NOVELLIERE CAMPAGNUOLO
LA NOSTRA FAMIGLIA DI CAMPAGNA
Dipinture morali
I
II
Ti parrà scandalo sulle prime, o paziente lettore, che del colloquio io mi prenda la parte del leone, e me la tiri innanzi con questo piglio spaventevole, senza una cerimoniuzza d’entratura e senza dar campo alle tue sensate risposte. Ma, Dio buono, ci ho colpa io se la Provvidenza fu cortese agli scrittori di far te un essere collettivo, ed anonimo? Ci ho colpa io del non poterti pigliar sotto braccio ogni dopopranzo a sorbirmi le tue opposizioni, e i dubbi e le novelle, e gli aforismi ed ogni altra mercanzia, di cui, ne sono sicuro, ti scoppia il cervello? E neppure questo torto è tuo: ma alla peggio, se ti pizzica la lingua un troppo molesto prurito di rispondermi, venendo in città, se non ci abiti, al prossimo giovedì, puoi cercare di me che non ebbi nascendo la tua sfuggevole natura; e potrai allora interrogarmi, chiarirmi, ribattermi, aspreggiarmi, persuadermi, assordarmi, confondermi, scomunicarmi a tua posta, prendere insomma la rivincita di quanta noia t’avrò propinato. Intanto stringimi un poco la mano, che me lo devi ad ogni modo; se tiri a letterato, per una lontana parentela, e se conosci l’alfabeto ma non ti ci confondi entro, per quel po’ di compassione dovuta ai tribolati. Che se poi, straniero affatto all’abbicì, le mie parole ti giungono all’orecchio arrotondate, rabbellite dall’ufficio d’un labbro amico, oh come oserai volermi male dopo che avrò dato mano, non foss’altro, coll’opera mia a uno scambio tanto soave di cortesie? In aggiunta, se giovine per simpatia d’età, se adulto per dovere di aiuto, se vecchio per autorità di consigli mi devi sempre un briciolino d’amore. E se mai la pietosa gentilezza e la candida fede degli occhi tuoi palesassero un’anima di donna, qual forza villana potrà spegnere il clemente sorriso di quegli occhi colorandoli nel giallo della bile? Tolga Iddio una tale disgrazia, o donne gentili; ché il sereno del paradiso non avrebbe più simbolo fra noi, e le vie al meglio s’infolterebbero di notte più sinistra.
III
Il piangoleggio3 de’ poeti è moderno contagio dal quale, grazie ad un mio sogghignetto, andai salvo finora. Perciò l’altro ieri trovandomi assestato in un biroccino, e sentendomi balzellare soavemente le viscere alle strappate del cavallo, non ne voleva male per questo a me od agli altri, né correva col desiderio al molleggiare dei cocchi beati. Il buon Parini poteva lagnarsi dell’«obliqua furia de’ carri» che lui lasciavano pedestre nell’«iniqua stagione»;4 ma oltreché il povero abate era vecchio e cagionevole, aveva scritto pur anco quella bagattella del Giorno che come gli valse il primo seggio fra i Padri della Nuova Letteratura, doveva anche soccorrere almeno d’una lettiga «il piede infermo»; e già, assicuratevi, non avrebbe egli preteso un tiro a quattro!
Io dunque faceva il mio pro con tutta filosofia di quel biroccino; né il cielo mi pareva meno limpido, né la campagna meno deliziosa, né la strada più lunga per qualche strabalzamento, giovevole del resto, come dicono i medici, agli sgorghi biliosi. Aggiungete poi che lì al fianco io m’aveva un compagno, e tanto sollazzevole e disposto con mente così serena alla vita, che mai ho ringraziato come allora di cuore la Provvidenza della socievolezza largita alle umane bestiuole.
