La vendetta di Siviglia
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La vendetta di Siviglia

  1. 261 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La vendetta di Siviglia

Informazioni su questo libro

1606. Catalina Solís, da poco rimasta vedova, ha lasciato l'isola caraibica di Margarita e sta facendo rotta verso Siviglia per soccorrere il padre, rinchiuso nelle carceri reali. Quando lo raggiunge, l'uomo, ormai in fin di vita, la lega a un giuramento: scatenare una terribile vendetta contro la potente famiglia dei Curvo, responsabile della sua rovina. Catalina si prepara a mettere in atto il suo piano e, aiutata da un'anziana curandera e da una fascinosa prostituta, si introduce nei bordelli e nei salotti più influenti per portare a compimento il suo dovere di sangue, ricorrendo all'arma più potente: la seduzione. Matilde Asensi continua l'epopea di Terra Ferma e della sua eroina Catalina, sullo sfondo di una capitale andalusa dominata dall'apparenza e dal vizio.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
Print ISBN
9788817050821
eBook ISBN
9788858621653
La vendetta di Siviglia
Capitolo 1
Era la fine della stagione secca dell’anno 1606, un giorno buio e nuvoloso dell’inizio del mese di ottobre in cui il cielo sembrava sul punto di rovesciare sulla terra un diluvio d’acqua, quando qualcuno si annunciò alla mia dimora all’ora della siesta, scardinando quasi il batacchio per la furia con cui percuoteva il portone. Nessuno usava maniere simili a Margarita, la città principale dell’isola nota con lo stesso nome dove mi ero stabilita appena sei mesi prima, dopo aver recuperato legalmente l’eredità dello zio Hernando e quella dei miei defunti sposo e suocero. Per il resto dei Caraibi io ero Martín Nevares, ma a Margarita tutti mi conoscevano come la giovane vedova Catalina Solís, proprietaria di una prospera officina per la lavorazione dei metalli e di due case ristrutturate, la mia e un’altra, che avevo dato in affitto e mi assicurava una rendita molto buona. La mia vita era felicissima, piacevole e allegra, e due giovani dai modi garbati e di bell’aspetto mi facevano la corte fin dal primo giorno in cui ero arrivata in paese a reclamare l’eredità. La mia fama di donna onesta, riservata e agiata faceva il resto.
Come dicevo, nessuno avrebbe osato presentarsi all’ora della siesta in una casa perbene, creando scompiglio nel vicinato e facendo baccano con quei colpi da bravaccio. In tutta l’isola, al di là del ronzio delle zanzare, non si sentiva che il latrare dei cani e, di tanto in tanto, il raglio di un somaro, il verso di un uccello o il grugnito di un maiale. In quel momento io stavo sonnecchiando nel patio, all’ombra della bella palma da dattero e di quelle da cocco, mentre la mia cameriera Brígida mi faceva vento con una grande foglia. C’era tanta umidità nell’aria che si faceva fatica a respirare, e il buon senso suggeriva di non muoversi fino al tramonto, se non si voleva, come certi sciagurati imprudenti, essere colpiti da un letale colpo di sole.
E così, nell’udire quei colpi violenti, aprii all’istante gli occhi e scorsi, tra i rami, le gelosie del piano alto della mia casa.
«Padrona...» Era la voce del mio servitore Manuel che giungeva dalla porta del patio.
«Sì?»
«Padrona, un uomo che dice di chiamarsi Rodrigo de Soria chiede insistentemente di parlare con la signoria vostra. È armato fino ai denti e...»
«Rodrigo!» esclamai balzando in piedi, e corsi verso l’ingresso raccogliendo con le mani l’orlo della sottana (a volte sentivo la mancanza delle brache di Martín).
