
- 396 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Bryson City, North Carolina: il volo 228 della Trans South esplode in aria. Accorsa con i soccorritori, l'antropologa Tempe Brennan recupera un piede umano, e le analisi del DNA escludono ogni legame con i passeggeri. Dalle indagini emergono strani particolari: un lugubre villino abbandonato nei cui sotterranei sono nascosti cadaveri con singolari incisioni al femore destro, una misteriosa società segreta, i tentativi di insabbiamento messi in atto da un potente politico locale. Un thriller nel quale il male e la crudeltà regnano sovrani, una tensione mantenuta dalla prima all'ultima pagina, via via che i nodi si sciolgono secondo una logica incalzante.
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Informazioni
Print ISBN
9788817129503eBook ISBN
9788858619902Viaggio fatale
Dedicato con grandissimo orgoglio a:
Kerry Elisabeth Reichs, J.D., M.P.P., Duke University, Classe 2000
Courtney Anne Reichs, B.A., University of Georgia, Classe 2000
Brendan Christopher Reichs, B.A. cum laude, Wake Forest University, Classe 2000.
Hip hip urrà !
A John Butts, direttore dell’Istituto di medicina legale del North Carolina, Michael Sullivan, medico legale della contea di Mecklenburg e Roger Thompson, direttore del Dipartimento di polizia e della Sezione scientifica di Charlotte-Mecklenburg.
A Marilyn Steely, per avermi parlato dell’Hell Fire Club; a Jack C. Morgan Jr., per i chiarimenti su atti di proprietà e mappe catastali; a Irene Bacznsky per l’aiuto sui nomi delle compagnie aeree.
Ad Anne Fletcher, per essermi stata vicina durante la nostra avventura sulle Smoky Mountains.
Un ringraziamento speciale va a tutti gli abitanti di Bryson City, nel North Carolina, e in particolare a Faye Bumgarner, Beverly Means e Donna Rowland della Bryson City Library; a Ruth Anne Sitton e Bess Ledford del catasto della contea di Swain; a Linda Cable, amministratore della contea di Swain; a Susan Cutshaw e Dick Schaddelee della Camera di commercio della contea di Swain; a Monica Brown, Marty Martin e Misty Brooks del Fryemont Inn.
Ringrazio molto sentitamente anche il Chief Deputy Jackie Fortner, del Dipartimento dello sceriffo della contea di Swain.
Merci a M. Yves St. Marie, André Lauzon e ai miei colleghi presso il Laboratoire de Sciences Judiciaires et de Médecine Légale; al rettore James Woodward della University of North Carolina-Charlotte. Apprezzo molto il vostro continuo sostegno.
A Paul Reichs per i preziosi commenti al manoscritto.
Ai miei fantastici editor, Susanne Kirk e Lynne Drew.
E, naturalmente, al mio miracoloso agente Jennifer Rudolph Walsh.
Le mie storie non potrebbero essere ciò che sono senza l’aiuto di amici e colleghi. Li ringrazio tutti. Come sempre, la responsabilità di eventuali errori è solo mia.
1
Fissai la donna che volava tra gli alberi. Testa in avanti, mento sollevato, braccia indietro, come la piccola dea cromata sul cofano delle Rolls Royce. Ma la signora era nuda, e il suo corpo finiva all’altezza della vita. Rami e foglie sporchi di sangue imprigionavano il suo busto senza vita.
Abbassai gli occhi e mi guardai intorno. A parte la stradina coperta di ghiaia dove avevo parcheggiato, non vedevo altro che foresta, una distesa di pini punteggiata di rare latifoglie, simili a corone funebri che salutavano la morte dell’estate con i rossi, gli arancioni e i gialli del loro fogliame.
All’inizio di ottobre a Charlotte faceva caldo, mentre a quelle altitudini la temperatura era gradevole, anche se presto sarebbe arrivato il freddo. Presi una giacca a vento dal sedile posteriore e rimasi immobile ad ascoltare.
