La bilancia
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La bilancia

Pensieri sul nostro tempo

  1. 240 pagine
  2. Italian
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La bilancia

Pensieri sul nostro tempo

Informazioni su questo libro

Dalla fine degli anni Ottanta la storia ha subito un'accelerazione che non accenna a fermarsi, e che ciascuno di noi verifica quotidianamente. Con la caduta del muro di Berlino il mondo è cambiato, gli assetti internazionali sono entrati in crisi sotto i colpi di quelle che Hegel avrebbe definito le dure repliche della storia; nuovi equilibri si sono affermati e altri sono ancora in via di assestamento. Alcuni dei concetti centrali della nostra politica, nati dai grandi sistemi filosofici, come quelli di Stato e democrazia, sono stati messi in discussione mentre si sono imposti temi nuovi: la pena di morte, la giustizia, l'eutanasia, il concetto di "guerra giusta", le grandi questioni sociali come la paura diffusa, le molte dipendenze, gli attriti tra Nord e Sud del mondo. Con questo saggio ormai divenuto un classico, Emanuele Severino ha gettato una luce nuova su idee ed eventi che sembravano sfuggire a ogni logica dopo la svolta epocale del 1989, fornendoci una chiave d'interpretazione originale e illuminante.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817048330

Avvertenza 2001

La bilancia del nostro tempo. Uno dei due piatti si sta abbassando. Porta al di fuori del nostro passato – al di fuori della tradizione dell’Occidente.
A questo passato appartiene anche ciò che, sia pure in modi diversi, sembra oggi vincente – capitalismo, democrazia, cristianesimo. Al di là del declinare della bilancia: attende, da sempre, lo spiraglio.

Il testo è qui riproposto integralmente nella sua versione originale – riferimenti temporali compresi – salvo qualche precisazione.


