Maledizione
eBook - ePub

Maledizione

  1. 300 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Per gli amanti della suspense, Preston e Child mescolano abilmente l'accuratezza scientifica e il brivido del genere horror. L'archeologa Nora Kelly scopre nel vecchio ranch di famiglia una lettera in cui il padre, prima di morire, le rivela la posizione di Quivira, la mitica città dell'oro degli indiani Anasazi. Nora organizza una spedizione di scienziati e giornalisti nel deserto dello Utah, tra i meandri dei canyon inaccessibili che sovrastano il fiume Colorado. Ma mille occhi sembrano spiare la carovana, che arriva alla meta tra presenze sospette e morti misteriose. Nel cuore di quelle rocce millenarie, giacciono tesori incredibili, una scoperta archeologica di rilevanza mondiale, sulla quale aleggia però un implacabile soffio di morte. Nora troverà le risposte alle sue più grandi speranze, ma anche ai suoi peggiori incubi.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817024648
eBook ISBN
9788858623558

Maledizione

Dedica

Lincoln Child dedica questo libro alla figlia Veronica e alla Compagnia dei nove.

Douglas Preston lo dedica a Stuart Woods.

RINGRAZIAMENTI

Lincoln Child. Desidero ringraziare Bruce Swanson, il dottore in medicina Bry Benjamin, il dottore in medicina Lee Suckno, Irene Soderlund, Mary Ellen Mix, Bob Wincott, Sergio e Mila Nepomuceno, Jim Cush, Chris Yango, Jim Jenkins, Mark Mendel, Juliette Kvernland, Hartley Clark e Dennis Kelly per l’amicizia dimostrata e per il loro aiuto, tecnico e non. Un grazie anche a mia moglie Luchie per l’amore e l’immenso sostegno. Infine un ringraziamento particolare va a mia nonna Nora Kubie, mia principale ispiratrice. Artista, scrittrice, archeologa e spirito indipendente, biografa di Austen Henry Layard, al quale si devono gli scavi di Nineveh, mi ha trasmesso la passione per la scrittura e l’archeologia fin dalla tenera età. Ha partecipato a spedizioni in luoghi lontani come Masada e Camelot, e nel vicino New Hampshire. Nonostante sia morta ormai da dieci anni, è sempre nei miei pensieri.
Douglas Preston. Vorrei ringraziare le seguenti persone: Walter Winings Nelson, compagno di lunghe cavalcate attraverso deserti, canyon e montagne in cerca delle Sette città dell’oro, Larry Burke, capitano dell’Emerald Sun, per aver guidato una memorabile spedizione nel lago Powell, Forrest Fenn, che ha trovato la sua città abbandonata, la fondazione Cottonwood Gulch del New Mexico e infine Tim Maxwell, direttore del reparto di studi archeologici del museo del New Mexico. Un grazie anche a mia moglie Christine e ai miei figli Selene, Aletheia e Isaac, e alle due persone che non ringrazierò mai abbastanza, i miei genitori Dorothy e Jerome Preston.
Entrambi desideriamo ringraziare Ron Blom e Diane Evans del Jet Propulsion Laboratory della NASA per l’articolo con cui Douglas Preston ha potuto spiegare l’utilizzo del radar satellitare per l’individuazione di antiche piste, e ci scusiamo per aver creato il personaggio immaginario di Leland Watkins. Né lui né Peter Holroyd lavorano, o hanno mai lavorato, per il JPL. Esprimiamo la nostra gratitudine anche a Farouk El-Baz, direttore del Centro per il telerilevamento dell’università di Boston, per l’aiuto con gli aspetti tecnici del telerilevamento della terra dallo spazio. Grazie anche a Juris Zarins, l’archeologo che ha scoperto l’antica città di Ubar, in Arabia Saudita.
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Siamo inoltre profondamente grati a Bonnie Mauer per aver letto il manoscritto, non una, ma varie volte e per averci guidati con i suoi preziosi consigli. Un grazie anche a Eric Simonoff, Lynn Nesbit e Matthew Snyder per la collaborazione costante, gli spunti e l’incoraggiamento. Un ringraziamento particolare va a Mort Janklow per aver condiviso con noi uno straordinario aneddoto personale, molto commovente, a cui la nostra storia si ricollega. E a Clifford Irving per i suoi suggerimenti, come pure a Kim Gattone, per averci pazientemente aiutato con alcuni aspetti dell’arrampicata su roccia. Vorremmo infine ringraziare Betsy Mitchell, Jaime Levine, Jimmy Franco, Maureen Egen e Larry Kirschbaum, della casa editrice Warner, per aver creduto in noi. Un grazie anche a Debi Elfenbein.
Ci affrettiamo ad aggiungere che gli eventuali torti commessi nel nome dell’antropologia o dell’archeologia, presenti fra le pagine di Maledizione, sono del tutto immaginari ed esistono soltanto nella fantasia degli autori.

