
- 270 pagine
- Italian
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Piera e gli assassini
Informazioni su questo libro
Siamo ancora qui a parlare insieme, Piera, di te. Mi hai raccontato, come è successo l'altra volta, al tempo del libro Storia di Piera, le storie segrete del tuo dolore e poi mi hai detto: le vogliamo conservare?" Così inizia Dacia Maraini rivolgendosi a Piera Degli Esposti, in un lungo intenso racconto in forma di dialogo fra due donne molto speciali: due protagoniste della nostra cultura che si confrontano sui temi più importanti della vita. Piera e gli assassini è uno straordinario scrigno di racconti: intricati, tristi, amorosi, drammatici. Vicende di famiglia, aneddoti su registi, attori e compagni di lavoro e, in controluce, la storia di un'amicizia lunga una vita, quella delle due autrici.
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Informazioni
I LIBRI DI DACIA MARAINI
Dacia Maraini è autrice di romanzi di successo tra cui La vacanza (1962); L’età del malessere (1963); Memorie di una ladra (1973); Donna in guerra (1975); Isolina (1985, Premio Fregene 1985); La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990, Premi: Campiello 1990; Libro dell’anno 1990), da cui è stato tratto il film di Roberto Faenza Marianna Ucrìa; Voci (1994, Premi: Napoli 1995; Sibilla Aleramo 1995); Dolce per sé (1997, Premi: Vitaliano Brancati-Zafferana Etnea 1997; Città di Padova 1997; Internazionale per la Narrativa Flaiano-Telecom Italia 1997); di poesie: Donne mie (1974); Mangiami pure (1978); Viaggiando con passo di volpe (1991, Premi: Mediterraneo 1992; Città di Penne 1992); Se amando troppo (1998); di testi teatrali fra i quali Maria Stuarda (1975); Dialogo di una prostituta con un suo cliente (1978); Stravaganza (1987); Veronica, meretrice e scrittora (1991); Camille (1995). La produzione teatrale è stata per la prima volta raccolta nei due volumi Fare teatro (1966-2000) (2000). Nel 1980 ha scritto, in collaborazione con Piera Degli Esposti, Storia di Piera; nel 1986 Il bambino Alberto; nel 1987 La bionda, la bruna e l’asino; nel 1993 Bagheria (Premi: Rapallo-Carige 1993; Scanno 1993; finalista allo Strega 1993; Joppolo 1994) e Cercando Emma; nel 1996 Un clandestino a bordo; inoltre ha ripubblicato nel 1998 E tu chi eri? (1973), nel 2000 Il treno per Helsinki (1984), nel 2001 Lettere a Marina (1981). Nel 2000 è uscito Amata scrittura; nel 2001 La nave per Kobe; nel 2003, in collaborazione con Piera Degli Esposti, Piera e gli assassini. Ha vinto nel 1999 il Premio Strega e il Premio Città di Bari con la raccolta di racconti Buio. Le sue opere sono tradotte in più di venti paesi.
J’étais mort sans surprise, et la terrible aurore
m’enveloppait? Eh quoi! n’est-ce donc que cela?
La toile était levée et j’attendais encore...
m’enveloppait? Eh quoi! n’est-ce donc que cela?
La toile était levée et j’attendais encore...
CHARLES BAUDELAIRE
Dacia Maraini- Siamo ancora qui, insieme, a parlare di te, Piera. Mi hai raccontato, come è successo l’altra volta, al tempo di Storia di Piera, le cronache segrete del tuo dolore e poi mi hai detto: «le vogliamo conservare?». E io che sono una raccoglitrice di storie, ho acconsentito. I tuoi racconti, ma soprattutto il modo in cui riferisci le tue vicende, con voce bambinesca e spaventata, ma nello stesso tempo piena di sapienza narrativa e senso del ritmo, è così sorprendente che davvero si ha voglia di metterli da parte questi racconti, per ragionarci sopra con calma. Tu mi hai parlato soprattutto di dolori, dolori recenti, gravosi, che hanno invaso la tua vita. Eppure, anche quando cammini nei cimiteri del tuo cuore, non riesci a essere lugubre, perché i tuoi piedi non conoscono il lutto, ma si fanno leggeri e danzanti anche se piove nero.
Piera Degli Esposti- Forse è un peccato entrare nella casa segreta della morte prima che la morte stessa sia venuta a prenderci.