Gennaio 2011
Emanuele Severino

I

Il crepuscolo degli dèi

1. La tendenza fondamentale del nostro tempo

Le trasformazioni in atto nei Paesi dell’Est sono un grande episodio di un fenomeno ancora più ampio: la crisi dei valori tradizionali della nostra civiltà. Da centocinquant’anni, e in modo sempre più intenso, filosofia, vita economica e politica, scienza, arte, costumi religiosi e morali mostrano un tratto comune: ovunque ci si libera da forme di pensiero e di esistenza che nella tradizione occidentale erano concepite come intoccabili, immodificabili, assolute. Si può dire che quanto accade all’Est era imprevedibile, solo se ci si rifiuta di alzare gli occhi sul significato unitario dello sviluppo storico e si ritiene che l’unico tipo legittimo di previsione sia quello delle scienze fisico-matematiche.
Il trionfo della democrazia nel nostro secolo ha condotto alla distruzione dello Stato assoluto, che intende permanere immutabile e controllare le mutazioni e le iniziative dell’uomo. Ma l’anima che spinge alla distruzione dello Stato assoluto è quella stessa che porta l’arte ad abbandonare ogni modello immodificabile e assoluto e ogni canone definitivo della bellezza, diventando così arte astratta. Le arti figurative cancellano la figura “naturale” e la musica cancella il tonalismo – ossia l’insieme di regole che credono di garantire la composizione “naturale” dei suoni –, perché non si crede più che la natura sia una dimensione inviolabile che deve essere imitata.
Nello stesso modo, non si crede più nell’esistenza di una “legge naturale”, a cui debba adeguarsi la vita morale, economica, giuridica. Esistono solo “leggi positive”, cioè create dall’uomo; così come l’arte non imita più la natura esterna, ma ne crea una nuova. La famiglia e lo Stato non sono più realtà naturali, e quindi inviolabili; crollano i divieti e le restrizioni sessuali; divorzio e aborto vengono accettati dalla società e l’eutanasia si fa strada. Non si crede più nell’esistenza di una “natura umana” da rispettare: l’uomo dev’essere inventato.
A sua volta, il rifiuto del valore assoluto della fede cristiana diventa sempre più esteso e profondo. A parte le involuzioni contingenti, rilevabili nella sfera religiosa come in ogni altra non sono più soltanto i cosiddetti “spiriti liberi”, ma le masse a vivere al di fuori delle norme e dei principi assoluti del cristianesimo e a non riconoscere più nella Chiesa un’autorità indiscutibile. Si parla appunto della “morte di Dio” nell’uomo moderno. Muore Dio e muoiono i suoi angeli, cioè i suoi messaggeri nel mondo, rispecchianti l’assolutezza di Dio nell’assolutezza delle strutture immutabili che in ogni campo intendono controllare e dominare il divenire delle cose.
La stessa economia capitalistica non concepisce più se stessa come un ordinamento “naturale” (di questo l’aveva accusata Marx) e l’incremento della ricchezza non ha più al di fuori di sé il proprio scopo assoluto, ossia non ha più il compito di assicurare le condizioni della “buona vita”, conforme alle leggi immutabili della realtà: l’economia si libera dalla morale – e se ne serve quando le conviene – come si era liberata dalla religione.
Non solo. Prima le scienze matematiche, poi quelle fisiche e tutte le altre, dalla fine del secolo scorso non concepiscono più se stesse come verità assolute e definitive, ma come conoscenze ipotetiche, aperte alla conferma o alla smentita sperimentale e capaci, proprio per questa loro flessibilità, di trasformare il mondo con un’efficacia mai raggiunta.
E infine – alla radice di questo grandioso fenomeno di distruzione di ogni forma assoluta – la svolta del pensiero filosofico degli ultimi centocinquant’anni.
All’inizio della civiltà occidentale è la filosofia a pensare che al di sopra delle opinioni incerte e varianti esiste una conoscenza stabile e assolutamente sicura, mediante la quale l’uomo può scoprire la struttura immutabile della realtà, permanente al di sopra e all’interno del divenire del mondo e condizione e guida di esso. Tutta la tradizione filosofica, dai Greci a Hegel, nonostante la compresenza dello scetticismo intende essere conoscenza assoluta dell’assoluto, verità incontrovertibile e definitiva in cui si mostra l’Eterno e il suo essere fondamento e scopo del mondo diveniente. (Anche il pensiero di Kant, che esclude la possibilità di una conoscenza dell’assoluto, intende essere pur sempre la forma autentica della conoscenza assoluta.)
Questo, della tradizione filosofica, è appunto l’universo da cui la filosofia contemporanea si libera in modo sempre più perentorio e radicale: non esistono verità assolute e incontrovertibili, principi inviolabili e assolutamente certi della conoscenza, non esiste un fondamento o un centro del mondo, un Essere immutabile ed eterno che sorregga la realtà diveniente e finita; ogni essere è tempo, divenire, storicità, contingenza, finitezza; non esistono norme e vincoli morali assoluti. Sono i temi da cui deriva il romanzo, la poesia, la letteratura e tutte le forme della cultura e della vita contemporanee.
La filosofia del nostro tempo sta alla radice della crisi dei valori tradizionali, anche se spesso il nuovo modo di pensare conserva tracce profonde del vecchio. È quanto accade alla filosofia di Marx, ossia al nucleo concettuale che ha guidato la rivoluzione sovietica e la realizzazione della società comunista. Nonostante la sua rivendicazione potente del carattere storico della realtà e della verità, la filosofia di Marx vuole essere pur sempre conoscenza incontrovertibile e assoluta delle leggi che regolano la storia e che determinano con necessità il crollo del capitalismo e l’avvento della società senza classi, economicamente pianificata.
L’imponenza dell’ambito in cui si è incarnata la filosofia di Marx – l’impero sovietico – ha fatto sì che quest’ultimo sia stato l’espressione più consistente e terribilmente grandiosa, nel nostro secolo, della volontà tradizionale di imporre una forma assoluta e immutabile al divenire dell’uomo. Un anacronismo grandioso, perché il nostro secolo ha già portato al tramonto ogni volontà di questo tipo. Se c’era da meravigliarsi di qualcosa, era che quell’anacronismo potesse ancora sopravvivere. Se c’era qualcosa da “prevedere”, era il tramonto del socialismo reale – l’ultimo episodio del “tramonto degli dèi” della tradizione occidentale.
Tutto questo non significa che il processo in atto nei Paesi dell’Est non possa subire involuzioni e che il cristianesimo o l’islamismo non abbiano più la volontà di guidare i popoli. Le involuzioni non eliminano la tendenza fondamentale del processo. Non è quindi possibile interpretare gli sconvolgimenti dell’Est come un’avanzata del cristianesimo, secondo quanto ha affermato Giovanni Paolo II. Nonostante la nobiltà di questa diagnosi, il cristianesimo è per i popoli dell’Est un compagno di strada che sta esso stesso uscendo di strada, come tutte le grandi forme assolute della nostra tradizione. Accade spesso che chi sbanda si trovi in mezzo alla carreggiata.
Il capitalismo ha una tenuta di strada molto superiore a quella del socialismo reale: la sua logica tende a essere quella della scienza moderna, non quella della tradizione filosofica. Il capitalismo lascia giocare gli egoismi; non impone una morale – a differenza di quanto hanno fatto le società marxiste. Ed è più facile essere egoisti che morali, soprattutto quando si è stati vittime di quella immoralità estrema che vuole imporre con la forza una morale. Ma è difficile ritenere che il capitalismo non sia esso stesso uno di quei modi di pensare e di agire che, pur spingendo i vecchi dèi al tramonto, in qualche modo ne conservano l’anima e si preparano a seguirne il destino (cfr. cap. VIII, 1; XVI, 3).