IV
Così scendevamo a trotto prudentissimo dai colli di Solferino, riandando fra noi le piccole avventure occorseci, e le bellezze del lago di Garda, e la festa de’ suoi giardini, e il pittoresco incurvarsi delle sponde, e l’azzurro dell’acqua e il superbo promontorio di Sirmione, visitato da ultimo, e le poetiche memorie di Catullo e di Pindemonte spigolate lì intorno. La strada, rotta dal tempaccio de’ giorni addietro, correva capricciosamente, da vera selvatica che la era, per burroncelli, poggi e vallette, ora chiusa da danzanti vigneti, ora fiancheggiata da ineguali praterie. Chiesuole, casali, capannucce, sfilarono pittorescamente d’ambo i lati, e quando s’aggiungeva5 il sommo d’un’erta l’occhio perdevasi lontano lontano pel verde turchiniccio della pianura fino ad aggiungere le cime del gran padre Appennino.
Addio, bella montagna della speranza! Grazie a te, che nei giorni sereni palesandoti fino a noi ci sei guida nel pensiero alle ridenti costiere di Liguria, e alle operose valli di Piemonte, e alla gentile Toscana, e alle agguerrite Romagne, e alle Puglie ondeggianti di messi, e alle incantevoli baie di Napoli, e alle fiere Calabrie, e al triplice paradiso di Sicilia! Addio, simulacro de’ nostri destini, che corri la vita a ritroso, e dalle nevi dell’Alpi ti digradi fino al Vesuvio ed al mare, per risorgere folgoreggiando sul trono dell’Etna!
Avevamo finito appena d’alternare quest’inno, quando nel precipizio d’una discesa si sfasciò senza misericordia una ruota del biroccino.
V
Bisogna che tu pigli in santa pace questa mia maniera di scrivere, o amico lettore: giacché non per nulla ad un trattenimento di ciarle, meglio che ad una lettura t’invitai fin da principio; e così come in un dialogo di confidenza, io n’andrò via svolazzando di palo in frasca, persuaso che tu bonariamente terrai dietro al filo di seta dove ho costretta la gamba.6 Per me tutte le azioni nostre naturali prendono sostanza e modo dalla principale e tipica della vita; e come in questa vai le spesse volte a diritta ed a sinistra, finché riesci ove non ti saresti mai immaginato, così credo debba naturalmente avvenire nella scrittura, alla quale adagiandosi, non possiamo noi far la rassegna di tutti i pensieri che poi verremo colorando, come farebbe delle tornite assicelle un dipintore d’imposte; ma sibbene ci dipartiamo dal primo, ed essendo essi materia viva e bollente e moltiplicandosene perciò il numero, e variandone le specie all’infinito, si corre loro dietro per ogni dove; finché, se la mente non è affatto pazza e disordinata (il che spero non sia ancora della mia) il giro naturale li riconduca al sentiero più spedito. Ben so essere altre maniere di scrivere più dotte di questa, e capaci di ordinare le idee per battaglioni e compagnie come una armata di tangheri; ma una più comoda mai non seppi immaginare, onde me ne accomodo saggiamente, ed esorto gli altri a vantaggiarsene. Ora per esempio, se l’avessi presa nel cominciamento sul tuono pedantesco d’una predica in tre punti, come avrei potuto dallo sfasciamento della ruota spiccar il volo a tal dissertazione rettorica? E come se la caverebbe poi il compassato predicatore da questa dissertazione, per capitombolare di bel nuovo alla ruota? L’amfibologia7 d’un mezzo volume non ci sarebbe di troppo, quand’io invece me ne spiccio in tre parole, rassicurandovi sul buon fine di quella tragedia; poiché stramazzati ridendo sopra un lettuccio di ghiaia morbida e fina, ridendo pure ci siamo rialzati: senonché a me un gherone8 pendeva stracciato fino alle calcagna e fu cagione di nuove risate. Solo il ronzino fermatosi impassibile, come usano le brave bestie in simili circostanze, non si permise il minimo scherzo e rivoltosi ad osservare la ruota fracassata stava lì tutto impensierito, quasi lamentando in difetto di quella il nessun valore della sua buona volontà.
VI
Un vecchio d’alta statura e di fronte serena, che stava racconciando i pali d’una vigna lì presso, avvistosi del nostro accidente, veniva verso la strada, onde io gli chiesi, ove avremmo potuto riparare a quel gran guasto.