Uccelli. Vento. Andirivieni di piccoli animali. In lontananza, un uomo chiamava un altro uomo. Una risposta soffocata.
Legai il giubbotto in vita, chiusi l’automobile e mi incamminai verso le voci calpestando foglie secche e aghi di pino.
Non avevo fatto più di dieci metri quando mi imbattei in una figura appoggiata a una pietra coperta di muschio, le ginocchia flesse contro il petto, un computer portatile accanto. Non aveva le braccia.
Abbandonata sul computer, una faccia, i denti ingabbiati dai fili dell’apparecchio ortodontico, un sopracciglio forato da un anellino d’oro. Gli occhi spalancati e le pupille dilatate avevano fissato su quel viso l’espressione del terrore. Sentii un tremore sotto la lingua e mi allontanai rapidamente.
Qualche metro più avanti trovai una gamba, il piede ancora chiuso negli scarponi da trekking. L’arto era stato mozzato all’altezza dell’anca, e mi chiesi se per caso appartenesse alla signora Rolls Royce.
Oltre la gamba, due uomini, uno accanto all’altro, le cinture di sicurezza ancora allacciate, il collo coperto di chiazze rosse. Uno dei due aveva le gambe accavallate, come se stesse leggendo un giornale.
Mi inoltrai nella foresta, di tanto in tanto attraversata da grida sconnesse portate fino a me dai capricci del vento. Continuai a camminare spostando rami e scavalcando rocce e tronchi abbattuti.
Disseminati tra gli alberi, bagagli e parti metalliche. Gran parte delle valigie si erano aperte e il loro contenuto giaceva sparpagliato ovunque. Vestiti, arricciacapelli e rasoi elettrici si mescolavano a flaconi di crema per il corpo, di shampoo, di dopobarba e di profumo. Da un bagaglio a mano erano fuoriuscite decine di mini articoli da toilette rubacchiati negli hotel. L’odore di prodotti di bellezza e di carburante si mischiava al profumo dei pini e dell’aria di montagna. E a un vago odore di fumo che arrivava da lontano.
Mi trovavo sul fondo di una stretta vallata coperta da una fitta coltre di vegetazione e penetrata da pochi e incerti raggi di sole. Tra gli alberi la temperatura era fresca, eppure il sudore mi imperlava la fronte e mi incollava gli abiti al corpo. Inciampai in uno zaino e caddi in avanti, strappandomi una manica su un ramo spezzato dalla pioggia di rottami.
Rimasi a terra per qualche secondo, le mani tremanti, il respiro che usciva a singhiozzo. Nonostante fossi ormai allenata a nascondere le emozioni, mi sentii assalire dalla disperazione.
Quanta morte. Mio Dio, quanta morte avrei trovato in quel luogo?
Chiusi gli occhi, ripresi il controllo e mi alzai in piedi.
Dopo un’eternità , superato un tronco marcio e aggirata una macchia di rododendri, mi fermai per cercare di orientarmi: le voci che avevo sentito in lontananza, infatti, non parevano affatto più vicine. Il lamento smorzato di una sirena mi disse che a est, in qualche punto della montagna, erano in corso le operazioni di salvataggio.
È ora di chiedere indicazioni, Brennan.
Ma non c’era tempo per fare domande. In genere i primi che accorrono sul luogo di un incidente aereo o di altre sciagure, nonostante le lodevoli intenzioni, sono purtroppo impreparati ad affrontare fatalità di vaste proporzioni. Quando mi era stato richiesto di raggiungere al più presto il luogo del disastro, ero in viaggio da Charlotte a Knoxville, lungo il confine di Stato. Ero uscita dalla I-40 e rientrata in direzione opposta, avevo tagliato verso Waynesville in direzione sud e poi a ovest verso Bryson City, un paesino del North Carolina a circa duecentottanta chilometri a ovest di Charlotte, ottanta chilometri a est del Tennessee e ottanta chilometri a nord della Georgia. Avevo seguito la striscia d’asfalto delle provinciali fin dove la manutenzione dello Stato non arrivava più, e poi avevo proseguito sulla ghiaia fino a una stradina della guardia forestale che si inerpicava sulle montagne.
