Angeli caduti - 2. Arde la notte
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Angeli caduti - 2. Arde la notte

  1. 432 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Angeli caduti - 2. Arde la notte

Informazioni su questo libro

Sette anime da salvare, sette peccati capitali che solo lui può condurre alla redenzione o alla condanna. La prima partita dell'eterna battaglia tra bene e male l'ha vinta Jim Heron, angelo caduto con un passato pieno di cicatrici ed eroe suo malgrado. Ma non c'è tregua per Jim perché Devina, il demone che può assumere qualsiasi sembianza e che lo sta sfi dando in una gara senza esclusione di colpi, è pronta a riprendere la lotta. E la seconda pedina del gioco è un osso veramente duro; Isaac Rothe, un ex soldato che ha militato con Jim nelle Operazioni Speciali, pericolosissima squadra top secret con una sola regola: non se ne esce se non da morti. Ma Isaac ha infranto quella regola, trasformandosi in un disertore. E ora, mentre si guadagna da vivere come pugile in un giro di combattimenti clandestini, qualcuno lo sta cercando per ucciderlo. A proteggere Isaac insieme a Jim, questa volta, c'è l'affascinante e misteriosa dottoressa Grier Childe, l'avvocato di Isaac, tormentata da un passato impossibile da dimenticare. Ma fra Grier e Isaac, due anime ribelli così diverse ma in fondo così simili, esplode da subito un'attrazione imprevedibile e incontrollata. Perché forse l'amore è l'arma letale e fa la differenza.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2011
Print ISBN
9788817049337
eBook ISBN
9788858622674