D- Potrebbe essere una casa spaziosa e luminosa, nonostante sia abitata da fantasmi. La casa a cui bussa Pinocchio, dalla cui finestra si affaccia la fata dai capelli turchini, è la casa dei morti, ma non ha niente di tetro.
P- Ci sono queste stanze silenziose, no forse non sono poi così silenziose, si sentono delle voci che parlano, che sussurrano... la certezza della morte me la dà il fatto che muore mia sorella o che muore mia madre o mio padre, ma alla mia morte, ecco, mi riesce difficile credere, anche se la aspetto, ci credo ma fino a un certo punto...
D- "Quando noi siamo qui, la morte non c’è"... diceva Epicuro... "Quando la morte è qui, noi non ci siamo", insomma non ci è dato di incontrarla questa signora morte e forse è meglio così, ci limitiamo ad immaginarla.
P- Ho cercato di consolarmi con quella frase che spesso ricorre alla mia memoria... ma la cosa non mi rassicura. Invece sai cosa mi consola: il teatro. Sentirmi dire: «porti la saliera al signor B.» a Napoli, poi la sera dopo a Torino: «porti la saliera al signor B.», e ancora «porti la saliera al signor B.» a Roma due giorni dopo, mi dà allegria. Lo so che le saliere sono finte, che i tir viaggiano, che i giorni passano, però mi riempio dell’illusione che, con questa storia della saliera, ogni sera sia la stessa sera, una ripetizione che cristallizza il tempo...
D- È la grazia dell’eternità teatrale, non credi?
P- Fissarlo, chiuderlo, il tempo, era il mio compito preferito e di conseguenza io ho cominciato fin da bambina a fare questa operazione... che però non mi è riuscita perché pur amando, direi quasi al limite dell’incesto, di un amore immobile nel tempo, sia mio padre che mia madre, non ho potuto impedire che loro morissero. Mi sono tanto accanita a tenere uniti i componenti della mia famiglia, dovevamo costituire una forza che avrebbe vinto ogni sfacelo. Amando di amore carnale mio padre, oppure amoreggiando con gli uomini di mia madre, pensavo di contenere quel flusso di sangue che sentivo sgusciare dalle ferite della famiglia... Cercavo di convincere i miei fratelli a non sposarsi... facevo una fatica di Sisifo per evitare le rotture, gli allentamenti... ma questa operazione è andata per aria perché, nonostante le mie insistenze, loro si sono sposati, poi si sono anche separati... e, come se non bastasse, si sono presi la libertà di andarsene via per sempre, prima il babbo e poi la mamma e poi Carla e Carlo. Per spiegare: Carlo era figlio della prima moglie del mio papà e Carla era figlia della mamma e di un altro marito. Io ho vissuto soprattutto con mia sorella che per me è stata... ecco... più che una sorella, un’altra me stessa.
D- Raccontami qualcosa di più su tua sorella Carla.
P- Volevo tenerla stretta Carla, credevo di averla difesa dalla malattia stringendola idealmente a me, come una madre e invece lei è andata via e siamo rimasti io e Franco, il mio fratello più piccolo. Lui pure era legato alla mamma, a volte andava a trovarla in bicicletta nella clinica dove lei era ricoverata; dopo che è morta, ha continuato ad andarci, due o tre volte la settimana, sempre in bicicletta.
D- Vuoi dire che Franco è come te, uno che cerca di fermare il tempo trattando i morti come vivi?
P- Forse sì, anche se lui cerca di essere più razionale, per quanto una volta mi abbia detto: la razionalità è la mia corazza... insomma lui cerca di stare coi piedi ben saldi sulle sue strade bolognesi...
D- E che cosa cercava alla clinica dopo che tua madre era morta, che ci andava a fare?
P- Appoggiava la bicicletta contro il muro, salutava la direttrice che era contenta di vederlo, ritenendo che fosse anche in parte, in qualche modo, un attaccamento, un affetto verso di loro, verso chi aveva curato la mamma... Andava a vedere la stanza dove era vissuta negli ultimi anni la mamma e poi se ne tornava a casa... Dunque diciamo che io ho costruito questo progetto su una famiglia che era abbastanza adatta... Con mio fratello Franco ballavamo insieme alla prima musica dei Beatles, in pigiama per casa. Mia sorella mi scriveva dalla Russia lettere che sembravano d’amore, con mio padre, c’è stato quel rapporto che c’è stato, con la mamma ci scambiavamo i fidanzati... insomma non è che io mi rivolgessi a una famiglia insensibile, o inadatta, io certamente ero adatta... Allora insistevo, sfacchinando come una formichina laboriosa perché loro non si sposassero, perché rimanessero per il futuro in quella casa... ma non c’è stato niente da fare: si sono innamorati, si sono sposati, sono andati via da casa, anche lontano... per me è stata la disperazione... in conclusione, io sono l’unica a non essermi sposata, l’unica a non avere fatto figli, pur tenendo vicini sempre dei compagni di vita... Ho cercato e trovato consolazione nel teatro...
