità dell’essere è pertanto una giustapposizione accidentale di cose; esiste come casualmente frantumata in una molteplicità di cose separate. Dunque ogni cosa è un frammento; e quindi costitutivamente predisposta ad essere considerata all’interno di un sapere “specialistico” – «matematico» dice Leopardi (cfr. Il nulla e la poesia, capp. XIV-XV).
Che la “cosa” in quanto tale – l’essere in quanto essere – sia frammento precario è una conseguenza che il pensiero di Leopardi vede scaturire necessariamente dall’impossibilità di ogni eterno e di ogni verità assoluta. È la potenza filosofica di tale pensiero a consentirgli di scorgere la necessità di questa conseguenza. Ma, appunto, il frammento è ciò che il pensiero di Leopardi si mette in condizione di vedere (e di vedere nella sua necessità): non è il modo di essere di tale pensiero. Il pensiero di Leopardi è la coscienza del frammento, ma non è una coscienza frammentaria del frammento: ne è la coscienza potentemente unitaria. Vede che l’unica necessità è l’assenza di ogni necessità. Quando si ritiene che questa struttura concettuale sia contraddittoria – e, in generale, quando la filosofia contemporanea si presenta come una forma di scetticismo ingenuo che non sa evitare l’obbiezione che lo qualifica come teoria che smentisce se stessa –, si è incapaci di scendere nel sottosuolo essenziale della filosofia del nostro tempo, nel quale essa stessa non sa quasi mai discendere e in cui invece si mantiene il pensiero di Leopardi.
Dal principio alla fine egli chiama “sistema” («il mio sistema») questo carattere unitario e non frammentario della propria coscienza della inevitabile frammentarietà dell’essere. Il “si-stema” è certamente un syn-hístasthai, uno “stare insieme”; ma il “sistema” in Leopardi non tiene uniti i vari aspetti e le varie parti della totalità, nel modo in cui la totalità, nell’epistéme (epi-hístasthai), è dominata e unificata dall’Ordinamento eterno che sta eternamente salvo dal nulla, al di sopra del divenire (phýsis aièi sozoméne, «Essere sempre salvo», dice Aristotele nel libro I della Metafisica): il suo “sistema” è, da un lato, la coerenza dello sguardo in cui appare il divenire dell’essere; dall’altro è la coerenza del divenire, dell’essere in quanto divenire – cioè in quanto è “natura”, ossia quella tendenza o volontà di mantenersi il più possibile al di fuori del nulla, che Leopardi chiama, appunto, «sistema della natura».
Non si può confondere la radicale frammentarietà dell’essere, di cui il pensiero di Leopardi è la fondazione più profonda, con la presunta frammentarietà di questa fondazione e di questo pensiero, essenzialmente “sistematico” nel senso indicato. Né si può confondere la profonda unitarietà e coerenza di tale pensiero con l’aspetto frammentario che esso presenta nella scrittura dello Zibaldone. Certo, Leopardi stesso usa questa parola – che indica un miscuglio caotico di considerazioni scritte, il pastissage – per dare un nome, quasi alla fine della stesura, al proprio sterminato manoscritto: «Zibaldone di Pensieri». Ma non si è mostrato molto esprit de finesse a intendere alla lettera questa espressione profondamente ironica. Come se si considerasse una canzoncina il grande coro dei morti che apre il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, perché i morti dicono a Ruysch di aver cantato una «canzoncina».
Per questo motivo, come ne Il nulla e la poesia, anche in questo secondo volume si è usato il titolo Pensieri (in sigla P) invece di Zibaldone, come peraltro Leopardi stesso aveva fatto per i centoundici «Pensieri» tratti dallo Zibaldone e pubblicati dal Ranieri nel 1845 – e come aveva fatto Carducci nella prima edizione dell’opera (Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, Felice Le Monnier, Firenze 1898).
