Varietà di disagio
Un uomo del suo passato
Credo che mia madre stia flirtando con un uomo del suo passato che non è mio padre. Mi dico: mia madre non dovrebbe avere rapporti sconvenienti con questo «Franz»! «Franz» è un europeo. Io dico che non dovrebbe vedere quest’uomo mentre mio padre è via! Ma sto confondendo una vecchia realtà con una nuova realtà : mio padre non tornerà a casa. Rimarrà a Vernon Hall. Quanto a mia madre, ha novantaquattro anni. Come si possono avere rapporti sconvenienti con una donna di novantaquattro anni? Eppure la mia confusione deve venire da questo: il suo corpo è vecchio, sì, ma la sua capacità di tradire è ancora giovane e fresca.
Io e il cane
Anche una formica può alzare lo sguardo e fissarti, e persino minacciarti con le zampette. Ovviamente il mio cane non sa che io sono umana, mi vede come un cane, anche se io non mi metto a saltare davanti agli steccati. Sono un cane forte, io. Ma non me ne vado in giro con la bocca spalancata. Persino nelle giornate afose, non lascio penzolare la lingua. Però gli abbaio: «No! No!».
Illuminata
Non so se posso continuare a esserle amica. Ci ho pensato e ripensato, non saprà mai quanto. Ho fatto un ultimo tentativo. Le ho telefonato, dopo un anno. Ma non mi è piaciuto com’è andata la conversazione. Il problema è che lei non è molto illuminata. O meglio, non è abbastanza illuminata per me. Ha quasi cinquant’anni e a quel che vedo non è più illuminata di quando l’ho conosciuta vent’anni fa, quando parlavamo soprattutto di uomini. Allora non m’importava quant’era illuminata, forse perché io per prima non lo ero molto. Credo di essere più illuminata adesso, di sicuro più di lei, anche se so che non è molto illuminato dirlo. Però ci tengo a dirlo, quindi sono disposta a posticipare la mia illuminazione pur di poter dire ancora una cosa del genere su un’amica.
La gara di buon gusto
Il marito e la moglie si sono sfidati in una gara di buon gusto in cui la giuria era composta da loro coetanei, uomini e donne di buon gusto, fra i quali una disegnatrice di stoffe, un venditore di libri rari, un pasticcere e una bibliotecaria. La giuria ha stabilito che la moglie aveva più gusto per i mobili, specialmente i mobili antichi, e che il marito aveva complessivamente cattivo gusto per l’illuminazione, i servizi da tavola e la cristalleria. La giuria ha stabilito inoltre che la moglie aveva un gusto neutro per le tende, ma che sia il marito sia la moglie avevano buon gusto per i pavimenti, la biancheria da letto, la biancheria da bagno, i grandi elettrodomestici e i piccoli elettrodomestici. Si è ritenuto che il marito avesse buon gusto per i tappeti, ma che avesse un gusto appena accettabile per le tappezzerie. Si è ritenuto che il marito avesse ottimo gusto sia per il cibo che per le bevande alcoliche, mentre la moglie aveva un gusto variabile da buono a pessimo per il cibo. Il marito aveva più gusto della moglie per i vestiti ma un gusto variabile per i profumi e le acque di colonia. La giuria ha stabilito che sia il marito sia la moglie avevano un gusto appena accettabile nella progettazione dei giardini, in compenso però ha stabilito che avevano buon gusto nel numero e nella varietà delle piante sempreverdi. Si è ritenuto che il marito avesse ottimo gusto per le rose ma pessimo per i bulbi e che la moglie avesse più gusto per i bulbi e in generale buon gusto per le piante da ombra, con l’eccezione delle hosta. Il gusto del marito è stato ritenuto buono per i mobili da giardino ma appena accettabile per le fioriere ornamentali. Il gusto della moglie è stato ritenuto invariabilmente pessimo per la statuaria da giardino. Dopo una breve discussione, e in considerazione della superiorità di punteggio, la giuria ha affidato la decisione finale al marito.