In nome del cielo, che grande gioia! Erano sei mesi che non sapevo nulla della mia famiglia, a parte alcune notizie che anonimi mercanti diffondevano nella piazza: il vecchio Esteban Nevares, di Santa Marta, aveva litigato con il tale, María Chacón aveva alzato i prezzi del bordello, i palenques1 del Magdalena continuavano a prosperare... Ora, però, nonostante la mia grandissima gioia, mi imposi di recuperare il giudizio e, raggiunta la sala da pranzo, interruppi la mia corsa. Il mio compare Rodrigo nell’isola Margarita? E per di più chiedeva di me, Catalina Solís, che lui non conosceva e di cui nulla sapeva? Per Rodrigo, marinaio della Chacona, io ero Martín Nevares, figlio naturale del suo capitano, il nobiluomo Esteban Nevares, che mi aveva adottato dopo avermi portato via da un’isola deserta. A quanto ne sapevo, nessuno gli aveva mai detto che in realtà io ero una donna e, oltretutto, vedova di uno stagnaio di Margarita che il calcio di una mula aveva ridotto, quand’era piccolo, con mezza testa e nessuna capacità intellettiva. Rodrigo che chiedeva di vedere Catalina Solís? Stava succedendo qualcosa, a Santa Marta, e non doveva essere niente di buono, mi dissi, inquieta.
Il mio compare, impetuoso com’era, non era riuscito a rimanere in attesa sul portone d’ingresso, e così, preceduto da un frastuono di passi sul pavimento di terra battuta dell’androne, comparve con il cappello in mano nella sala da pranzo e, come era prevedibile, rimase sbalordito e immobile come una statua nel vedermi in abiti femminili e persino con il velo da vedova sui capelli, acconciati con discrezione. A me, la commozione fece aumentare i battiti cardiaci. Lui, per contro, sembrava fosse morto e stesse lottando per resuscitare, ma era capace solo di boccheggiare come un pesce.
«Martín?» farfugliò infine con grande sforzo. Riconoscere il giovane compagno di avventure e scorribande per i Caraibi in quella elegante vedova di ventiquattro anni era un colpo più forte di quanto quella sua testa dura potesse sopportare. Dimenticando le mie ultime inquietudini, il suo turbamento e le norme che la decenza mi imponeva, io, che provavo un’enorme contentezza nel rivederlo, risi e avanzai verso di lui per abbracciarlo. Si impaurì. Indietreggiò con l’espressione di chi ha davanti il diavolo mettendo mano alla spada.
«Rodrigo, fratello!» esclamai, fermandomi. «Come puoi pensare di impugnare la spada in questo luogo di pace, che è per di più la casa di tuo fratello Martín, nella quale sarai sempre il benvenuto?»
Avevo capito che Rodrigo si credeva vittima di una stregoneria o di un incantesimo e, convinto di ciò, si disperava per avere perso il senno.
«Ma che assurdità è questa?» gridò. «Chi siete voi, signora mia, che assomigliate tanto a mio fratello Martín?»
«Sono Martín, Rodrigo» risposi, infastidita e mal tollerando il suo comprensibile turbamento. «Non chiamarmi “signora mia”. Sono il tuo compare.»
Rodrigo mi osservava allibito e, nel frattempo, sbuffava come un cavallo. Posò il cappello sul tavolo e si portò le mani alla testa per sistemarsi i capelli grigi. Aveva lo sguardo smarrito.
«Se sei davvero mio fratello Martín» mugugnò con disprezzo, «Martín Nevares, il figlio di Esteban Nevares, capitano della Chacona, perché ti sei vestito da donna, dando prova evidente di follia e di viltà?»
«Dunque chi ti ha mandato qui non ti ha confidato la mia storia?»
Il suo volto, dalla pelle dura come il cuoio per i molti anni passati in mare, era cupo e ostile. Sicuramente era ancora immerso in quello che credeva essere un brutto sogno, ma di lì a poco lo vidi infine sospirare e guardarsi attorno con perplessità e stupore, come se i mobili della mia casa, le pareti e i soffitti gli stessero a poco a poco restituendo il senno. Io non capivo, o non volevo capire, la ragione del suo comportamento, poiché molte volte avevo sospettato, durante i cinque anni di navigazione sulla Chacona, che Rodrigo conoscesse il mio segreto. Evidentemente, mi ero sbagliata di grosso: lui aveva creduto che io fossi davvero un ragazzo meticcio di sedici o diciassette anni.
