Relic (versione italiana)
eBook - ePub

Relic (versione italiana)

Serie di Pendergast vol. 1

  1. 400 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Relic (versione italiana)

Serie di Pendergast vol. 1

Informazioni su questo libro

New York, Museo di Storia naturale: durante l'allestimento di una importante mostra, alcuni visitatori vengono uccisi barbaramente nei bui corridoi dell'edificio. A nulla vale il presidio di ogni sala da parte di polizia e FBI: all'approssimarsi dell'inaugurazione, nuove inquietanti sparizioni turbano i lavori. La serie di omicidi è in realtà cominciata molto tempo prima, ma è sempre stata coperta per difendere l'immagine dell'istituzione. Le indagini degli agenti, tra cui il brillante Aloysius Pendergast, riconducono a una spedizione effettuata anni prima nella foresta amazzonica. Che cosa avevano scoperto i ricercatori del Museo? E chi - o che cosa - si nasconde nei suoi sotterranei?

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Informazioni

PARTE TERZA

COLUI-CHE-CAMMINA A-QUATTRO-ZAMPE

42

Pochi minuti prima delle sette, davanti all’entrata occidentale del museo c’era un ingorgo di taxi e limousine. Gli occupanti elegantemente vestiti ne emergevano con cautela, gli uomini in smoking quasi identici, le donne in pelliccia. Gli ombrelli roteavano mentre gli invitati correvano sul tappeto rosso verso la pensilina dell’ingresso, cercando di schivare la pioggia battente che già correva a fiumi sui marciapiedi e turbinava attorno agli scarichi delle fogne.
All’interno, la Grande Rotonda, avvezza al silenzio in quell’ora tarda, risuonava dei passi di migliaia di scarpe costose che ne percorrevano il pavimento marmoreo, tra file di palmizi che portavano al Planetario. Lì, chioschi di bambù torreggiavano tra festoni di luci violette. Mazzi di orchidee pendule erano stati fissati ad arte ai bambù, con l’intento di ricreare l’effetto visivo di un giardino pensile tropicale.
In qualche punto lontano, una banda invisibile intonò New York, New York. Un esercito di camerieri in cravattino bianco s’insinuava abilmente in mezzo alla calca portando grandi vassoi carichi di coppe di champagne e di stuzzichini. La fiumana degli invitati in arrivo si univa alle schiere di scienziati e funzionari del museo che già pascolavano attorno ai tavoli del buffet. I faretti azzurrognoli catturavano lo scintillio dei lunghi abiti da sera ricoperti di strass, dei fili di diamanti, dei gemelli d’oro, dei diademi.
Con l’approssimarsi del buio, l’inaugurazione della mostra Superstizione era diventata l’evento cui non si poteva mancare, per il bel mondo di New York. Balli di società e cene di beneficenza erano passati in secondo piano di fronte alla possibilità di assistere di persona a quella kermesse. Ai tremila inviti spediti avevano risposto cinquemila persone.
Smithback, indossando un brutto smoking con almeno due cose sbagliate – i risvolti a punta e la camicia increspata –, scrutò il Planetario in cerca di qualche viso familiare. In fondo alla sala era stato innalzato un gigantesco palco. Su un lato c’era l’ingresso alla mostra elaboratamente decorato, ancora chiuso e sorvegliato. Un’ampia piattaforma per il ballo allestita al centro della sala già si andava popolando di coppie. Una volta entrato, il giornalista si ritrovò subito frastornato dalle conversazioni in corso, tutte in tono spiacevolmente sostenuto.
"... quella nuova psicostorica, Grant? Be’, ieri si è infine decisa a vuotare il sacco, dicendomi a che cosa sta lavorando. Pensa: sta cercando di dimostrare che le peregrinazioni di Enrico IV dopo la seconda crociata furono semplicemente una fuga dovuta al suo stato di stress. Non so cosa mi ha trattenuto dal dirle..."
"... venuto fuori con l’idea ridicola che le terme di Stabia erano delle grandi scuderie! Ti rendi conto che non è mai stato a Pompei? Non distinguerebbe la Villa dei Misteri da una pizzeria. E ha la faccia tosta di definirsi papirologo..."
"... quella mia nuova assistente? Sì, quella col nasone. Be’, ieri era vicino all’autoclave, ha preso una provetta piena di..."
Il giornalista trasse un profondo respiro e si tuffò, aprendosi un varco, verso il buffet. Sarà un cosa grandiosa, pensò.