Collaborazione con la mosca
L’ho messa io, la parola sulla pagina
ma l’apostrofo l’ha aggiunto lei.
Kafka prepara la cena
Più si avvicina il giorno in cui verrà la mia cara Milena e più mi dispero. Non ho nemmeno cominciato a decidere cosa cucinarle. Non ho nemmeno affrontato il pensiero, ci ho solo volato attorno come una mosca vola attorno a un lume, scottandomici la testa.
Ho il terrore che non mi venga in mente altro da preparare che un’insalata di patate, e per lei non sarebbe una sorpresa. Non devo.
Il pensiero di questa cena mi ha assillato per tutta la settimana, gravandomi addosso allo stesso modo in cui nelle profondità marine non c’è punto che non sia sottoposto a un’immane pressione. Di quando in quando raccolgo tutte le mie energie e lavoro al menu come se mi stessero costringendo a battere un chiodo nella pietra e io fossi al tempo stesso colui che martella e il chiodo. Ma in altri momenti me ne sto qui a leggere, di pomeriggio, con un fiore di mirto all’occhiello, e ci sono brani di tale bellezza nel libro che penso di essere diventato bello anch’io.
Tanto varrebbe starmene seduto nel giardino del manicomio a fissare il vuoto come un idiota. Eppure so che a un certo punto stabilirò un menu, comprerò gli ingredienti e cucinerò. In questo suppongo di essere come una farfalla: il suo volo è così irregolare, fluttua così tanto che è doloroso osservarla, vola seguendo il contrario assoluto di una linea retta eppure riesce a coprire chilometri e chilometri per raggiungere la sua destinazione, quindi dev’essere più efficiente o almeno più determinata di quanto sembri.
Anche torturarmi è patetico, ovvio. In fondo Alessandro non ha torturato il nodo gordiano quando non si scioglieva. Sento che mi sto seppellendo vivo sotto tutti questi pensieri, ma al tempo stesso mi sento obbligato a rimanere immobile, dato che forse, in fondo, sono morto davvero.
Stamattina, per esempio, poco prima di svegliarmi, che poi è stato poco dopo essermi addormentato, ho fatto un sogno che ancora mi assilla: avevo catturato una talpa e la portavo nel campo di luppolo, dove quella si tuffava nella terra come fosse acqua e scompariva. Quando rifletto su questa cena, vorrei scomparire nella terra come quella talpa. Vorrei ficcarmi nel cassetto della biancheria sporca e aprirlo solo ogni tanto per vedere se sono già morto soffocato. Stupisce molto di più che ci si svegli ogni mattina.
So che sarebbe meglio l’insalata di barbabietole. Potrei servirle sia barbabietole che patate, e una fetta di manzo, se ci metto anche la carne. Però con una buona fetta di manzo non è necessario il contorno, la carne si gusta meglio da sola, allora il contorno potrebbe venire prima, nel qual caso non sarebbe un contorno ma un antipasto. Qualsiasi cosa le prepari, forse lei non apprezzerà i miei sforzi culinari, o magari si sentirà un po’ male di suo e poco invogliata alla vista delle barbabietole. Nel primo caso proverei una terribile vergogna e nel secondo non avrei nessun consiglio da darle – come potrei? – ma solo una semplice domanda: preferirebbe che sgomberassi la tavola?
Non che questa cena mi allarmi, non esattamente. In fondo un po’ di immaginazione e di energia ce le ho, quindi forse sarò in grado di preparare una cena di suo gradimento. Ci sono state altre cene passabili da quando preparai quella cena così disastrosa per Felice (anche se forse fu più un bene che un male).
È stato la settimana scorsa che ho invitato Milena. Era con un amico. Ci siamo incrociati per caso per strada e ho parlato senza riflettere. L’uomo che era con lei aveva un viso gentile, amichevole, grasso, un viso molto corretto, come solo un tedesco può averlo. Dopo aver fatto l’invito, ho camminato a lungo per la città quasi fosse un cimitero, tanto mi sentivo in pace.
