Romanzi
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La crociera, Gita al faro, Orlando, Le onde

  1. 400 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La crociera, Gita al faro, Orlando, Le onde

Informazioni su questo libro

Virginia Woolf è tra i maggiori scrittori sperimentali europei, le sue pagine hanno aperto strade inedite al romanzo del Novecento. Ma del Novecento la Woolf è stata anche una vittima, la sua immagine subissata di moderni luoghi comuni: donna emancipata e intellettuale, nevrotica e anoressica, bisessuale e suicida. Intanto lei portava sulla pagina la frammentata vitalità del soggetto contemporaneo: dalla prima opera, La crociera, legata al romanzo di formazione dell'Ottocento, nel giro di pochi anni passerà alla struttura più ardita di Gita al faro, in cui il fuoco della scrittura è fissato sulla creazione artistica. In una manciata di mesi arriverà Orlando, "un capriccio" che rivelerà tutta la sua raffinata capacità di mescolare i generi e diventerà uno straordinario successo di pubblico. Sarà poi la volta di Le onde, uno dei suoi ultimi romanzi: lo sforzo qui è titanico, la sperimentazione tocca il suo punto più estremo e maturo. Pochi anni dopo, nel 1941, Virginia Woolf sceglierà di abbandonare la letteratura e la vita.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817054898
eBook ISBN
9788858623268
LA CROCIERA

I

Siccome le vie che vanno dallo Strand al Lungotamigi sono strettissime, è meglio non camminare a braccetto. Se ci si ostina, i giovani di studio saranno costretti a spiccare grandi balzi nella mota; le dattilografe dovranno scalpitare di impazienza alle nostre spalle. Nelle vie di Londra, dove la bellezza passa inosservata, l’eccentricità deve pagare lo scotto; ed è meglio non essere molto alti, non portare un lungo mantello azzurro, non fendere l’aria con la mano sinistra.
Un pomeriggio sul principio di ottobre, all’ora in cui il traffico cominciava ad animarsi, un uomo alto camminava a passi misurati lungo il marciapiedi, con una signora al braccio. Sguardi irati andavano a colpire le loro schiene. Le piccole figure (poiché, al confronto di quella coppia, la maggior parte della gente sembrava piccola), le piccole figure agitate, adorne di penne stilografiche e gravate dal peso delle cartelle, dovevano arrivare in tempo agli appuntamenti e riscuotevano uno stipendio settimanale; c’era quindi un po’ di ragione per gli sguardi ostili elargiti all’alta statura del signor Ambrose e al mantello della signora Ambrose. Ma un incantesimo aveva posto sia l’uomo sia la donna fuori dalla portata della malevolenza e dell’ostilità popolare. Per quanto riguardava l’uomo, si poteva indovinare dalle labbra che si muovevano che era il pensiero; quanto a lei, dallo sguardo impietrito che teneva fisso innanzi a sé, sopra il livello degli occhi della maggioranza, che era il dolore. Era solo ostentando sprezzo per tutti quelli che incontrava che riusciva a trattenere le lacrime; e il contatto della gente che la sfiorava passando le riusciva evidentemente penoso. Dopo avere osservato con sguardo stoico il traffico del Lungotamigi per un paio di minuti, tirò il marito per la manica e i due attraversarono la via, in mezzo alla rapida corrente delle macchine. Quando furono al sicuro dall’altra parte, ella ritrasse dolcemente il braccio da quello di lui, permettendo nello stesso tempo alla propria bocca di rilassarsi, di tremare; poi le lacrime sgorgarono e, appoggiando i gomiti alla balaustra, ella nascose il viso ai curiosi. Il signor Ambrose fece un tentativo di consolazione; le dette qualche colpetto sulla spalla; ma ella non accennò di volerlo accettare; e, imbarazzato dalla vicinanza di un dolore maggiore del proprio, egli intrecciò le mani dietro la schiena e fece un giretto per il marciapiede.