«A casa mia, signori; se loro non dispiace!» rispose il vecchio contadino additandoci una capannuccia lontana un cento passi.
«O che siete fabbro, falegname, e carrozzaio voi?» ridimandai.
«Sì, signore!» soggiunse gravemente: poi siccome io pareva sorprendermi di quella sua calma, riprese sorridendo, che si sarebbe ingegnato a raggiustare ogni cosa. Già nulla restava a fare di meglio, onde caricati sul biroccio i frantumi della ruota, e facendone noi le veci dall’un lato, ci traemmo verso la casuccia; ma il vecchio dopo breve tratto, vedendo la poca pratica che ci avevamo in quell’esercizio, volle mettersi lui a quella bisogna, e i nostri piedi cittadini poterono avanzarsi più spediti senza tema di sdrucciolare.
VII
«E voi, mio bravo galantuomo, v’immiserite qui a far ghirlande alle viti, con tanto ingegno e buona pratica di falegname che ci avete?»
«Cosa vuole?» mi rispose il vecchio ribattendo il cerchio sulla ruota già rimessa in modo da non parerei più segno di rottura «cosa vuole? non mi ci trovo io a lavorar pei signori!»
Io diedi un soprassalto. «Oh, per chi lavorate?» esclamai «pei poveri diavoli che non hanno di che pagare?»
«Lavoro per tutti, io,» soggiunse il vecchio «ma dico di accomodarmi difficilmente coi signori, perché essi, vedete, comperano le nostre braccia, e intendono che mandiamo al diavolo il cuore e la testa!»
In verità io non capiva quel gergo, e il contadino se n’accorse vedendomi tutto sospeso, onde continuò:
«Veda, io sono vecchio, eppure a certi ordini non mi ci seppi ancora adattare. Quando mi allogano9 un lavoro, eccoteli subito a gridarmi: “Ricordati veh che per sabbato deve esser fatto!”. Io mi ho le mie settimane! Per esempio, in quella or ora passata non poteva ridurmi a toccar una sega, e mi convenne uscir sempre in campagna, e zappare, e mettere in assetto i viticci, e pulire le siepi, e in quel lavoro mi si rinfiancavano le forze; mentre chiudendomi qui nel cortile a piallar assi e a martellar chiodi, credo che sarei morto!».
«Ah! ora vi capisco!» feci io «gli è che voi amate la libertà, e perciò difficilmente ve la intendete coi ricchi, che pretendono lavoriate a tempo fisso come un giumento. Ma ditemi un poco, e perché avviene che i poveretti vi siano meglio indulgenti, e che voi v’impegniate più volentieri con essi?»
«Non saprei davvero,» soggiunse il vecchio «ma il fatto sta.»
“Oh sì! Il fatto sta!” io pensava intanto fra me; “e vuoi saperlo perché sta? Perché i signori oltre l’arroganza del denaro che dànno o promettono in mercede, hanno per giunta la prepotenza di tutto quello che dorme nello scrigno, e perciò ti saltano addosso, e vogliono quello che vogliono, e ti comandano a vociate, come all’asino del fornaciaio! Ma i poverelli invece sapendo di essere dappoco, vengono quasi pregando, e conoscendoti galantuomo e facile a far credenza, non guardano pel sottile sui ritardi e non ti dànno sulla voce col piglio dell’aguzzino! Perciò, o buon vecchio, tu fai presto e bene l’opera allogatati da questi, mentre nel lavoro commesso dal ricco senti il peso della schiavitù, e ci avanzi male e a rilento.”
«Però,» continuai a voce alta «voi ve la passerete molto agiatamente con quest’arte tra mano?»
«Eh! intanto si campa!» fece mestamente il vecchio.
«Come? il mestiere e la campagna non vi procacciano i vostri comodi?»
«Il mestiere,» rispose «mi aiuta di molti crediti in questi anni di carestia; la campagna mi dà assai lavoro e poco poco da mangiare.»
«Ma ci avete molta famiglia? qui non vedo nessuno!»
«Ho moglie e due ragazze da marito.»
