La quarta mano
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La quarta mano

  1. 380 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La quarta mano

Informazioni su questo libro

Patrick Wallingford, giornalista televisivo dal fascino irresistibile, si vede mozzare la mano da un leone durante un reportage su un circo in India: un evento decisamente tragico che però, per essere stato visto in diretta da milioni di persone, diventa per lui il miglior trampolino di lancio professionale. È anche l'occasione che aspettava da anni il celebre chirurgo Zajac per effettuare il primo trapianto di mano nella storia della medicina. Mentre Zajac contatta Wallingford per proporgli l'intervento, Doris Clausen, fervente ammiratrice del giornalista, decide di donargli la mano del marito con conseguenze imprevedibili. Una trama ai limiti dell'assurdo, sempre accompagnata da una scrittura straordinaria e condita da un humour svagato e sottile. Ma anche una satira contro il mondo dell'informazione e una grande storia d'amore.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817001823
eBook ISBN
9788858623145

Capitolo 1

Il tizio del leone

Immaginatevi un uomo, giovane, che stia per vivere in prima persona un evento di durata inferiore ai trenta secondi: la perdita della mano sinistra, ben prima del traguardo della mezza età.
Da piccolo era sempre stato uno scolaro promettente, un bambino gentile e amabile, senza picchi esagerati di originalità. I compagni di classe delle elementari e delle medie che avevano memoria del futuro beneficiario del trapianto di una mano non si sarebbero mai sognati di descriverlo come una persona audace. In seguito, al liceo, nonostante il suo successo con le ragazze, raramente si era mostrato spavaldo e ancor meno spericolato. Sebbene avesse senza dubbio un bell’aspetto, le sue ex fidanzate ricordavano come sua dote principale la mansuetudine.
Al college nessuno lo avrebbe detto destinato alla fama. «Era così poco stimolante», dichiarò una sua ex fidanzata.
Un’altra ragazza che lo aveva frequentato per un breve periodo, dopo la laurea, in una scuola di perfezionamento, ribadì: «Non aveva l’aria di uno che stesse per fare qualcosa di speciale».
Lui sfoggiava un perenne sorriso che lasciava un po’ sgomenti: la faccia di chi sa di averti già incontrato da qualche parte, anche se non ricorda di preciso dove. Quasi stesse decidendo se l’ultimo incontro poteva essere avvenuto a un funerale o in un bordello, il che avrebbe giustificato la presenza, nel suo sorriso, di quella perturbante combinazione di cordoglio e imbarazzo.
Aveva avuto una storia con la sua relatrice, che era stata il riflesso o forse la ragione della sua irresolutezza come dottorando. In seguito lei – che era divorziata, con figlia già grandicella – avrebbe dichiarato: «Non è mai il caso di fidarsi di un uomo di così bell’aspetto. Era la classica persona che avrebbe potuto fare di più: non era il caso disperato che poteva sembrare in principio. Veniva voglia di aiutarlo, di farlo cambiare. Veniva una voglia irresistibile di andare a letto con lui».
E così dicendo negli occhi di lei sarebbe comparsa all’ improvviso una specie di luce che prima mancava, che si manifestava e svaniva come il trascolorare del cielo alla fine della giornata, come se non esistesse distanza che tale luce non potesse coprire. Rilevando la «sensibilità di lui allo scherno», la donna avrebbe sottolineato quanto fosse «commovente» questa sua caratteristica.
Che dire, però, della sua decisione di sottoporsi all’ impianto di una mano? Non è forse da avventurieri o da idealisti correre il rischio implicito nell’acquisizione di una nuova mano?
Nessuno, tra chi lo conosceva, l’avrebbe mai definito un avventuriero o un idealista, eppure – un tempo – idealista lo era stato. Da ragazzo aveva certamente avuto i suoi sogni e aveva avuto anche le sue ambizioni, per quanto private e inespresse.