D- Quando tu dici: ho trovato consolazione nel teatro, vuoi dire che hai creato un’altra famiglia sopra le tavole del palcoscenico, trasformando il sipario in porta e i riflettori in finestre?
P- Sì, quello che non ho potuto fare con la mia famiglia, ovvero fermare il tempo, fermare la disgregazione, io l’ho fatto in teatro, dove tutto è possibile... Mi sono anche consolata nei delitti.
D- Che vuol dire: consolata nei delitti? qualche volta sei criptica quando parli, lo sai... questa incertezza che dai a chi ti ascolta fa parte del tuo fascino, ma io sono una pignola, e ti incalzo: cosa vuol dire consolata nei delitti?
P- Forse andiamo d’accordo noi due proprio per questo: io tendo a sfuggire e tu a inchiodare le cose al pavimento.
D- Ma se quel pavimento non fosse di legno, come il palcoscenico, se fosse di mattonelle o di cemento, non potrei inchiodare un bel nulla. Non direi però che tu sfuggi, semmai che tendi a trasformare amorosamente la realtà. Ammorbidendo gli spigoli scoperti, sfuggendo alle date, alle descrizioni precise, tu entri nel mondo tenero del mito familiare. Ma i delitti?
P- Il delitto mi si è presentato, fin da bambina, attraverso la lettura della cronaca nera. Ruth Ellis... ricordo che volevo scrivere alla regina Elisabetta di Inghilterra perché desse la grazia a Ruth Ellis che aveva ucciso un uomo.
D- Qual è la storia di Ruth Ellis?
P- Una donna di condizioni modeste, credo quasi una cameriera, o una barista, non ricordo bene, si innamora di un uomo dell’alta società, penso che lui appartenesse a uno dei club di Elisabetta... Questa storia funziona bene finché lui si stanca, se ne va, ecco e lei non regge a questo distacco, dunque continua a cercarlo anche se lui le ha detto di dimenticarlo... Penso lo insegua maldestramente e fuori luogo, infastidendolo e scocciandolo, tanto che lui si lagna molto con gli amici di questa ossessione... finché un giorno lo uccide per la strada, mi pare che fosse proprio così. Era un delitto passionale, probabilmente Ruth aveva torto ma io tenevo per lei, perché mi dicevo da bambina: ma se tu prima cerchi, desideri, vuoi un corpo e poi lo abbandoni, non è come ucciderlo? lui le ha tolto la vita e lei ha risposto con altrettanta crudeltà. Naturalmente lo pensavo da bambina, altrimenti avremmo le strade piene di morti...
D- Non mi dire che sei per il dente per dente biblico... cos’è, un arcaismo profondo che sfugge al tuo pensiero di persona colta o si tratta del solito processo mitico che ti serve a trasformare la famiglia in un luogo senza regole e senza limiti che non siano quelli della sua coesione?
P- Può darsi, questo spiegherebbe perché da piccola facevo molta fatica ad accettare l’orologio, credo di averne parlato con te in Storia di Piera... non riuscivo a leggerlo, dicevo: «la lancetta piccola sta sul 3, quella grande sul 12, ma che vuol dire?». Avevo lo stesso problema con lo zero, dicevo a mio padre: «zero più zero cosa fa? e zero meno zero?». Fa zero.
D- Questo sarebbe dunque un rifiuto precoce del tempo nella sua divisione numerica, come a dire che già da bambina respingevi il meccanismo del movimento in avanti, per cui le mattine si trasformano in giornate e le giornate in serate, è così?
P- Sì, penso di sì... Il delitto è un male, a differenza del teatro che per me è un bene... se dovessimo dire: il teatro è bianco, il delitto è nero... direi che non può esistere il bianco senza il nero... però tutti e due sono benefici per me.
D- Perché tutti e due fermano il tempo?