Per aiutarlo a ritrovare la memoria, con un gesto deciso mi scostai il velo dalla testa e sciolsi i capelli, che mantenevo della stessa lunghezza che usava Martín nel caso in cui, in una situazione inaspettata, avessi dovuto trasformarmi velocemente in lui.
«Adesso basta, Rodrigo!» ordinai con la voce grave che lui conosceva così bene; e in effetti, nell’udirla, mi guardò tranquillizzato e si rilassò. «Seguimi nel patio e spiegami ciò che sei venuto a fare qui, nella mia casa di Margarita!»
Il mio compare, il vecchio e amato biscazziere esperto in giochi di carte e trucchi d’ogni sorta, bravo marinaio, uomo dal grande e nobile cuore, obbedì al mio ordine con la stessa sollecitudine che usava sullo sciabecco del mio signor padre.
«Brígida, di’ a Manuel di andare al pozzo a prendere dell’acqua fresca, e poi porta una buona brocca di aloja2 e due bicchieri» chiesi alla cameriera quando entrai nel patio.
«Non abbiamo tempo da perdere» brontolò, inquieto, Rodrigo, senza sedersi sulla sedia che Brígida gli porgeva. «Dobbiamo partire subito.»
«Partire?» domandai. Ma, in effetti, lo avevo già subodorato.
Rodrigo seguì con occhi da falco Brígida, che entrava in casa dalla porta della cucina, e solo quando la donna scomparve alla nostra vista cominciò a darmi delle spiegazioni.
«Se sei effettivamente Martín» esordì, «devi sapere che tuo padre è stato catturato dai soldati del governatore di Cartagena il lunedì undici dello scorso mese di settembre.»
Fu una mazzata terribile. Non riuscii ad aprire bocca nemmeno per far uscire un’esclamazione. Mio padre imprigionato?
«Che stai dicendo?» balbettai, sentendomi venir meno. «Ricorda che don Jerónimo de Zuazo e il mio signor padre erano molto amici quando ci prendemmo gioco dei Curvo e lo aiutammo a pacificare i palenques.»
«Ecco quanto dura l’amicizia dei potenti!» sbraitò Rodrigo sedendosi, finalmente. «Le guardie di don Jerónimo si sono presentate nella dimora di Santa Marta e hanno arrestato tuo padre per crimini di lesa maestà contro la Corona Reale di Spagna.»
«Crimini di lesa maestà?» Non avevo mai sentito in vita mia una sciocchezza più grande, più assurda.
«Le accuse sono due, e molto gravi: una di contrabbando, e l’altra, uguale, per aver trafficato in armi con stranieri nemici, i fiamminghi di Punta Araya. Sai bene che siamo in guerra con le Fiandre.»
«Qualcuno ha parlato, Rodrigo!» mi indignai. «I nostri rapporti di affari con Moucheron3 erano noti a tutti, ma la cosa non importava a nessuno. Per quale motivo ora arrestano mio padre?»
«Un nuovo decreto reale ordina di punire con severità il commercio con i fiamminghi in tutto l’impero, e ancora di più il commercio illecito. Il re vuole mandare in rovina l’economia delle province ribelli per costringerle ad arrendersi» sospirò. «Sarebbe stato meglio trattare con gli inglesi o con i francesi! Il governatore di Cartagena ha bisogno di far cadere delle teste per eseguire gli ordini del re, perciò tuo padre è in prigione e dobbiamo aspettarci il peggio.»
Aggrottai la fronte non capendo che cosa volesse dire con quelle parole, e lui me lo chiarì: «Il traffico illecito con il nemico in tempo di guerra porta dritto alla pena di morte».
«Che cosa?» gridai terrorizzata. La mia angoscia non poteva essere più grande. Cominciai a piangere in silenzio, sentendo dentro di me la stessa paura che, da bambina, avevo provato a Toledo, quando l’Inquisizione aveva portato il mio vero padre nelle segrete per lasciarvelo morire di febbri malariche, nel 1596. Ora, dieci anni dopo, e dall’altra parte del mondo, anche il mio secondo pa...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Collana
  3. Frontespizio
  4. La Vendetta di Siviglia
  5. Indice