Fuori dell’ingresso principale della Grande Rotonda, D’Agosta vide scattare i flash dei fotografi a raffica, mentre un altro VIP varcava la soglia: un bel giovane allampanato con un’emaciata ragazza appesa a ogni braccio.
Da lì il tenente poteva tenere d’occhio i metal-detector, la gente che entrava e la folla che si accalcava all’unico ingresso. Il pavimento della Rotonda era scivoloso di pioggia, e il guardaroba si andava colmando di ombrelli. In un angolo lontano, l’FBI aveva installato la sua "postazione avanzata": Coffey aveva preteso un punto d’osservazione da cui controllare lo svolgimento della serata. D’Agosta non poté fare a meno di ridere. Avevano tentato di mimetizzarla, ma il reticolo di fili elettrici e telefonici, di cavi e fibre ottiche che si allargavano dalla postazione come i tentacoli di un polpo facevano sì che fingere di non vederla fosse come pretendere di ignorare qualcuno con una brutta sbronza.
Ci fu un rombo di tuono. Le cime degli alberi sulla passeggiata lungo l’Hudson River, le foglie ancora in boccio, furono sbatacchiate in modo selvaggio dal vento.
La radio di D’Agosta crepitò.
"Tenente, abbiamo un altro problema qui al metal-detector."
D’Agosta sentiva in sottofondo una vocina stridula. "Lei non sa chi sono io!"
"Ditele di spostarsi. Dobbiamo far muovere quella gente. Se non vogliono passare il controllo, fateli uscire dalla coda. Non devono intralciare l’accesso."
Mentre riponeva la radio nella fondina, arrivò Coffey, seguito dal responsabile della sicurezza del museo. "Rapporto", disse bruscamente.
"Tutti al loro posto", rispose D’Agosta, togliendosi di bocca il sigaro e osservandone l’estremità molliccia e bagnata. "Quattro agenti in borghese al party. Quattro poliziotti in divisa pattugliano il perimetro con i tuoi uomini. Cinque controllano il traffico all’esterno, altri cinque sono al metal-detector e all’ingresso. Ho messo poliziotti in divisa anche nel Planetario. Due di loro mi seguiranno nella mostra quando verrà tagliato il nastro. Ho un agente nella Sala Computer, un altro nel Comando Sicurezza..."
Coffey stralunò gli occhi. "Gli uomini in divisa che entrano nella mostra con la gente non facevano parte del piano."
"Soltanto una formalità. Voglio essere vicino alla testa della folla, quando entrano. Se ben ricordi, non mi hai permesso di fare un’ispezione preventiva."
L’agente federale sospirò. "Fa’ come credi, ma non voglio un fottuto servizio di scorta. Tenetevi da parte, non intralciate l’accesso alle vetrine. Okay?"
ll poliziotto annuì.
Coffey si rivolse a Ippolito. "E lei?"
"Be’, signore, tutti i miei uomini sono in posizione. Esattamente dove li voleva lei."
"Bene. La mia base sarà qui nella Rotonda, durante la cerimonia. Dopo, andrò in giro anch’io. Nel frattempo, Ippolito, la voglio vicino al palco con D’Agosta. Tenete d’occhio il direttore e il sindaco. Conoscete la routine. D’Agosta, tu sei pregato di startene tranquillo. Niente spacconate: non rovinare il tuo ultimo giorno. Intesi?"


A Waters, nella fredda Sala Computer illuminata dalle luci al neon, doleva la spalla per il peso del fucile. Di sicuro era il più brutto incarico che gli avessero mai affidato. Guardò il segaiolo – non riusciva a dargli altro nome – che pestava sui tasti. Pestava, pestava, per ore non aveva fatto altro che pestare. E bere Coca-Cola dietetica. Il poliziotto scosse la testa. Per prima cosa, l’indomani mattina, avrebbe chiesto a D’Agosta la rotazione. Stava diventando matto, lì.
Il segaiolo si massaggiò il collo e si stirò.
"Lunga la giornata, eh?" disse a Waters.
"Eh, sì."
"Sono quasi cotto. Non immagini cosa riesce a fare questo programma."
"Ci credo", borbottò l’agente senza entusiasmo. Guardò l’orologio. Altre tre ore prima del cambio.
"Guarda qui." Il segaiolo schiacciò un tasto. Waters si avvicinò un po’ di più allo schermo. Osservò. Niente, soltanto file di lettere: quei ghirigori che probabilmente il segaiolo chiamava "programma".
Poi, sullo schermo apparve l’immagine di uno scarafaggio. Da principio era fermo. Dopo poco allungò le zampe verdognole e cominciò a camminare in mezzo alle lettere. Allora sul monitor comparve un altro scarafaggio. I due insetti si guatarono e si avvicinarono. Poi si misero a scopare.
Waters guardò il segaiolo. "Che roba è?" domandò.
"Continua a guardare."
Di lì a poco, erano nati quattro scarafaggini, che si misero a loro volta a scopare. In poco tempo, lo schermo era pieno di scarafaggi. Allora gli insetti cominciarono a mangiare le lettere sullo schermo. In un paio di minuti, tutte le parole erano sparite: soltanto scarafaggi che vagavano in ogni senso. Poi gli insetti cominciarono a mangiarsi a vicenda. Dopo un po’, non restava più nulla: soltanto lo schermo vuoto.
"Divertente, no?" domandò il segaiolo.
"Sì", disse Waters. Fece una pausa. "Ma cosa fa, precisamente, questo programma?"
"È solo..." Sembrava un po’ imbarazzato. "Solo un passatempo. Non fa niente."
"Quanto ci hai messo a prepararlo?" domandò l’agente.
"Due settimane", rispose l’altro con orgoglio, succhiando aria attraverso i denti. "A tempo perso, naturalmente."
Il tecnico tornò alla tastiera e il ticchettio ricominciò. Waters si rilassò, appoggiandosi alla parete accanto alla porta della Sala Computer. Sentiva il suono flebile dell’orchestrina sopra la testa, il rullo dei tamburi, le vibrazioni dei bassi, lo gnaulio dei sassofoni. Gli pareva anche di sentire lo scalpiccio di migliaia di piedi strascicati. E lui era lì, intrappolato in quella gabbia di matti con la sola compagnia di un segaiolo che pestava sui tasti. I momenti più eccitanti erano quelli in cui il tipo si alzava per prendersi un’altra Coca dietetica.
In quel momento, Waters udì un rumore nella Sala Elettricità.
"Hai sentito?" domandò.
"No", disse il segaiolo.
Un altro lungo silenzio. Poi, un tonfo deciso.
"Cosa diavolo è?" chiese ancora Waters.
"Non saprei", rispose l’altro. Smise di digitare e si guardò attorno. "Forse dovresti dare un’occhiata."
L’agente portò la mano sul calcio liscio del fucile e guardò la porta che dava nella stanza accanto. Probabilmente niente. L’ultima volta, con D’Agosta, non c’era niente. Doveva soltanto entrare e dare una sbirciata. Naturalmente, poteva chiamare il Comando Sicurezza e chiedere rinforzi. Era proprio nel corridoio. Il suo partner, Garcia, probabilmente era là...
Il sudore gli colava sulle sopracciglia. Istintivamente, alzò una mano per asciugarlo. Ma non fece un passo verso la Sala Elettricità.