La sua relatrice, che si trovava a proprio agio nel ruolo di esperta, attribuiva una certa importanza alla perdita dei genitori da lui sofferta durante il college. I suoi genitori, però, avevano ampiamente provveduto a lui e lui, nonostante la loro morte, non ebbe mai di che preoccuparsi, a livello finanziario. Sarebbe potuto rimanere al college fino al conseguimento del titolo... avrebbe potuto continuare a frequentare la scuola di perfezionamento per tutta la vita. E tuttavia, benché egli fosse sempre stato uno studente brillante, non diede mai, ad alcun suo insegnante, l’impressione di essere straordinariamente motivato. Non aveva l’animo del precursore: si accontentava di quel che già c’era.
Aveva tutte le caratteristiche della persona che si sarebbe rassegnata alla perdita di una mano cercando di cavarsela alla meno peggio. Tutti quelli che lo conoscevano l’avevano classificato come uno che se ne sarebbe fatto una ragione.
Tanto più che era un giornalista televisivo: non bastava forse una mano, per svolgere il suo lavoro?
Lui, però, era convinto di volere una mano nuova e aveva prontamente accettato la possibilità che l’operazione, da un punto di vista clinico, non andasse, per qualche ragione, nel migliore dei modi. Ciò di cui non si rese conto può invece servire a spiegare come mai lui non fosse mai stato, in vita sua, un precursore: mancava dell’ immaginazione necessaria a considerare l’inquietante eventualità che la nuova mano potesse sembrargli non completamente sua. Dopo tutto, in origine, quella mano era appartenuta a un altro.
Il fatto che facesse il giornalista televisivo, poi, era la ciliegina sulla torta. La maggior parte dei giornalisti televisivi è di una scaltrezza particolare, nel senso che sono svelti di mente e dotati dell’istinto del segugio. Non c’è tempo da perdere, in TV. Un tizio che decida di sottoporsi all’impianto chirurgico di una mano non può mica mettersi a cincischiare, no?
Come che sia, si chiamava Patrick Wallingford e avrebbe volentieri barattato la sua fama per una nuova mano sinistra. All’epoca dell’incidente, Patrick stava facendosi strada nel mondo del giornalismo televisivo. Aveva lavorato per due delle tre principali reti nazionali, lamentando a più riprese la nefasta influenza degli indici d’ascolto sui notiziari. Quante volte era capitato che amministratori delegati più a loro agio in un cesso che alla guida di una rete di successo avessero operato «scelte di marketing» devastanti per il significato dei servizi trasmessi? (Secondo Wallingford, i direttori dei notiziari erano ormai completamente prostrati ai piedi dei guru del marketing.)
Per dirla tutta, Patrick riteneva che i risultati finanziari che le reti televisive pretendevano dai loro settori informativi stessero uccidendo l’informazione stessa. Come si può chiedere che notiziari e approfondimenti apportino gli stessi ricavi di quello che nel gergo televisivo si chiama entertainment? Che senso aveva, anzi, postulare che il settore informativo di una rete dovesse produrre profitti? L’informazione non è Hollywood né le World Series, e neanche il Super Bowl. L’informazione (e con questo termine Wallingford si riferiva alle vere notizie, ossia all’ informazione approfondita) non poteva essere messa in competizione, quanto a indici d’ascolto, con il varietà o con i cosiddetti «sceneggiati».
Patrick Wallingford era ancora alle dipendenze di una delle principali reti americane quando, nel novembre 1989, cadde il Muro di Berlino. Patrick era entusiasta di trovarsi in Germania per quella storica occasione, ma tutti i pezzi che inviava in patria venivano brutalmente ridimensionati, talvolta alla metà della lunghezza che lui riteneva meritassero. Fu un direttore dei notiziari di New York a spiegargliene il motivo: «Le notizie di politica estera non valgono un cazzo».