Il Lungotamigi sporge qua e là in spigoli simili ad altrettanti pulpiti; questi, però, invece che da predicatori, sono occupati da ragazzini che fanno dondolare spaghi o lanciano ciottoli, o varano pallottole di carta per la traversata. Con occhio pronto a cogliere l’eccentricità, i ragazzini tendevano a giudicare tremendo l’aspetto del signor Ambrose; ma il più vispo di loro gridò: «Barbablù!», mentre passava. Per timore che si mettessero a dar fastidio alla moglie, il signor Ambrose agitò il bastone; al che i ragazzini conclusero che era semplicemente grottesco e quattro di loro, invece di uno solo, gridarono: «Barbablù!» in coro.
Sebbene la signora Ambrose rimanesse assolutamente immobile molto più a lungo del normale, i ragazzini la lasciarono stare. C’è sempre qualcuno che guarda giù nel fiume, vicino al Waterloo Bridge; a volte una coppia ci resta una mezz’ora a parlare, quando il pomeriggio è bello; la maggior parte della gente che va a spasso per diletto rimane in contemplazione per tre minuti; poi, paragonato quel momento con altri momenti, o sentenziato qualcosa, va avanti. A volte gli appartamenti e le chiese e gli alberghi di Westminster somigliano al profilo di Costantinopoli nella bruma; a volte il fiume è di un porpora opulento, a volte è color fango, a volte di un azzurro sfavillante come il mare. Vale sempre la pena di guardare in giù, per vedere quel che succede. Ma quella signora non guardava né in su né in giù; la sola cosa che vedeva, da quando era lì, era una chiazza circolare e iridescente che passava lenta sull’acqua, con un filo di paglia nel mezzo. La chiazza e la paglia tornarono a passare più e più volte dietro il tremulo velo di una grossa lacrima che spuntava; e la lacrima sgorgò e cadde e finì nel fiume. Allora le giunse all’orecchio, da presso:
Lars Porsena of Clusium
By the nine Gods he swore…
e poi, più fievole, come se chi parlava l’avesse sorpassata nel cammino:
That the Great House of Tarquin
Should suffer wrong no more.1
Sì, ella sapeva di dover tornare a tutto ciò, ma per il momento aveva bisogno di piangere. Coprendosi il viso, singhiozzò con più costanza di prima, mentre le spalle le si alzavano e abbassavano con un movimento regolare. Fu questa la figura che il marito vide, quando, dopo avere raggiunto la Sfinge di pietra levigata ed essersi impigliato con un uomo che vendeva cartoline, si volse; la strofa s’interruppe all’istante. Egli si avvicinò a lei, le posò una mano sulla spalla e disse: «Carissima». La sua voce era supplichevole. Ma ella si coprì il viso quasi a dire: “Non puoi assolutamente capire”.
Ma siccome egli non la lasciava, dovette asciugarsi gli occhi e alzare lo sguardo all’altezza dei comignoli delle fabbriche sull’altra sponda. Vide così anche gli archi del Waterloo Bridge e i carri che lo traversavano, simili alla fila di animali di un tiro a segno. Li vide confusamente; ma vedere qualcosa equivaleva, naturalmente, a smettere di piangere e ricominciare a camminare.
«Preferirei andare a piedi» disse, poiché il marito aveva fatto cenno a una vettura già occupata da due uomini d’affari.