P- Io non uccido, io recito, il bianco lo pratico, il nero no, ma lo leggo, ecco... lo leggo con una tale passione, quasi avessi un vizio, come quelli che giocano a carte fino alle cinque di mattina e non possono fermarsi, oppure la passione di andare alle corse e di puntare sul cavallo vincente, che poi magari è perdente... A me non importa niente delle carte né dei cavalli, ma sono molto portata all’indagine. Allora mi sono detta: forse sono così legata al teatro perché indaga sui personaggi e a volte è vicino ai matti.
D- Perché associ il delitto con la pazzia?
dp n="17" folio="17" ? P- Quasi sempre il delitto nasce da una forma di delirio, uno staccare i fili, un parlare con se stessi senza ascoltare gli altri... io ho cominciato il teatro parlando da sola in casa, il che poteva fare pensare alla pazzia ma era solo teatro... per strada, tante volte vedo persone con i telefonini e penso che parlino da sole, facendo del teatro, invece purtroppo no, hanno solo nascosto in tasca l’oggetto attraverso cui parlano e l’interlocutore non è presente... Il delitto è fatto spesso di intrighi, ma non è tanto l’intrigo che mi interessa quanto l’ossessione che abita la persona che giungerà poi a impossessarsi della vita dell’altro.
D- Ti identifichi più con l’assassino che con la vittima, insomma.
P- No, be’, con tutti e due, sono insieme quello che uccide e quello che viene ucciso.
D- Di solito quando si comincia un giallo, l’assassino non si conosce. L’indagine sta nella ricerca dell’assassino. Non ti appassiona questo aspetto della ricerca? Riuscire a sbrogliare una matassa psicologica, entrare nel cervello di persone diverse da noi, cercare la logica di un comportamento, questo non ti interessa?
P- Sì, ma non è il primo dei miei interessi.
D- A me invece piace solo quello. Il chiarimento di un arcano, quasi una operazione matematica di recupero, di chiarimento. Cosa è che ti appassiona invece, nella lettura dei polizieschi?
P- Mi appassiona la paura.
D- La paura dell’assassinato o dell’assassino?
P- La paura in sé... mi interessano quegli scricchiolii, quelle notti buie, quei sospetti atroci, il terrore mi attira.
D- Come quando da bambini, al luna park, si entrava nel tunnel della morte, ci si addentrava in qualche cosa di oscuro che ci serbava sorprese inquietanti ma nello stesso tempo si sapeva che si sarebbe trattato di una paura finta, una paura giocosa... quella che ti interessa è una paura teatrale, che presuppone una rappresentazione con un inizio, uno svolgimento e una fine riconoscibile, oppure si tratta di una paura viscerale, qualcosa di oscuro che sta dentro di te come un gatto accucciato?
P- Mi attira la paura che sta nel fondo di ognuno di noi e non sai da dove venga e perché esista.
D- Pensi che dentro di te ci siano molte cose che non conosci e di cui potresti avere paura?
P- No, questo no... io mi credo, a prezzo di tanti anni di analisi che sono stati anche un mio equilibrio... mi credo solida, mi credo fondamentalmente equilibrata. Qualche volta posso anche sembrare confusa, perché parlo velocemente o accavallo i pensieri, forse perché il nostro dentro viene prima del nostro detto... e io per correre dietro al dentro, metto fuori le parole ancora crude...
D- Tu segui poco la logica, te ne infischi della cronologia, sei molto libera quando parli e questo a volte crea sorpresa e anche resistenza in chi ti ascolta. Però poi tutti rimangono incantati, perché certamente è anche una forma di seduzione linguistica la tua, questo tuo parlare sospeso... un parlare pieno di aria e di vento, che poi si chiude magari improvvisamente in uno spazio angusto dove sbatti contro i mobili e le sedie. In quegli spazi angusti nasce la comicità del tuo pensiero, che è insieme crudele e segreta e surreale... Per quanto mi riguarda, io mi diverto molto ad ascoltarti.
P- La mia è una confusione solo esterna, altrimenti non reciterei così, in modo chiaro e sillaboso... Quello che mi attira nella paura sono i demoni che abitano nelle teste della gente... il male che cova nell’uomo, ecco, e che può esplodere da un momento all’altro senza preavviso.
D- Quindi per te il delitto è il male che più chiede attenzione. Ma ci sono tanti tipi di mali nel mondo, eppure ti colpiscono di meno. Come mai proprio il delitto?