Quando gli uffici all’estero della stessa rete televisiva cominciarono a chiudere, Patrick fece un passo analogo a quello di molti altri giornalisti TV: andò a lavorare per una rete dedicata esclusivamente all’informazione. Non si trattava di certo di una rete eccezionale, ma almeno era un canale internazionale che trasmetteva notizie ventiquattr’ ore su ventiquattro.
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Wallingford era, forse, così ingenuo da credere che un canale di notizie no-stop non tenesse d’occhio i propri indici di ascolto? Alla rete internazionale avevano addirittura una mania per gli indici di ascolto minuto per minuto, capaci di evidenziare ogni più lieve variazione, in alto o in basso, dell’attenzione del pubblico.
In ogni caso, tra i colleghi di Wallingford era diffusa la cauta sensazione che egli fosse in qualche modo destinato al ruolo di anchorman. Era indiscutibilmente bello – i tratti marcati del suo viso erano perfetti per la televisione – e aveva fatto la sua gavetta da inviato. Ironia della sorte, ciò gli costò innanzitutto l’inimicizia della moglie.
La sua ex moglie, ormai. Lui aveva dato la colpa ai viaggi, ma secondo l’opinione di lei il problema era dato dalle altre donne. In effetti, Patrick era attratto dalle «prime volte», e ne sarebbe stato attratto anche se non avesse viaggiato.
Appena prima che Patrick avesse l’incidente, contro di lui era stata intentata una causa di paternità. Pur essendo stata riconosciuta la sua estraneità – il test del DNA era risultato negativo – il semplice sospetto fu sufficiente a suscitare il rancore della moglie. A parte la flagrante infedeltà del marito, aveva un’altra ragione per essere infuriata. Nonostante lei avesse più volte manifestato il desiderio di avere un figlio, lui si era sempre fermamente rifiutato (di nuovo, lui aveva dato la colpa ai viaggi).
Ora, la ex moglie di Wallingford – che si chiamava Marilyn – soleva dire del marito che non la mano sinistra, ma ben altro avrebbe dovuto perdere. Si era risposata presto, era rimasta incinta e aveva avuto un bambino; dopo di che aveva divorziato una seconda volta. Marilyn amava ripetere anche che il dolore del parto – nonostante i lunghi anni trascorsi nell’attesa di un figlio – era stato sicuramente più forte di quello che Patrick doveva aver provato nel perdere la mano sinistra.
Patrick Wallingford non era un uomo irascibile: l’abituale pacatezza, anzi, contendeva alla bellezza da urlo la palma di tratto più caratteristico della sua persona. Tuttavia, il dolore sofferto perdendo la mano era il tesoro da lui più fieramente custodito. Lo faceva infuriare il fatto che la moglie banalizzasse così il suo dolore, dichiarandolo inferiore a quello da lei provato per aver «semplicemente» – come diceva lui – partorito.
Né gli riusciva di reagire sempre con la sua solita pacatezza all’accusa della ex moglie di essere un donnaiolo impenitente. Per quanto lo riguardava, lui non era mai stato un donnaiolo. Con questo intendeva dire che lui non aveva l’abitudine di sedurre le donne: si limitava a lasciarsi sedurre. Lui non telefonava mai: erano loro a chiamarlo. Era l’equivalente maschile dell’adolescente che non sa dire di no, dove l’accento – stando alla ex moglie – era da porre sull’aspetto «adolescenziale». (Patrick era ormai prossimo alla trentina, al momento del divorzio, ma ad ascoltare Marilyn lui non era mai stato altro che un ragazzino.)
Al posto di anchorman cui sembrava destinato non era ancora giunto. E a seguito dell’incidente le sue possibilità si assottigliarono. Un dirigente della rete parlò di probabile «effetto nausea». Chi mai potrebbe aver voglia, infatti, di guardare un notiziario del mattino o della sera il cui speaker sia una specie di sfigato che si è fatto staccare di netto una mano da un leone affamato? Sarà anche stato un evento di durata inferiore ai trenta secondi – che si era meritato un servizio di soli tre minuti – ma nessuna persona dotata di un apparecchio televisivo se l’era perso. Per un paio di settimane, le immagini erano state trasmesse a ripetizione dalle televisioni di tutto il mondo.