Pur avendo ricevuto istruzioni precise, mi era venuto il sospetto che dovesse esistere una via migliore, magari un sentiero per il trasporto della legna, che permettesse di avvicinarsi più facilmente alla vallata adiacente. Avevo valutato se tornare o meno all’auto, ma poi avevo deciso di proseguire. Forse anche chi mi aveva preceduta aveva dovuto fare un po’ di trekking. Del resto, quando avevo parcheggiato la macchina, avevo avuto l’impressione che la strada non proseguisse oltre.
Dopo un’estenuante scalata, mi aggrappai con un ultimo sforzo al tronco di un abete di Douglas, puntai un piede e cercai di raggiungere la sommità del pendio. Mentre mi allungavo, mi trovai faccia a faccia con gli occhi di una specie di bambola di pezza che penzolava a testa in giù con i vestiti impigliati tra i rami più bassi dell’albero.
Mi balenò in mente l’immagine di una bambola simile con cui mia figlia giocava da piccola, e d’istinto feci il gesto di afferrare quella che avevo davanti.
Ferma!
Abbassai il braccio, consapevole del fatto che prima di essere rimosso ogni reperto doveva essere mappato e registrato. Solo a quel punto il triste memento poteva essere consegnato a qualcuno.
Dalla nuova posizione individuai distintamente quello che con tutta probabilità doveva essere il sito dell’urto principale. Vidi un motore, semisepolto da un cumulo di terra e rottami, e quelli che sembravano i tronconi di un’ala. Una porzione di fusoliera era completamente priva della parte inferiore, come la figura di un manuale per l’assemblaggio dei modellini. Attraverso gli oblò vidi i sedili, alcuni occupati, molti vuoti.
Il paesaggio, disseminato di corpi e di rottami, ricordava una discarica coperta di rifiuti. Dal punto in cui mi trovavo, i brandelli di carne coperti di pelle apparivano incredibilmente pallidi contro lo sfondo di sottobosco, viscere e rottami di aereo da cui erano circondati. Dagli alberi penzolavano oggetti di ogni genere, per lo più intrappolati tra rami e foglie. Tessuti. Cavi. Lastre di metallo. Pannelli per isolanti. Plastica stampata.
I soccorsi più vicini erano già arrivati e stavano provvedendo a delimitare il sito e a cercare eventuali superstiti. Alcune persone si muovevano tra gli alberi, altre chiudevano con il nastro di plastica la zona coperta di rottami. Indossavano giubbotti gialli con la scritta DIPARTIMENTO DELLO SCERIFFO – CONTEA DI SWAIN stampata sulla schiena. Altre ancora vagavano sole o aspettavano riunite in capannelli, fumando, chiacchierando, fissando impotenti il disastro.
In lontananza, notai provenire dal folto della foresta dei lampi di luce rossa, blu e gialla, che probabilmente indicavano la strada di accesso che io non avevo trovato. Immaginai le volanti della polizia, i furgoni dei vigili del fuoco, i camion di soccorso, le ambulanze e i mezzi privati dei volontari che l’indomani mattina avrebbero intasato quella strada.
Il vento girò e l’odore di fumo si fece più intenso. Mi voltai e vidi fluttuare sopra di me una sottile piuma nera. Lo stomaco mi si strinse: ormai ero abbastanza vicina per sentire insieme a quello acre e pungente del fumo anche un altro odore.
Sono un’antropologa forense e occuparmi di morti violente è il mio mestiere. Le centinaia di vittime di incendi che ho esaminato per conto di coroner e medici legali mi hanno reso molto familiare il puzzo acre della carne carbonizzata. Non lontano d...
Indice dei contenuti
- Cover
- Frontespizio
- Viaggio fatale