2. Tramonto del marxismo

Anche la crisi del comunismo italiano appartiene dunque a un processo estremamente più ampio. Molto più ampio delle trasformazioni del comunismo mondiale, perché coinvolge gli stessi avversari tradizionali del marxismo. Si tratta appunto della vicenda in cui la civiltà occidentale abbandona tutto il suo passato – e nell’atto in cui essa diventa la civiltà dell’intero pianeta. Si voltano le spalle a un’epoca in cui la vita dell’uomo è guidata dalla sapienza filosoficometafisico-teologica. La “ragione” non è più impersonata da questa sapienza, ma dalla scienza moderna, che è il cuore della civiltà della tecnica.
L’elevazione del tenore di vita nel Nord del pianeta ha reso sempre più difficile l’azione politica dei partiti comunisti, che hanno sempre fatto leva sulla povertà delle masse. Oggi le masse povere sono quelle del Terzo Mondo. Rispetto a esse, i Paesi sia dell’Ovest sia dell’Est hanno ereditato e accresciuto i privilegi un tempo goduti dalle classi ricche rispetto al proletariato europeo. In Europa e nell’America del Nord la lotta di classe è diventata qualcosa di obsoleto. Il comunismo non mira più alla rivoluzione mondiale. L’appartenenza dell’Italia alla sfera di influenza americana ha reso definitivamente impossibile la rivoluzione comunista nel nostro Paese. Si sono stabilite ovunque le condizioni che impediscono alla teoria marxista di diventare realtà. Ma già la rivoluzione sovietica, limitandosi a un solo sia pur gigantesco Paese, era stata il tradimento del carattere mondiale e globale del progetto rivoluzionario di Marx. Per il suo carattere settoriale – “specialistico” – pur presentandosi come l’atto supremo della razionalità filosofica era stata in effetti un’operazione di “ingegneria gradualistica”, con i caratteri cioè dell’attività scientifica, che si rivolge a problemi e a soluzioni particolari, specifici, e considera priva di senso una procedura che, come quella marxiana, miri a risolvere in modo globale “il” problema della società umana.
È in questa situazione che anche il Pci ha dovuto prendere le distanze dal pensiero di Marx. Nell’accantonamento dell’ispirazione rivoluzionaria consiste la socialdemocratizzazione “indotta” (con la “o” chiusa) del Pci. Ne parlo da vent’anni (cfr. ad esempio il mio libro Téchne, Rusconi, 1979). Molti altri ne hanno parlato. Il problema, anzi, è già sul tappeto alla fine del secolo scorso, quando il socialismo incomincia a rifiutarsi di essere filosofia, per essere scienza. Tuttavia si possono usare le stesse parole per indicare cose molto diverse. La socialdemocratizzazione del comunismo è un aspetto del processo che conduce dalla tradizione dell’Occidente alla civiltà della tecnica, dove la scienza sostituisce la filosofia nel compito di guidare la vita dell’uomo. Tutti conoscono l’esistenza di questo processo. Ma si tratta di coglierne il senso autentico, ancora completamente inesplorato della “nostra” cultura. Il rivolgersi di Marx alla totalità – sia pur concepita come totalità sociale – è il tratto tipico del pensiero filosofico sin dalle sue origini. E come per Marx la rivoluzione è l’agire che trasforma la totalità dell’esistenza umana, così per il pensiero greco l’agire dell’uomo si pone in rapporto al senso del Tutto e non semplicemente a un aspetto particolare di esso.
Se la razionalità della scienza moderna è caratterizzata dal rifiuto metodico di ogni conoscenza e attività che non siano parziali, specializzate, isolate dal loro contesto, la socialdemocrazia trasferisce questo atteggiamento nell’azione politica e sostituisce la rivoluzione sociale con la revisione parziale del sistema, cioè con una ingegneria che lo trasforma gradualmente. Rispetto a Marx, la rivoluzione settoriale di Lenin è già in cammino verso la socialdemocrazia. Ma, appunto, qual è il senso del “cammino”?