Poi ho cominciato a tormentarmi, come un fiore in un vaso che viene sbatacchiato dal vento ma non perde neanche un petalo.
Come una lettera piena di correzioni, ho i miei difetti. Tanto per cominciare non sono forte, e mi sembra di ricordare che persino Ercole è svenuto una volta. Tutto il giorno, al lavoro, mi sforzo di non pensare a quel che mi attende, ma mi costa una tale fatica che poi non mi restano più energie per lavorare. Rispondo alle telefonate così male che dopo un po’ l’operatrice si rifiuta di darmi la linea. Farei meglio a dirmi: Avanti, lucida ben bene l’argenteria, disponila sul buffet in modo che sia già pronta e levati il pensiero. Perché me la lucido nella testa tutto il giorno, è questo che mi tormenta (senza peraltro che mi serva a pulirla).
Adoro l’insalata di patate tedesca fatta con delle buone patate vecchie e l’aceto, anche se è così pesante, quasi coercitiva direi, che mi viene la nausea ancor prima di assaggiarla; forse è segno che sto abbracciando una cultura oppressiva e straniera. Se la offro a Milena rischio di mostrarle proprio quella parte grossolana di me che dovrei avere massima cura di risparmiarle, una parte di me che non ha ancora conosciuto. D’altronde un piatto francese, anche se più gradevole, sarebbe meno fedele alla mia natura e questo forse costituirebbe un imperdonabile tradimento.
Sono pieno di buone intenzioni eppure rimango inattivo, proprio come quel giorno l’estate scorsa quando me ne stavo seduto in balcone a guardare uno scarafaggio che si era ribaltato sulla schiena e agitava in aria le zampette, incapace di girarsi. Provai un grande senso di pietà per lui, ma non mi andava di alzarmi dalla sedia per aiutarlo. Smise di muoversi e rimase immobile così a lungo che credevo fosse morto. Poi una lucertola ci passò sopra, ci strisciò sopra e lo rimise dritto; lo scarafaggio si mise a correre su per il muro come se niente fosse accaduto.
Ieri ho comprato la tovaglia da un uomo con un carretto, per strada. Era un omino, quasi un nano, deboluccio, con la barba e un occhio solo. Mi sono fatto prestare le candele da una vicina, o meglio, lei me le ha date.
Dopo cena le offrirò un espresso. Mentre programmo questa cena mi sento un po’ come si sarebbe sentito Napoleone quando pianificava la campagna di Russia se avesse saputo esattamente come sarebbe andata a finire.
Io con Milena ci voglio stare non soltanto ora ma sempre. Perché sono un essere umano? mi domando. Che condizione di estrema vaghezza! Perché non posso essere l’armadio felice in camera sua?
Prima di conoscere la mia cara Milena, la vita mi era insopportabile. Poi è arrivata lei e mi ha fatto vedere che sbagliavo. Certo, il nostro primo incontro non è stato dei più promettenti perché venne sua madre alla porta (e che fronte forte aveva quella donna, con su scritto: «Io sono morta, e disprezzo chiunque non lo sia»). Milena sembrava contenta che fossi andato, ma ancora più contenta quando me ne andai. Quel giorno mi capitò di guardare una cartina della città . Per un attimo mi parve incomprensibile che qualcuno avesse costruito un’intera città quando sarebbe bastata una stanza per lei.
Forse alla fine la cosa più facile sarebbe cucinarle le stesse identiche cose che ho cucinato per Felice, però con più attenzione, in modo che niente vada storto, e senza le lumache o i funghi. Potrei fare persino il Sauerbraten, anche se quando lo preparai per Felice mangiavo ancora la carne. All’epoca non mi toccava il pensiero che pure gli animali hanno il diritto di avere una bella vita e, cosa forse ancora più importante, una bella morte. Adesso non riesco nemmeno a mangiare le lumache. Il padre di mio padre era un macellaio e ho giurato che la quantità di carne che lui ha macellato nella sua vita sarà la stessa che non mangerò io nella mia. È da tanto ormai che non tocco carne, anche se il latte e il burro li mangio, ma per Milena potrei persino rifare il Sauerbraten.