Che il pensiero di Leopardi non intenda essere frammentario non significa però che esso abbia la capacità di tenersi definitivamente unito a se stesso. È una capacità, questa, che non è posseduta nemmeno da Aristotele e da Hegel. E non è certo per la debolezza delle loro menti. Non è posseduta nemmeno dall’intero sviluppo della cultura e della civiltà dell’Occidente, ossia della più potente forma di razionalità apparsa sulla terra. «Se la civiltà occidentale vuol essere coerente alla propria essenza, deve riconoscere che la propria filosofia è la filosofia di Leopardi. L’autentica filosofia dell’Occidente, nella sua essenza e nel suo più rigoroso e potente sviluppo, è la filosofia di Leopardi» (Il nulla e la poesia, cit., Prefazione). Ma l’essenza dell’Occidente è il nichilismo – nel senso determinato che sfugge all’intera cultura dell’Occidente (cfr. E. S., Essenza del nichilismo, 1972, 2a ed. Adelphi,1982). Nel pensiero di Leopardi l’essenza del nichilismo giunge alla sua configurazione più radicale e concreta. Ma tale essenza è destinata a spezzarsi e a mostrarsi come la contraddizione più profonda che possa avvolgere la presenza dell’essere.
Il nichilismo è la fede nell’esistenza del divenire (inteso come sporgenza delle cose dal nulla), perché tale fede implica di necessità la persuasione – trattenuta alle spalle della coscienza – che l’essere è nulla. Come maestro del nichilismo, Leopardi non può giungere alla consapevolezza che la fede nel divenire è fede ed è fede nella contraddizione estrema che identifica l’essere e il nulla. Anche in Leopardi la fede nel divenire pensa il divenire come suprema evidenza. Tuttavia il pensiero di Leopardi si spinge così avanti, nell’esplorazione delle proprie radici, da affermare che l’evidenza del divenire è la stessa evidenza della contraddizione che avvolge l’essere in quanto essere, l’esistenza in quanto esistenza (cfr. cap. XI): l’esistenza è contraddizione; la contraddizione è esistente; la verità è l’esistenza della contraddizione. A questo punto – che matura nello sviluppo dei Pensieri, e che già Il nulla e la poesia ha incominciato a indicare (cfr. cap. I, III) – il pensiero di Leopardi non riesce più a tenersi unito a se stesso e si spezza, crolla, si dissolve. Ma ciò che si spezza e crolla e si dissolve non è semplicemente la teoria di un grande pensatore, ma è la forma più profonda e più avanzata del pensiero dell’Occidente. E non crolla – non può crollare – dinanzi ai propri occhi, ma dinanzi allo sguardo che da sempre si mantiene al di fuori e circonda la follia del nichilismo, e dove, dunque, la follia della fede nel divenire non appare come evidenza, ma come follia, fede, contraddizione. Appare come un fantasma – sebbene, anche dopo il crollo del nichilismo, il suo fantasma continui a presentarsi, ai propri occhi, come il dominatore della terra.
Il crollo e il dissolversi della forma più potente e avanzata del nichilismo – il crollo del pensiero di Leopardi – è la sua frantumazione. Ma è una frantumazione subita, non voluta. Il pensiero della frammentarietà dell’essere non intende essere frammentario. È anzi la forma più coerente e unitaria del pensiero occidentale. Ma esso spinge così innanzi la propria coerenza e potenza nella visione della frammentarietà e contraddittorietà dell’essere, da diventare esso stesso contraddittorio e dunque spezzato in frammenti (cfr. cap. XI, v). La coerenza più radicale dell’Occidente è costretta alla frantumazione e frammentazione. Non la persegue. Si frantuma nei due lati della contraddizione dell’esistenza. Tenta in ogni modo di evitarla. La visione dell’abisso e del caos tenta in ogni modo di non cadervi dentro e accecarsi; ma non può riuscirvi, non può mantenersi in equilibrio sull’orlo dell’abisso, e vi precipita. La visione potentemente unitaria del frammento diventa frammento.
La fondazione della “distruzione” dell’eterno e dell’epistéme (cfr. cap. II) è il primo degli “sviluppi fondamentali” che questo libro intende presen...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Cosa arcana e stupenda