Sembra che Gorbaciov avesse invitato Solgenitsin a ritornare nell’Unione Sovietica. Poco prima dell’esilio, lo scrittore aveva inviato a Breznev una lunga lettera, pubblicata anche in Italia. Vi si diceva che l’«ideologia» marxista «non solo è decrepita, non solo è irrimediabilmente antiquata, ma anche nei suoi decenni migliori ha sbagliato tutte le predizioni, non è mai stata scienza. È una colonna scenica di cartapesta» a cui nell’Unione Sovietica non crede più nessuno: «Se la togliessimo non crollerebbe nulla, nulla vacillerebbe». Alla classe dirigente sovietica, Solgenitsin proponeva di sbarazzarsene, sostituendo lo Stato autoritario marxista con uno Stato autoritario efficiente che consentisse al popolo di «respirare, pensare e svilupparsi».
Solgenitsin confondeva completamente il pensiero di Marx con l’ideologia ufficiale sovietica. E tuttavia intuiva la questione decisiva: il marxismo, che «non è mai stato scienza» – egli diceva ai dirigenti sovietici – «lega al vostro collo tutte le macine che vi fanno annegare» e che «ostacolano lo sviluppo industriale e la ricostruzione tecnologica». Riteneva che fosse l’idiozia di ciò che egli chiamava “marxismo” a ostacolare lo sviluppo industriale e tecnologico, e non si rendeva conto di avere a che fare con qualcosa di ben più importante: con la situazione dove è la grandezza della tradizione filosoficometafisico-teologica a “ostacolare” la civiltà della tecnica e lo “sviluppo” dell’uomo. E non vedeva che a tale tradizione appartengono anche quei valori religiosi che invece per lui non sono macine al collo. La critica che egli rivolge al “marxismo” è in effetti la stessa via via rivolta dalla cultura moderna, oltre che alla filosofia e al cristianesimo, a tutti i valori della civiltà tradizionale: essi “ostacolano” lo sviluppo e il divenire dell’uomo.
L’“ostacolo” è ciò che “sta contro” (ob-stat) e rimane, fermo, arginando e soffocando il divenire dell’uomo. Ma nella tradizione occidentale ciò che sta fermo non è sentito come ostacolo e soffocamento, bensì come salvezza dall’imprevedibilità e dall’angoscia del divenire. Il fluire del mondo, per la tradizione occidentale, si produce all’interno di un’unica struttura immutabile che stabilisce le leggi inalterabili della natura e della vita umana: le leggi fisiche, morali, giuridiche, economiche, estetiche. In esse si rispecchia la struttura immutabile che avvolge tutto e il cui nome più noto è “Dio”. Se “firmamento” significa “ciò che è fermamente”, immutabilmente, l’ordine in cui queste leggi stanno unite a Dio è il Firmamento divino. Anche il cristianesimo ha conferito alle proprie leggi “soprannaturali” il carattere di immutabilità e fermezza evocato dalla filosofia greca. Firmamento dei firmamenti, poi, è la fermezza della conoscenza filosofica, cioè la verità, la dimensione conoscitiva in cui può illuminarsi stabilmente ogni possibile firmamento.
Il marxismo è una delle ultime grandi forme di filosofia: un sapere che intende stabilire incontrovertibilmente lo scopo immutabile verso il quale si dirige l’intera società umana e le ragioni che inevitabilmente a esso conducono. E tuttavia, quando compare il pensiero di Marx, è già in atto il processo che conduce dalla filosofia alla scienza moderna, dal Firmamento alla distruzione del Firmamento, e nel quale il senso immutabile del mondo viene sentito come macina al collo, soffocamento del respiro umano, ostacolo al divenire della vita e alle forme che esso assume nella civiltà della tecnica.
Si tratta di comprendere che l’inevitabilità e irreversibilità di questo processo ha un significato estremamente più radicale di quello di cui sono consapevoli gli stessi protagonisti della distruzione del Firmamento (cfr. E. S., La filosofia futura, Rizzoli, 1989, Parte Prima, III, 2). Sino a che non si comprende il significato, profondamente nascosto, dello “stare” che nell’“Ostacolo” soffoca il divenire e lo sviluppo, e quindi il significato di queste due ultime parole, il processo che conduce dalla tradizione dell’Occidente alla civiltà della tecnica rimane enigmatico; e si può parlare all’infinito, senza capire nulla di essenziale, del tramonto della filosofia nella scienza, della crisi del marxismo, dell’evoluzione del comunismo verso la socialdemocrazia, delle trasformazioni in atto nell’Unione Sovietica – e della crisi del Partito comunista italiano.

3. Note

La strada giusta per arrivare alla liberazione dell’individuo: questo è stato il maoism...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La bilancia