Io di mio non ho mai grande appetito. Sono più magro di quanto dovrei essere, ma lo sono da tanto. Qualche anno fa, per esempio, andavo spesso a remare sulla Moldava con una barchetta. Risalivo il fiume, poi mi stendevo a pancia all’aria sul fondo della barca e mi lasciavo riportare indietro dalla corrente. Una volta un mio amico stava passando su un ponte e mi ha visto di sotto mentre mi lasciavo portare con la barchetta. Sembrava che fosse arrivato il giorno del Giudizio, mi ha detto poi, e si fosse aperta la mia bara. Ma c’è da dire che il mio amico era ingrassato molto all’epoca, era proprio tozzo, e ci capiva poco delle persone magre se non che erano magre. Almeno questo peso che ho sui piedi è davvero mio.
Magari le è pure passata la voglia di venire ormai, non perché sia volubile, ma perché è stanchissima, e si può capire. Se non viene sarebbe sbagliato dire che mi mancherà , perché lei è sempre così presente nella mia immaginazione. Però sarà a un indirizzo diverso e io me ne starò seduto al tavolo della cucina con il viso fra le mani.
Se invece viene sorriderò tantissimo, questo l’ho ereditato da una vecchia zia che aveva anche lei l’abitudine di sorridere incessantemente, anche se, sia io che lei, più per imbarazzo che per buon umore o simpatia. Non riuscirò a spiccicare parola, non mi sentirò nemmeno felice, non ne avrò la forza dopo aver preparato la cena. E se, tenendo in mano una ciotola con dentro la mia sottospecie di prima portata, esiterò a uscire dalla cucina e a entrare in sala da pranzo, e se contemporaneamente lei, percependo il mio imbarazzo, esiterà a uscire dal salotto e a entrare in sala da pranzo dall’altro lato, allora per quel lungo intervallo di tempo quella bella stanza rimarrà vuota.
Ah, be’, c’è chi combatte a Maratona e chi in cucina.
A ogni modo, oramai ho deciso quasi tutto il menu e ho cominciato a prepararlo immaginando la nostra cena in ogni dettaglio, dall’inizio alla fine. Mi ripeto insulsamente questa frase, battendo i denti: «Poi correremo nella foresta». Insulsamente perché qui non c’è nessuna foresta, e comunque di correre non se ne parlerebbe proprio.
Ho fede che verrà , ma ho anche paura, la stessa paura che accompagna sempre la mia fede, la stessa paura che accompagna ogni fede sin dalla notte dei tempi.
Io e Felice non eravamo fidanzati all’epoca di quella cena disastrosa, anche se eravamo stati fidanzati tre anni prima, e ci saremmo fidanzati di nuovo una settimana dopo, di certo non a seguito della cena, a meno che Felice non si sia sentita ulteriormente mossa a compassione dalla futilità dei miei sforzi per prepararle un buon kasha varnishke, frittelle di patate e Sauerbraten. La nostra rottura d’altronde ha più spiegazioni di quante sarebbero necessarie, probabilmente; è ridicolo, ma alcuni esperti sostengono che in questa città persino l’aria potrebbe incoraggiare l’incostanza.
Ero emozionato come lo si è sempre dalle cose nuove. Naturalmente ero anche un po’ impaurito. Pensavo che potesse essere meglio un pasto tradizionale tedesco o ceco, anche se sarebbe stato un po’ pesante a luglio. Rimasi indeciso per un pezzo, persino nei miei sogni. A un certo punto gettai la spugna e pensai di lasciare la città . Poi decisi di rimanere, anche se starmene con le mani in mano sul balcone non meriterebbe il titolo di decisione. Sembro paralizzato dal dubbio in quei momenti, mentre i pensieri mi battono furiosamente nella testa, proprio come una libellula appare sospesa immobile in aria mentre in realtà sta battendo furiosamente le ali nel vento. Alla fine sono saltato su come uno sconosciuto che tira giù dal letto...