La fissità del suo umore si allentò con l’atto del camminare. Le automobili sfreccianti, più simili a ragni lunari che a oggetti terrestri, gli autocarri rimbombanti, le vetture tintinnanti, le carrozzelle nere, la fecero pensare al mondo in cui viveva. In un certo punto, lassù oltre i pinnacoli, là dove il fumo si levava a forma di cono appuntito, i suoi bambini chiedevano di lei e ricevevano una risposta rassicurante. Quanto all’ammasso di vie, di piazze e di pubblici edifici che li dividevano, ella sentiva solo, in quel momento, come Londra si fosse fatta poco amare da lei, sebbene trenta dei suoi quarant’anni fossero trascorsi in una via della città. Sapeva come leggere nell’animo delle persone che le passavano accanto; c’erano i ricchi che a quell’ora correvano dalla casa dell’uno alla casa dell’altro; c’erano i lavoratori fanatici che si dirigevano in linea retta ai propri uffici; c’erano i poveri che erano infelici e, a buon diritto, malevoli. Sebbene ci fosse ancora sole nella foschia, già vecchi e vecchie in cenci ciondolavano il capo nel sonno sulle panchine. Quando si cessava di vedere la bellezza che rivestiva le cose, quello era lo scheletro che c’era sotto.
Ora, una pioggerella sottile aumentò ancor più il suo scoramento; furgoni, con gli strani nomi di gente occupata in strane industrie – Sprules, Fabbricanti di Segatura; Grabb, per il quale non un sol pezzo di carta straccia è sprecato – parevano cadere nel vuoto come una barzelletta senza spirito; audaci amanti al riparo di un solo mantello le parevano abbietti, senza più passione; le fioraie, lieta comitiva, i cui discorsi meritano sempre di essere uditi, erano megere inzuppate; i fiori rossi, gialli, azzurri, stretti tutti insieme, non risplendevano. Inoltre il marito che camminava a passo svelto e ritmico, agitando di tanto in tanto la mano libera, era o un vichingo, o un Nelson colpito; i gabbiani ne avevano mutato il tono della voce.
«Ridley, prendiamo una carrozza? Prendiamo una carrozza, Ridley?»
La signora Ambrose fu costretta a parlare a voce alta; ormai egli era lontano.
La carrozza, trottando ad andatura costante sempre per la stessa strada, li allontanò ben presto dal West End e li tuffò dentro Londra. Questa, a quanto pareva, era un grande ammasso di fabbriche, dove la gente era occupata a fare oggetti, come se il West End, con le sue luci elettriche, le vaste vetrine tutte splendenti di luce gialla, le case accuratamente rifinite e le minuscole figurine vive che trotterellavano sul selciato, o rotolavano per la strada sulle ruote, fossero il lavoro finito. A lei pareva un pezzetto di lavoro piccolissimo, per essere fatto da quell’enorme fabbrica. Per chissà quale ragione, le appariva come una nappina d’oro sull’orlo di una gran cappa nera.
Nell’osservare che non oltrepassavano nessun’altra carrozza, ma soltanto furgoni e carri, e che nemmeno uno dei mille uomini e donne che vedeva era un signore o una signora, la signora Ambrose capì che, tutto sommato, l’essere poveri è cosa normale, e che Londra è città di innumerevoli poveri. Scossa da questa scoperta e vedendo se stessa passeggiare in circolo, ogni giorno della propria vita, intorno a Piccadilly Circus, provò grande sollievo a passare vicino a un edificio dove il Comune di Londra aveva istituito una scuola serale.
«Signore, come è tetro!» gemette il marito. «Povere creature!»
Un po’ per l’infelicità al pensiero dei propri bambini, un po’ per via dei poveri e della pioggia, l’animo di lei era simile a una ferita esposta a seccarsi all’aria.
A questo punto la carrozza si fermò, perché correva il rischio di venire schiacciata come un guscio d’uovo. L’ampio Embankment, che una volta aveva avuto posto per palle di cannone e squadroni armati, si era ristretto fino a divenire una viuzza selciata di ciottoli, fumigante di esalazioni di malto e petrolio, e bloccata dai furgoni. Mentre il marito leggeva i manifesti incollati ai muri di mattoni e annuncianti le ore a cui certe navi sarebbero salpate per la Scozia, la signora Ambrose faceva del suo meglio per raccogliere informazioni. Da un mondo esclusivamente occupato a dare sacchi in pasto ai furgoni e, inoltre, semicancellato da una fine nebbia giallastra non ottennero aiuto né attenzione. Parve un miracolo quando un vecchio si avvicinò, indovinò la situazione e propose di portarli alla loro nave con la barchetta che era ormeggiata in fondo a una rampa di scale. Non senza una certa esitazione, si affidarono a lui, presero posto nella barca e ben presto ondeggiarono su e giù sull’acqua; e Londra fu ridotta a due file di edifici ai due lati, edifici quadrati e edifici oblunghi messi in fila come una strada di mattoni fatta da un bambino.