43

Quando Margo svoltò l’angolo per entrare nella Grande Rotonda, vide una scena da pandemonio: gente che agitava ombrelli zuppi, chiacchierava in capannelli e folti gruppi, aggiungeva il proprio baccano al frastuono del ricevimento. Spinse Frock fino al cordone di velluto teso accanto al metal-detector sorvegliato da un poliziotto in divisa. Oltre quello, il Planetario era inondato di luce gialla. Un enorme lampadario appeso al soffitto spandeva in ogni dove iridi sfavillanti.
Mostrarono i tesserini del museo al poliziotto, che sganciò prontamente la corda e li lasciò entrare, perquisendo prima la borsa di Margo. Mentre la ragazza passava, l’agente le lanciò un sorriso divertito. Allora lei abbassò gli occhi e capì: aveva ancora indosso i jeans e la maglietta.
"Presto", disse Frock. "Lassù, al leggio."
Il leggio e il podio erano in fondo alla sala, accanto all’ingresso della mostra. Le porte di legno scolpito erano chiuse con una catena; sopra di esse, un arco di lettere che imitavano rozzamente delle ossa formava la parola Superstizione. Ai lati c’erano stele lignee, simili a immensi pali totemici o a colonne di un tempio pagano. Margo vedeva Wright, Cuthbert e il sindaco assieme sul palco, che scherzavano e chiacchieravano, mentre un gruppetto di tecnici armeggiava con i microfoni. Dietro di loro, Ippolito stava in mezzo a un branco di amministratori e di assistenti: parlava nella radio e gesticolava esagitato in direzione di qualcuno che non si vedeva. Il rumore era assordante.
"Scusate!" gridò Frock. Con riluttanza, la gente si fece da parte.
"Guarda qui quanta gente", disse poi, rivolto a Margo. "Il livello di feromone in questa stanza dev’essere astronomico. Sarà irresistibile per la bestia! Dobbiamo fermarli subito." Additò un punto. "Guarda... c’è Gregory!" Agitò la mano verso Kawakita, fermo ai bordi della piattaforma da ballo, un bicchiere in mano.
Il vicecuratore si fece strada verso di loro. "Eccola, finalmente, dottor Frock. La stavano cercando. La cerimonia sta per cominciare."
Il professore afferrò e strinse il braccio di Kawakita. "Gregory!" urlò. "Devi aiutarci! Questo party dev’essere interrotto, e il museo va evacuato, subito!"
"Come?" domandò Kawakita. "È uno scherzo o cosa?" Interrogò con gli occhi Margo, poi tornò a guardare Frock.
"Greg", disse la ragazza, sovrastando il baccano, "abbiamo scoperto cos’è che uccide la gente. Non si tratta di un essere umano. È una creatura, una bestia. Una cosa mai vista prima. Il tuo programma di estrapolazione ci ha aiutati a identificarla. Si nutre delle fibre da imballaggio delle casse di Whittlesey, Se non può avere quelle, deve ricorrere agli ormoni dell’ipofisi umana come sostituto. Riteniamo che debba avere un regolare..."
"Ehi! Un momento. Margo, che cosa stai dicendo?"
"Maledizione, Gregory!" tuonò il professore. "Non abbiamo i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dedica
  4. Ringraziamenti
  5. INTRODUZIONE
  6. PARTE PRIMA - MUSEO DI STORIA INNATURALE
  7. PARTE SECONDA - SUPERSTIZIONE
  8. PARTE TERZA - COLUI-CHE-CAMMINA A-QUATTRO-ZAMPE
  9. EPILOGO