1

South Boston, oggi
 
«Ehi! Tienitela per il ring, questa roba!»
Isaac Rothe lanciò il volantino oltre il cofano della macchina, pronto a tirare un altro pugno alla carrozzeria, se necessario. «Cosa ci fa la mia foto qui sopra?»
Il promoter di combattimenti clandestini sembrava più interessato all’incolumità della sua Mustang. Isaac lo afferrò per la giacca: «Ti ho chiesto cosa ci fa la mia faccia su quel volantino».
«Datti una calmata, amico...»
Isaac si strattonò al petto quel figlio di puttana, naso contro naso come il salame in un panino, e sentì una zaffata di hashish. «Te l’ho detto, la mia foto non ce la devi mettere. Mai.»
Il promoter alzò le mani in segno di resa. «Okay, mi dispiace. Senti, sei il mio pugile migliore, sei la star del...»
Isaac strinse il pugno. «Niente foto, altrimenti non combatto più. Chiaro?»
Il promoter deglutì rumorosamente e squittì: «Chiaro. Scusa».
Isaac allentò la presa, accartocciò la foto e la buttò via. Si guardò intorno nel parcheggio del magazzino abbandonato e si maledì. Stupido. Un perfetto idiota, a fidarsi di quel viscido bastardo.
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Dopotutto, i nomi non contano niente. Chiunque può scrivere Tizio o Caio su un tesserino, un certificato di nascita, un passaporto. Basta il font giusto e una macchina plastificatrice, di quelle che fanno gli ologrammi. Ma la fototessera, la tua faccia, il grugno... Se non hai i soldi e i contatti per rimetterti a nuovo con la chirurgia plastica, quello è l’unico modo in cui possono identificarti.
E la sua faccia aveva appena fatto il giro della città via corriere espresso. Dio solo sapeva quante persone l’avevano vista.
O chi poteva averlo rintracciato.
«Senti, ti stavo solo facendo un favore.» Il promoter sorrise, mostrando una chiostra di denti d’oro. «Più spettatori abbiamo, più soldi guadagni.»
Isaac lo zittì premendogli un dito sulla trachea. «Devi proprio chiudere questa dannata bocca. E ricorda cosa ti ho appena detto.»
«Sì, certo.»
Isaac gli voltò le spalle.
Tutt’intorno, gli uomini stavano già scendendo dalle auto, prendendosi a spintoni come ragazzini, una folla di tifosi ubriachi pronti a godersi lo spettacolo. Ma sarebbero rimasti fuori dall’ottagono, a guardare attraverso la rete metallica.
Il fatto che stesse per dare un taglio agli incontri clandestini di arti marziali miste era irrilevante: chi lo stava cercando l’avrebbe trovato facilmente anche senza quel simpatico primo piano con il numero telefonico nero su bianco, prefisso 617.
L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che si facesse vivo un agente o, Dio non volesse, il braccio destro di Matthias.
E poi il promoter era stato proprio un imbecille. Un combattimento clandestino a mani nude, con relativo giro di scommesse illegali, non era roba da pubblicizzare con il megafono; e comunque, visto il numero di spettatori, il rischio era già troppo alto.
Ma quell’idiota era avido.
E a questo punto la domanda era: Isaac doveva combattere oppure no? I volantini erano appena stati stampati, a sentire l’imbecille; calcolando velocemente l’ammontare dei suoi risparmi, pensò che i mille o duemila di quella sera potevano fargli comodo.
’Fanculo! Doveva entrare nell’ottagono. Una volta ancora, per foderare il portafogli, poi avrebbe smesso.
Un’ultima volta.
Si avviò verso il retro del magazzino, ignorando le esclamazioni sorprese e quelli che lo additavano: «Eccolo!». Lo vedevano combattere da un mese, evidentemente quanto bastava a trasformarlo in eroe.
Un pessimo sistema di valori. Senza contare che Isaac si considerava l’esatto opposto di un eroe.
All’entrata sul retro, i buttafuori si spostarono per lasciarlo passare; lui li salutò con un cenno del capo. Era il primo incontro in quel «locale», ma alla fine i locali erano tutti uguali. A Boston e nei dintorni c’erano tantissimi palazzi e magazzini abbandonati dove una cinquantina di tizi che si credevano Chuck Liddell stavano a guardarne un’altra mezza dozzina – che di sicuro non erano Chuck Liddell – chiusi in una gabbia a forma di ottagono tirata su in tutta fretta. Ed era precisamente questo il motivo per cui il promoter aveva messo la sua faccia sui volantini: perché, a differenza degli altri pugili, Isaac sapeva il fatto suo.
Per quanto, con tutti i soldi che il governo americano spendeva per l’addestramento, solo un perfetto idiota non avrebbe imparato a sfracellare crani.
Comunque a lui quell’addestramento sarebbe servito anche per non farsi rintracciare.
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Se Dio mi aiuta, pensò mentre entrava nell’edificio.
Ed eccola, l’arena improvvisata di quella sera: diciottomila metri quadrati di aria fredda, imprigionata fra un pavimento di cemento e quattro pareti di finestroni sporchi; il ring, otto lati tenuti insieme con i bulloni – però sembrava insolitamente robusto –, era montato nell’angolo in fondo. D’altronde, un sacco di muratori e carpentieri erano tifosi di quello «sport».
Passò davanti ai due tizi dal collo taurino che gestivano le scommesse e quelli gli offrirono da bere e da mangiare. Isaac scosse la testa. Raggiunse il ring e si appoggiò con la schiena alla parete. Era sempre l’ultimo a combattere, essendo l’attrazione principale, ma non c’era modo di sapere quando sarebbe venuto il suo turno. La maggior parte dei «pugili» resisteva pochi minuti, però ogni tanto ce n’erano due che si fronteggiavano come vecchi grizzly, finché persino a lui veniva voglia di gridare: Su, diamoci un taglio.
Non c’erano arbitri e l’incontro si interrompeva solo quando un idiota ansimante, ubriaco perso e con la faccia rossa, si ritrovava steso a terra mentre il guerriero urbano che l’aveva buttato giù cominciava a saltellare sui piedi sudati. Non esistevano colpi proibiti, fegato e gioielli di famiglia inclusi, e il gioco sporco era incoraggiato. L’unica regola era che dovevi combattere con quello di cui il Signore ti aveva fornito: niente tirapugni, catene, coltelli, sacchetti zavorrati con la sabbia o robaccia del genere.
Quando iniziò il primo incontro, Isaac spostò lo sguardo sugli spettatori. Cercava quella faccia, quegli occhi puntati su di lui, il volto che conosceva da cinque anni e che da cinque settimane, da quando era fuggito, lo ossessionava.
Era stato un errore usare il suo vero nome sui documenti falsi. Certo, il numero di previdenza sociale era quello sbagliato, ma il nome...
Ma gli era sembrato giusto così. Un modo per marcare il territorio, per rivendicare una nuova vita. E forse era stata una sfida: Venitemi a prendere, se avete il coraggio.
Ora però si dava dello stupido. I sani principi, gli scrupoli, tutte le cazzate ideologiche non valgono niente se sei stecchito.
E pensava che lo stupido fosse il promoter?
Tre quarti d’ora dopo lo stampatore di volantini a tradimento si aggrappò alla rete metallica e si portò le mani alla bocca per gridare sopra il ruggito della folla. Quell’uomo si credeva uno showman, ma avrebbe potuto presentare al massimo le previsioni meteo.
«E ora, la nostra attrazione principale...»
Isaac si tolse la felpa tra i boati e gli applausi e la appese fuori dall’ottagono. Combatteva sempre in canottiera, pantaloni della tuta e piedi nudi, come da regolamento, e del resto non possedeva altri vestiti.
Entrò nella gabbia, voltò le spalle all’ingresso e attese di vedere chi sarebbe stato lo sfidante di quella sera.
Ah, sì. L’ennesimo Mister Duro che si credeva un campione, di quelli che appena salivano sul ring si mettevano a saltellare come se avessero un trampolo a molla al posto del colon, a cui piaceva dare spettacolo strappandosi la maglietta e tirandosi pugni in faccia.
Mentre lo stronzo proseguiva l’esibizione, Isaac pensò che gli sarebbe bastato soffiargli addosso per mandarlo con il culo per terra.
Si fece avanti quando sentì strombazzare la bomboletta da stadio che fungeva da gong, i pugni stretti al petto, concedendo al tizio un altro minuto di show. Adesso stava tirando cazzotti all’aria con la mira di un cieco che innaffia le piante.
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Una passeggiata, decisamente.
Ma mentre il pubblico si accalcava intorno al ring, Isaac pensò a quante fotocopie poteva fare una Xerox in sessanta secondi. Cazzo, la faccenda era seria. Sferrò un diretto di sinistro puntando allo sterno, fermando per un attimo il battito del cuore che c’era dietro, poi proseguì con un gancio destro che atterrò sotto il mento di Mister Trampolo gettandogli la testa all’indietro.
Quindi iniziò la fase del tip tap: Mister Duro si trasformò in Ginger Rogers, barcollò, finì contro la rete metallica; il ruggito del pubblico riecheggiava nell’enorme sala, e Isaac si avventò sul povero bastardo. Proprio quando sembrava che stesse per svenire si tirò indietro, lasciandogli riprendere fiato.
Se voleva guadagnare mille dollari in più, l’incontro doveva durare più di tre minuti.
Si aggirò per il ring contando mentalmente fino a cinque. Poi tornò verso l’avversario...
Il coltello lo colpì sulla fronte, all’attaccatura dei capelli. Il sangue gli scivolò negli occhi offuscandogli la vista, e Isaac l’avrebbe in effetti definita una mossa strategica, se il tizio avesse saputo cosa faceva. Ma a giudicare dalla mira dei pugni, doveva essere stato un colpo di fortuna.
La folla iniziò a fischiare e lui iniziò a fare sul serio. Un incapace armato di coltello era quasi pericoloso quanto uno che lo sapesse usare davvero, e di certo non aveva intenzione di farsi rifare i connotati dallo stronzo.
«Come te la passi?» strillò Mister Duro. Anzi: «Come fe la faffi?» per via del labbro gonfio.
Le ultime quattro parole che il bastardo pronunciò sul ring.
Isaac lo disarmò con un calcio alto, schizzando sangue sugli spettatori. E poi uno, due, tre pugni alla testa, e il coglione andò giù dritto come un pezzo di carne al macello.
Fu proprio in quell’istante che i valorosi uomini e donne del dipartimento di polizia di Boston fecero irruzione nel magazzino.
Caos. Immediato.
E ovviamente lui era chiuso dentro la gabbia dell’ottagono.
Scavalcò con un balzo il tizio ansimante a terra, si arrampicò sulla rete alta due metri e si catapultò dall’altra parte. Atterrò in piedi e restò immobile.
Gli spettatori si stavano dando alla fuga, tutti tranne uno. Il suo viso familiare e il collo tatuato erano sporchi del sangue di Isaac.
Il secondo in comando di Matthias, cazzo. Era ancora alto, muscoloso, letale. E sorrideva, neanche avesse trovato l’uovo d’oro la mattina di Pasqua.
Oh, merda. Parli del diavolo...
«Sei in arresto» lo apostrofò un poliziotto da dietro. Un istante dopo era in manette. «Tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te...»
Isaac gli scoccò un’occhiataccia e tornò a cercare con lo sguardo l’altro soldato. Ma il numero due della Operazioni Speciali era scomparso.
Figlio di puttana. Il suo vecchio capo l’aveva stanato.
Quindi, che la polizia di Boston lo stesse arrestando era l’ultimo dei suoi problemi.