Wallingford si trovava in India. La sua rete di sole notizie, che a causa della sua predilezione per il catastrofico era stata ribattezzata dagli snob dell’élite mediatica «Disaster International» o ancora «il canale della sventura», lo aveva spedito nel Gujarat, dove operava un circo indiano. (Nessuna rete newyorkese con un minimo di discernimento avrebbe mai mandato un giornalista a visitare un circo indiano.)
Il Great Ganesh Circus si era fermato a Junagadh, e una giovane trapezista era precipitata dall’attrezzo. La ragazza, specializzata nel «volo» – è questo il termine giusto per definire ciò che fanno certi artisti – senza rete, non era morta, ma aveva provocato la morte del marito, nonché allenatore, che aveva tentato di prenderla dopo una caduta di circa venticinque metri. L’impatto violento che lo uccise servì però ad attutire il colpo alla ragazza.
Il governo indiano aveva immediatamente vietato l’esecuzione di esercizi senza rete, e il Great Ganesh – insieme ad altri piccoli circhi indiani – aveva protestato contro questa disposizione. Per anni, uno zelante ministro animalista aveva tentato di proibire l’uso degli animali nei circhi indiani, cosicché questi erano già piuttosto prevenuti nei confronti delle interferenze governative. Inoltre – come avrebbe dichiarato davanti alla telecamera e a Patrick Wallingford l’eccitabile direttore del Great Ganesh – il pubblico gremiva il tendone ogni pomeriggio e ogni sera proprio perché i trapezisti volavano senza rete.
Wallingford aveva subito notato che le reti stesse erano in una condizione di sconvolgente trascuratezza. Dal punto in cui si trovava, sul duro e compatto terreno sotto il tendone, Patrick vide, alzando gli occhi, che il disegno a reticolo era sformato e costellato di voragini. La rete danneggiata pareva una gigantesca ragnatela devastata da un uccello preso dal panico. Non sembrava in grado di sostenere neppure il peso di un bambino in caduta; figuriamoci un adulto...
Molti degli artisti del circo, in effetti, erano davvero bambini, ma soprattutto bambine. I genitori le avevano vendute al circo perché potessero avere una vita migliore (cioè più sicura). Ma il fattore di rischio, al Great Ganesh, era piuttosto consistente. L’eccitabile direttore del circo aveva detto il vero: il pubblico interveniva numeroso nella speranza di vedere qualche incidente, le cui vittime erano spesso bambini. Come artisti, questi erano da considerarsi talentuosi dilettanti – bravi piccoli atleti – ma l’allenamento era assai approssimativo.
Il fatto che la maggioranza dei minori fosse di sesso femminile avrebbe suscitato l’interesse di qualsiasi bravo giornalista, e Wallingford – che si creda o meno alle affermazioni della ex moglie sul carattere del marito – era un bravo giornalista. La sua intelligenza risiedeva essenzialmente nelle sue doti di osservatore, e la televisione gli aveva insegnato l’importanza di eludere abilmente eventuali inconvenienti.
Quello dell’elusione era, al contempo, il punto di forza di Patrick e il più grave difetto della televisione. La TV si interessava alle crisi, non alle cause. Ciò che più lo deludeva, dei suoi incarichi da inviato per il canale di sole notizie, era la facilità con cui si finiva per ignorare le notizie più importanti. La maggioranza dei bambini del circo, in India, era di sesso femminile perché i genitori speravano di salvare le figlie dalla prostituzione affidandole, appunto, al circo; i maschi, invece, nella peggiore delle ipotesi finivano a fare i mendicanti (o pativano la fame).