Il fiume, che conteneva una certa quantità di torbida luce gialla, scorreva con grande impeto; chiatte massicce lo discendevano rapidamente, scortate da rimorchiatori; imbarcazioni della polizia sorpassavano in velocità ogni cosa; il vento aveva la stessa direzione della corrente. La barca a remi in cui sedevano ballonzolava e s’inchinava attraverso la linea del traffico. A metà del fiume, il vecchio si fermò, con le mani sui remi e con l’acqua che scorreva di fianco a loro, e osservò che, un tempo, aveva traghettato molti passeggeri, mentre ora non ne traghettava quasi più. Si sarebbe detto che rammentasse un’epoca in cui la sua barca, ormeggiata fra i giunchi, aveva portato piedi delicati a posarsi sui prati di Rotherhithe.
«Ora hanno bisogno di ponti» disse, indicando il mostruoso profilo del Tower Bridge. Tristemente, Helen guardava colui che metteva tanta acqua fra lei e i suoi bambini. Tristemente, osservava la nave a cui si andavano avvicinando; era ancorata in mezzo alla corrente e se ne poteva leggere vagamente il nome: Euphrosyne.
Molto vagamente, nel crepuscolo che scendeva, si potevano vedere le linee del sartiame, gli alberi e la bandiera scura che la brezza spiegava largamente all’indietro.
Mentre la barchetta si accostava al fianco del vapore, il vecchio ritirò i remi e osservò, additando un’altra volta verso l’alto, che tutte le navi del mondo spiegavano quella bandiera il giorno in cui salpavano. Nella mente di entrambi i passeggeri, quella bandiera azzurra parve un simbolo sinistro e quel momento un momento di presagi; ma, nondimeno, si alzarono, raccolsero i propri oggetti e si inerpicarono sul ponte.
Giù nella sala della nave di suo padre, la signorina Rachel Vinrace, di ventiquattro anni, stava in piedi, attendendo con un certo nervosismo lo zio e la zia. Per cominciare, sebbene fossero parenti prossimi, li ricordava appena; per continuare, erano persone anziane; e per finire, in quanto figlia di suo padre, ella doveva, in certo qual modo, essere preparata a intrattenerli. Si disponeva a incontrarli come la gente civile, di solito, si dispone al primo incontro con altra gente civile; come se questa fosse della stessa natura di un incombente disturbo fisico… una scarpa stretta, o una finestra con lo spiffero.
Era già irrigidita in modo anormale per riceverli. Mentre era occupata a mettere le forchette severamente diritte di fianco ai coltelli, udì una voce d’uomo dire in tono tetro:
«In una notte buia si potrebbe ruzzolare giù per queste scale a capofitto.» Al che, una voce di donna aggiunse: «E ammazzarsi».
Mentre diceva le ultime parole, la donna apparve sull’uscio. Alta, dagli occhi grandi, drappeggiata in scialli viola, la signora Ambrose era romantica e bella; non simpatica, forse, poiché i suoi occhi avevano uno sguardo diritto ed esaminavano con attenzione ciò che vedevano. Il suo viso aveva molto più calore di un viso greco; d’altra parte, era molto più ardito del viso della solita inglese bellina.
«Oh, Rachel, come va?» disse, stringendole la mano.
«Come stai, cara?» disse il signor Ambrose, chinando la fronte per ricevere un bacio. La nipote provò istintiva simpatia per il suo corpo magro e angoloso e per la grossa testa dai lineamenti marcati e gli occhi penetranti e innocenti.