P- È una paura infantile questa che io cerco nel delitto.
dp n="20" folio="20" ? D- Un po’ come l’assassino che torna sui suoi passi, lì dove in fondo sente che ha inferto una ferita a se stesso... tu ti senti tentata morbosamente o forse disperatamente da quelle paure che ti hanno colpito da bambina, possiamo dire così?
P- Non è soltanto l’assassino che torna sul luogo del delitto, ma anche la vittima che tende a ricercare quei luoghi, quegli odori, quei sapori che hanno segnato il suo passato.
D- E ti interessano tutti e due? sia quello che ha colpito e torna a cercare ossessivamente il luogo in cui ha ucciso, sia quello che è stato colpito e torna a visitare gli spazi fatali?
P- Quando attraverso un parco di notte o quando entro in certi garage scuri e vuoti, penso di trovare là qualcuno che mi aspetta, come mi è successo tante volte da piccola.
D- Chi ti aspettava?
P- Mi aspettavano per stringermi a loro, anche solo per toccarmi, ma la paura era terribile, mi spossava.
D- Tu quindi torni su quei luoghi per provare di nuovo quell’emozione... ma perché ci affezioniamo tanto alle paure di quando eravamo bambini, secondo te?
P- Io sono in sostanza non direi ripetitiva, comunque di una famiglia di piccoli ossessivi sì, e direi che l’ossessivo è affezionato al noto, si disinteressa dell’ignoto che rimane estraneo... è diverso dallo spavento costruito ad arte, non so, non potrei vedere mai delle persone colpite, la violenza, i corpi feriti, straziati, il sangue, non mi incuriosiscono, anzi sarei subito lì a buttarmi per difendere chi viene colpito.
D- Vuoi dire che l’immaginazione che torna sul luogo del delitto è come la famosa lingua che batte sul dente che duole? un desiderio non del corpo ma della memoria interna più profonda che però si fa scudo del corpo?
P- Forse nasce dall’idea di poter dare all’essere umano qualche briciolo di onnipotenza... be’, detto così è pericoloso perché tu pensi: allora ami l’assassino se ritieni che sia onnipotente e tu onnipotente vorresti essere per non morire... insomma prima o poi, questione di tempo, uccideresti... ma non è così. A parte che io sono una persona assolutamente non furibonda, non collerica e là dove casomai avvengono rabbie o cose simili, normali per tutti, io mi ritiro, scappo... mi va benissimo uccidere, ma sul palcoscenico... Ho un interesse profondo, quello di vedere se veramente si possono fare i conti con la morte e per ora i conti li hanno fatti solo quelli che si sono appropriati delle vite, ecco.
D- Hai paura dell’assassino che si nasconde nel buio, però nello stesso tempo vai cercando quel buio. In questo teatro della mente in cui si agitano tante ombre, alla fine chi vince? chi colpisce o chi è colpito?
P- Mi sento più vicina alla vittima, anche se mi identifico un poco con l’assassino.
D- È una prospettiva dinamica, ma forse anche un poco grottesca. Ci vuole il senso del grottesco per stare contemporaneamente da una parte e dall’altra.
P- Quando salgo in ascensore – è un ascensore a vetri e si vedono le scale – penso: se lo incontro sugli scalini che sta per raggiungermi... mi devo tenere pronta sullo zero, per tornare subito giù.
D- Ma davvero ogni volta che entri in casa tua pensi che qualcuno potrebbe seguirti e ucciderti?
P- La mia casa sta nel centro di Roma, i rumori io li sento poco perché il mio appartamento è all’ultimo piano, a volte apro le finestre perché penso: i bar stanno aperti fino a tardi, ci sarà pure qualcuno che mi sente se grido. Ho speso molto negli anni facendo costruire delle porte di ferro blindate, poi naturalmente dopo un po’ di tempo non mi sono più piaciute, mi sembravano un po’ baresche e così le ho fatte togliere... Per chiamare quelli degli allarmi con i sensori e per capire come funzionano ci ho messo cento anni...
D- Perché non riesci a utilizzare gli allarmi?
P- Ti racconto di quella volta: erano tre o quattro persone, si esprimevano dandomi delle indicazioni: lei ora attraversi la cucina... driinn... sente? così vuol dire che c’è l’allarme inserito... ora cammini qui, driin, sente, che scatta l’allarme? se passa davanti alla spia scatta da sola... Erano molto bravi, molto pazienti nella loro spiegazione, così precisi che ho cominciato a trovarli terribili... Ho speso tanti soldi e non ho usato mai quell’allarme, ho finito per ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Piera e gli assassini