Tuttavia, non era questa la vicenda per cui Patrick Wallingford era stato inviato in India. Una trapezista, giovane ma sposata, era precipitata da un’altezza di circa venticinque metri tra le braccia del marito che, per l’impatto, era rimasto ucciso. Il governo indiano era intervenuto, con la conseguenza che tutti i circhi indiani, ora, stavano protestando contro il decreto che vietava ai loro trapezisti, funamboli e acrobati vari, di eseguire esercizi senza rete di sicurezza. Persino la trapezista vedova, la donna che era caduta, si era unita alla protesta.
Wallingford l’aveva intervistata all’ospedale, dove la donna, che aveva riportato la frattura di un’anca e non meglio precisati danni alla milza, gli spiegò che era proprio l’assenza della rete la principale attrattiva del loro spettacolo. Certo, era addolorata per la perdita del marito, ma anche lui era stato un trapezista ed era sopravvissuto a una caduta. Anzi, la vedova parve quasi avanzare l’ipotesi che egli non fosse realmente sfuggito a quell’errore originario e che la luttuosa conclusione della propria caduta fosse il vero termine di quel primo episodio rimasto come in sospeso.
"Questo sì che è interessante", pensò Wallingford, ma il suo caporedattore, da tutti cordialmente detestato, restò deluso dall’intervista. La redazione di New York trovò la trapezista un po’ «troppo calma»: per loro era meglio se le vittime di una sciagura si lasciavano andare a scene di isterismo.
La trapezista scampata, inoltre, aveva affermato – con una nota di malizia – che suo marito si trovava ora «tra le braccia della dea in cui lui credeva». Si riferiva a Durga, la dea della distruzione: quasi tutti i trapezisti erano suoi adepti. Questa divinità, stando alle abituali raffigurazioni, è dotata di dieci braccia, e la vedova spiegò: «Se uno cade, Durga con le sue braccia può afferrarlo e salvarlo».
E anche questo era interessante per Wallingford, ma non per quelli della redazione di New York, che sostenevano di avere la «nausea della religione». Il suo caporedattore gli aveva spiegato che di servizi a sfondo religioso, negli ultimi tempi, ne avevano trasmessi un po’ troppi. "Che cazzone", pensò Wallingford. Non aiutava il fatto che il caporedattore si chiamasse, appunto, Dick.*
Dick aveva rispedito Patrick al Great Ganesh Circus affinché raccogliesse «altre note di colore locale». Al caporedattore, infatti, era parso che il direttore del circo fosse più loquace dei trapezisti.
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Patrick aveva sollevato obiezioni. «Se ci soffermassimo sul fatto che gli artisti del circo sono in maggioranza bambini, il servizio ne guadagnerebbe», disse. Evidentemente, però, a New York dovevano avere anche la «nausea dei bambini».
«Lavora di più sul direttore del circo», gli consigliò Dick.
Stimolati dall’eccitazione del direttore, i leoni in gabbia – che fungevano da sfondo per la nuova intervista – apparivano sempre più rumorosi e inquieti. Nel gergo televisivo, il pezzo che Wallingford stava preparando era la classica «chiusura», il servizio posto a conclusione di un programma. Quanto più i leoni ruggivano, tanto migliore sarebbe stata la «chiusura».
Era giorno di carne, ma i musulmani che avevano il compito di portarla erano in ritardo. Il camion della T...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dedica
  4. Capitolo 1 - Il tizio del leone
  5. Capitolo 2 - L’ex centrocampista
  6. Capitolo 3 - Prima dell’incontro con la signora Clausen
  7. Capitolo 4 - Interludio giapponese
  8. Capitolo 5 - Un incidente nella domenica del Super Bowl
  9. Capitolo 6 - I fronzoli attaccati
  10. Capitolo 7 - La fitta
  11. Capitolo 8 - Rigetto e successo
  12. Capitolo 9 - Wallingford incontra una compagna di viaggio
  13. Capitolo 10 - Provando a farsi licenziare
  14. Capitolo 11 - Su a nord
  15. Capitolo 12 - Lambeau Field
  16. Ringraziamenti