«Avverti il signor Pepper» ordinò Rachel al servitore. Poi marito e moglie sedettero da un lato della tavola, di fronte alla nipote.
«Mio padre mi ha detto di cominciare» spiegò questa. «Ha molto da fare con gli uomini… Conoscete il signor Pepper?»
Un omino, curvo come certi alberi piegati da una bufera che soffi sempre dalla stessa parte, era scivolato nella stanza. Fece un cenno del capo al signor Ambrose e strinse la mano a Helen.
«Spifferi» disse, alzando il collo della giacca.
«Soffre sempre di reumatismi?» domandò Helen. La sua voce era bassa e seducente, sebbene ella parlasse in tono piuttosto distratto, poiché aveva ancora in mente la visione della città e del fiume.
«Una volta reumatici, reumatici per sempre, temo» egli rispose. «Fino a un certo punto dipende dal tempo, sebbene non tanto quanto la gente tende a credere.»
«Non se ne muore, in ogni modo» disse Helen.
«Come regola generale… no» disse il signor Pepper.
«Minestra, zio Ridley?» domandò Rachel.
«Grazie, cara» egli disse e, nel porgere il piatto, sospirò udibilmente: «Ah! non somiglia alla madre». Helen arrivò a picchiare il bicchiere sul tavolo troppo tardi per impedire a Rachel di udire e diventare tutta rossa dall’imbarazzo.
«In che modo le persone di servizio trattano i fiori!» si affrettò a esclamare. Tirò a sé un vaso verde dal labbro arricciato e cominciò a trarne fuori i crisantemi pigiati e a deporli sulla tovaglia accomodandoli meticolosamente l’uno a fianco all’altro.
Ci fu una pausa.
«Conoscevi Jenkinson, vero, Ambrose?» domandò il signor Pepper dall’altra parte del tavolo.
«Jenkinson di Peterhouse?»
«È morto» disse il signor Pepper.
«Oh Dio! L’ho conosciuto… secoli fa» disse Ridley. «Era stato l’eroe dell’incidente della zattera, ti ricordi? Buffo tipo. Aveva sposato una giovane che era commessa di un tabaccaio e viveva in quel di Fens… Non ho mai saputo cose ne fosse di lui.»
«Alcool… stupefacenti» disse il signor Pepper, con sinistra concisione. «Ha lasciato un trattato; un pasticcio irrimediabile, mi dicono.»
«Veramente, era un uomo di grandi capacità» disse Ridley.
«La sua introduzione a Jellaby regge ancora» proseguì il signor Pepper. «Il che è sorprendente, considerando come cambiano i libri di testo.»
«Aveva una teoria sui pianeti, no?» domandò Ridley.
«Gli mancava qualche rotella, non c’è dubbio» disse il signor Pepper, crollando il capo.
In quel momento, un tremito percorse il tavolo e fuori una luce si spostò. Nello stesso tempo, un campanello elettrico trillò forte e ripetutamente.
«Si parte» disse Ridley.
Un’ondata, lieve ma percettibile, parve passare sotto il pavimento; poi si abbassò; poi ne venne un’altra, più percettibile. Le luci passavano scivolando fuori dalla finestra senza tende. La nave emise un alto gemito malinconico.
«Si parte!» disse il signor Pepper.
Altre navi, tristi come lei, le risposero da fuori, sul fiume. Si udivano chiaramente lo sciacquio e il gorgoglio dell’acqua, e la nave si inclinò in modo che il cameriere che portava i piatti si dovette tenere in equilibrio, mentre chiudeva le tende. Ci fu una pausa.
«E Jenkinson di Cats… lo frequenti sempre?» domandò Ambrose.
«Come al solito» rispose il signor...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. Introduzione
  5. Cronologia
  6. Bibliografia
  7. La Crociera
  8. Gita Al Faro
  9. Orlando
  10. Le Onde