1

All’uscita di Santa Fe la strada asfaltata di fresco curvava verso ovest tra due file di pini. Un sole ambrato scompariva dietro un drappeggio di nuvole sporche sulle cime innevate delle Jemez Mountains, stendendo una coltre d’ombra sul paesaggio. Al volante del suo traballante pickup Ford, Nora Kelly seguiva la strada tra colline ricoperte di cespugli di chamisa e torrenti in secca. Era la terza volta che si spingeva fin là in tre mesi.
Superò il Buckman’s Wash, e quando giunse alle distese erbose dette Jackrabbit Flats, o a quel che restava di esse, notò uno scintillante arco di luce dietro i pini. Il getto regolare e costante di un irrigatore balenò contro il sole mentre il furgone sfrecciava fra i campi verdi e ben curati. Più in là, su un’altura, si ergeva la massiccia struttura in finto adobe del nuovo Fox Run Club. Nora distolse lo sguardo.
Con un rumore assordante il furgone passò sulla griglia per il bestiame al limitare del Fox Run, dove la strada si faceva dissestata. Superò un gruppo di vecchie cassette per le lettere e un rozzo cartello battuto dal vento, con la scritta RANCHO DE LAS CABRILLAS. Per un attimo il ricordo di un giorno d’estate di vent’anni prima le attraversò la mente; si rivide lì, in piedi nel sole, con un secchio in mano, che aiutava il padre a verniciare il cartello. Lui le spiegava che in spagnolo cabrillas significa pulci d’acqua, ma che è anche il nome della costellazione delle Pleiadi, perché somigliano proprio ai piccoli insetti che sfrecciano sulla superficie liscia degli stagni. "Al diavolo il bestiame", si ricordava di averlo sentito esclamare mentre abbozzava le grosse lettere con la vernice. "Io questo posto l’ho comprato per le stelle."
La strada si curvava per poi inerpicarsi su una altura. Nora rallentò. Il sole era ormai scomparso, e la luce stava rapidamente abbandonando l’alto cielo del deserto. Lì, su un’ampia distesa erbosa, c’era la vecchia casa con le finestre serrate da assi di legno e, poco lontano, il granaio e i recinti per il bestiame ormai abbattuti. Era quanto restava del ranch dei Kelly. Da cinque anni non ci viveva più nessuno, ma non era una gran perdita, pensò Nora. La casa era un prefabbricato della metà degli anni Cinquanta, che già cadeva a pezzi quando lei era bambina. Il padre aveva speso tutto per la terra.
Si spinse fino al ciglio della strada ai piedi della collina e lanciò uno sguardo al vicino letto del torrente in secca. Qualcuno vi aveva scaricato di nascosto un’enorme quantità di mattoni rotti. Forse suo fratello non aveva tutti i torti a voler vendere. Le tasse aumentavano e la casa non era più recuperabile. Perché si ostinava a volerla tenere? Non poteva permettersi di costruirne una nuova, perlomeno non con lo stipendio di ricercatrice all’università.
Cinquecento metri più in là brillavano le luci della casa dei Gonzales. Quella sì che era una fattoria che funzionava, non come il loro piccolo ranch, che il padre aveva sempre gestito quasi per hobby. Teresa Gonzales, una ragazza che era cresciuta con lei, mandava avanti quel posto da sola. Era una donna imponente, in gamba e coraggiosa. Di recente si era presa l’incarico di badare anche al ranch dei Kelly. Ogni volta che i ragazzini andavano a farci baldoria o che qualche cacciatore ubriaco decideva di mettersi a sparare per divertimento, Teresa li metteva in fuga e lasciava un messaggio nella segreteria telefonica di Nora. Questa volta, per tre o quattro sere di seguito, subito dopo il tramonto, aveva visto dei tenui bagliori nei pressi e all’interno della casa, e quelli che sembravano dei grossi animali aggirarsi furtivi nei dintorni.
Nora esitò qualche minuto in attesa di un segno di vita, ma il ranch era silenzioso e deserto. Forse Teresa aveva solo creduto di vedere delle luci. Di chiunque o di qualunque cosa si trattasse, sembrava essere sparita.