«E dove le sono ora?»
«Sono giù alla bassa in cerca di lavoro; e Dio no ’l voglia torneranno con quelle benedette febbri, che già noi ce le pigliamo sempre in quelle risaie!»
«E come mai siete venuto in tali strettezze?»
«Cosa vuol mai, mio buon signore!» rispose tranquillamente il vecchio rimettendo la ruota al biroccio, «non la poteva andare altrimenti colla peste dell’uva che ci impedisce dal pagare gli affitti; e sarà peggio l’anno venturo, perché il padrone non può più anticiparmi il frumentone,10 e dovetti vendere le bestie, onde sarò ridotto ad assoldarmi per bracciante, se ci trovo un sito; o a vivere alla giornata; e sì nell’uno che nell’altro caso, voi sapete la buona vita che si mena durante l’inverno! Ma già Dio ha voluto così, ed è inutile il pensarci sopra!»
VIII
«Le annate peggiorano, e le prediali11 ingrossano e le famiglie e i bisogni pur anco; in mezzo a questo le brinate a malmenare i gelsi, le gragnuole a tempestar il frumento. E l’uva? Dio del paradiso, quando ci consentirete un dito di vino buono e genuino a tavola?… E que’ bei soldi che s’intascavano anni addietro sulle vendemmie! Via! facciamoci sopra un crocione!… E la seta? Quella sì vuol costar molto ora che c’è questo diavolo di guerra in volta!12 Basta! bisognerà stringere, stringere più che si può, e vedere fin dove si possa arrivare!» Questo ragionamento sono sett’anni che lo ripeti prima di coricarti, o povero lettore, come una massima d’Epitteto13 o una giaculatoria favorita. In questi sette anni sei ingrassato come un tordo, e ti si sono rincolorite le guance; in questi sette anni la tua casetta si è tutta ringiovanita all’aspetto, e i rabeschi dell’umile imbianchino furono coperti da carte tutto oro e velluto; le seggiole d’abete impagliate si ritrassero modeste alla cucina, cacciate da una irruzione di poltroncine elastiche, o almeno di scranne di noce; i candellieri d’ottone si fecero di bronzo o d’argento; all’inverno le finestre si vestono di doppie invetriate e le stufe ti sgelano le dita; all’estate il tuo giardinetto vede le camelie e i rododendri sostituirsi ai gerani e al rosmarino soli adornamenti d’una volta: t’è cresciuto un bel cavallo alla stalla e l’avito sediolo14 giace polveroso in fondo alla rimessa colle stanghe rivolte pietosamente al cielo, mentre tu batti il paese in un elegante calessino a doppie suste.15 E dimmi un po’ in coscienza, di quanti giorni allungasti la tua quaresima per ottenere simili prodigi? In verità, se comparvero mai grassi capponi, e agnelli arrostiti e superbe spalle di maiale sulla tua tavola, ciò avvenne per fermo in questi anni malaugurati. Né la tua campagna si smagrì di nulla per tenerti in carne: ché i rivali16 sono folti di pioppi, d’olmi e di gelsi, i solchi negri di concime, le carreggiate fondate di fresco, arieggiate e popolose le stalle, copiosa la vaccheria, morbidi d’erba i prati, ricise ornatamente le siepi, vagamente disposte le viti.
Ora dove hai tu messo ad opera quel tuo consiglio di stringere, di stringere, per difendere gli agi tuoi dallo spendio17 delle annate? Tu lo sai in fondo in fondo, o accorto lettore; e lo sanno tutti, e io pure lo so, se mi propongo dirtelo in quattro parole. Vendendo caramente le tue derrate, diminuendo il numero de’ tuoi spesati e raddoppiando sovr’essi di stimolo, nutrendoli con grano semiguasto, né avvantaggiandoli in nulla, impedendoli anzi in quelle abitudini che in anni d’abbondanza senza tuo danno recavano loro assai frutto, angariandoli, spiluccandoli fino all’ultimo soldo di debito, con tali pratiche tu giungesti a buon porto; né secondo le leggi è delitto questa tua reg...