Oltrepassò con cautela il secondo cancello, percorse gli ultimi duecento metri, parcheggiò il furgone e spense il motore. Dopo aver estratto una torcia dal vano portaoggetti, s’incamminò con calma sul terreno polveroso. La porta d’ingresso era aperta, appena sostenuta da un unico cardine e priva della serratura, forzata tempo addietro. Dall’aia si levò una folata di vento che alzò la polvere e fece cigolare la porta.
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Accese la torcia e si avvicinò all’ingresso, scostando con una spinta la porta che ritornò con ostinazione al suo posto. Infastidita, le sferrò un calcio, e la fece cadere sul pavimento della veranda con uno schianto che squarciò il silenzio. Entrò nella casa.
Le finestre serrate le impedivano di vedere, ma Nora conservava immutato il ricordo del luogo in cui era cresciuta. Il pavimento era disseminato di vetri rotti e di bottiglie di birra, e qualcuno aveva imbrattato il muro scrivendo slogan con una bomboletta. Alcune delle assi che bloccavano le finestre erano state rimosse, la moquette era sollevata in più punti, i cuscini del divano squarciati e l’imbottitura sparsa per la stanza. Su un’altra parete erano visibili alcuni buchi provocati da calci e da una generosa dose di pallini provenienti da una calibro 22.
Forse non era neppure peggio dell’ultima volta. I tagli sui cuscini erano nuovi, come anche i buchi nel muro, ma ricordava il resto dalla visita precedente. L’avvocato l’aveva messa in guardia: tenere la casa in quello stato era una responsabilità. Se mai un ispettore si fosse spinto fin lì, l’avrebbe immediatamente confiscata. Il problema era che non aveva i soldi sufficienti per la demolizione. L’unica soluzione era venderla.
Dal soggiorno passò alla cucina. Il raggio della torcia illuminò il vecchio frigorifero, ancora riverso al suolo. Alcuni cassetti erano stati rimossi di recente e sparpagliati qua e là nella stanza. Il linoleum si era gonfiato in più punti e qualcuno aveva pensato bene di staccarne qualche striscia e persino di sollevare le assi del pavimento, tanto che si intravedeva la zona sottostante. Dura la vita per i vandali, rifletté Nora. Mentre perlustrava la stanza, un pensiero cominciò a ronzarle in testa. Stavolta c’era qualcosa di diverso.
Uscì dalla cucina e si avviò su per le scale, facendosi largo fra le imbottiture del divano e tentando di concentrarsi. Cuscini a pezzi, buchi nella parete, moquette e linoleum strappati. Quelle nuove azioni di vandalismo non sembravano del tutto casuali, come in passato. Era come se qualcuno avesse cercato qualcosa. Prima di arrivare in cima alle scale si fermò credendo di aver sentito un rumore di vetri calpestati.
Rimase ad aspettare, immobile nella luce fioca. Non udì altri rumori, a parte il flebile sussurro del vento. Se fosse arrivata un’auto l’avrebbe di certo sentita. Continuò a salire.
Al piano superiore le assi alle finestre erano tutte al loro posto e il buio era quasi totale. Sul pianerottolo girò a destra e indirizzò la torcia verso la sua vecchia stanza da letto. Avvertì una nuova fitta di nostalgia quando lo sguardo si posò sulla carta da parati rosa, ormai staccata e scolorita come una vecchia mappa. Il materasso era diventato un rifugio per i topi, il leggio su cui posava gli spartiti quando suonava l’oboe era rotto e arrugginito, e le assi del pavimento erano divelte. Sentì lo squittio di un pipistrello sopra la testa e le tornò in mente quando, da bambina, la madre l’aveva scoperta mentre cercava di addomesticarne uno; non era mai riuscita a spiegarsi l’infantile passione della figlia per quelle creature.
Si affacciò alla stanza del fratello subito di fronte, anche quella in rovina. Non è poi così diversa dal posto in cui vive ora. Oltre all’odore di stantio le sembrò di sentire nell’aria notturna un profumo impalpabile di fiori schiacciati. Strano, quassù le finestre sono tutte sbarrate. Percorse il corridoio verso la stanza dei genitori.
Questa volta non ebbe dubbi: dal piano di sotto giungeva un debole scricchiolio di vetri rotti. Nora si fermò di nuovo. Con tutta probabilità si trattava di un topo che scorrazzava per il soggiorno.
Ritornò in silenzio sul pianerottolo e restò in attesa. Un altro rumore, come un tonfo sordo. Rimase ad aspettare nell’oscurità e sentì un altro scricchiolio, questa volta più acuto, come di vetri rotti calpestati da qualcosa di pesante.
Nora inspirò, con i muscoli tesi che le comprimevano il torace. Quella che era iniziata come una noiosa perlustrazione si stava trasformando in qualcosa di decisamente diverso.
"Chi è là?" gridò.
Le rispose soltanto il vento.
Puntò il raggio della torcia verso le scale deserte. Di solito i ragazzini se la davano a gambe alla sola vista del furgone, ma questa volta non fu così.
"Questa è proprietà privata! " urlò con voce ferma. "E la state violando. Vi avverto che sta per arrivare la polizia."
Nel silenzio che seguì giunse un altro rumore di passi, più vicino alla tromba delle scale.
"Teresa?" chiamò Nora, con le ultime briciole di speranza.
Subito dopo sentì qualcos’altro: un suono gutturale, minaccioso, come una sorta di ringhio.
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Cani, pensò con improvviso sollievo. In giro c’erano cani randagi che di certo usavano la casa come rifugio. Non si domandò come mai quel pensiero la confortasse.
"Via!" gridò agitando la torcia. "Fuori di qui! Sciò!"
Ancora una volta sentì solo silenzio.
Nora sapeva come comportarsi con i cani randagi. Scese le scale facendo rumore e parlando a voce alta, con tono fermo. Una volta in basso, perlustrò il soggiorno con la luce della torcia.
Era vuoto. I cani dovevano essere fuggiti sentendola arrivare.
Respirò profondamente. Non aveva ancora ispezionato la camera dei genitori, ma decise che era ora di andarsene.
Mentre si avvicinava alla porta, avvertì un passo guardingo e poi un altro ancora. Passi minacciosi, calcolati e lenti.
Spostò la luce nella direzione da cui provenivano i rumori e sentì un rantolo flebile, un lieve ronzio, cupo e monotono. Nell’aria pesante aleggiava un profumo di fiori, questa volta più intenso.
Nora rimase immobile, paralizzata dalla nuova sensazione di minaccia, domandandosi se fosse il caso di spegnere la torcia e nascondersi, oppure di fuggire senza pensarci troppo.
In quel momento vide con la coda dell’occhio un’enorme sagoma ricoperta di pelliccia correre lungo la parete. Si voltò per guardarla ma fu colpita con violenza alla schiena.
Cadde scomposta, avvertendo il contatto del pelo ispido sulla nuca e un grugnito ossessivo, come di cani da caccia che combattono e schiumano rabbiosi. Presa dal panico sferrò un calcio alla figura che ringhiò e allentò la presa tanto da permetterle di liberarsi. Non appena si rialzò, una seconda figura le piombò addosso, scaraventandola a terra col peso del suo corpo. Nora tentò di divincolarsi da quella sagoma nera che la immobilizzava, mentre le schegge di vetro le si conficcavano nella pelle. Intravide una pancia nuda coperta di chiazze dai colori accesi, strisce di pelle di giaguaro, un insieme di artigli e peli, un addome umido e peloso... circondato da una cintura di conchiglie argentate. Due occhi stretti e spaventosi di colore rosso vivo la fissavano attraverso le luride fessure di una maschera di pelle.
"Dov’è?" chiese una voce stridula, inondandola di un disgustoso tanfo dolciastro di carne putrefatta.
Nora non riusciva a parlare.
"Dov’è?" ripeté la voce, aspra, imperfetta, come di una bestia che scimmiotta il linguaggio degli uomini. Zampe feroci le afferrarono con violenza il collo e il braccio destro.
"Cosa..." rantolò Nora.
"La lettera", spiegò l’essere serrando la presa. "Altrimenti ti stacco la testa."
Nora si dibatté in una lotta convulsa, ma la morsa al collo si fece più forte. Il dolore e la paura le impedivano di respirare.
All’improvviso le tenebre furono squarciate da un raggio di luce e da un’esplosione assordante. Nora sentì la presa allentarsi e dimenandosi freneticamente riuscì a liberarsi. Si allontanò rotolando mentre una seconda esplosi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Maledizione
  4. Nota degli autori