2

Caldwell, Stato di New York

Jim Heron era sul prato davanti all’edificio di mattoni a due piani delle pompe funebri McCready. Non ci aveva mai messo piede, ma sapeva perfettamente cosa ci avrebbe trovato: tappeti orientali, nature morte alle pareti, un dedalo di locali spaziosi separati da porte doppie.
Le pompe funebri erano tutte uguali, come i fast food. Be’, logico: c’era un numero limitato di modi per condire un hamburger, con i cadaveri non doveva essere diverso.
Merda, non riusciva a crederci. Stava per vedere il suo cadavere. Davvero era morto solo due giorni prima? Era questa, adesso, la sua vita?
Si sentiva come uno studentello che si sveglia al mattino nel letto di chissà chi: Sono miei i vestiti che ho addosso? Mi sono divertito ieri sera ?
A questo, perlomeno, sapeva rispondere: il giubbotto di pelle e gli anfibi che indossava erano suoi e la sera prima non si era divertito. Aveva ingaggiato battaglia con un demone per salvare l’anima di sette persone, e se aveva vinto il primo round, ora doveva prepararsi al secondo senza sapere chi fosse l’obiettivo. E doveva ancora abituarsi all’idea di essere un angelo. E poi, notizia bomba, adesso aveva un paio di ali.
Ali.
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D’altra parte, c’era poco da lamentarsi: in un batter d’occhi quelle alucce magiche e piumate avevano trasportato il suo culo fin lì da Boston.
Morale della favola? Per quanto lo riguardava, il mondo che aveva conosciuto non esisteva più e quello nuovo faceva sembrare un impiego d’ufficio i suoi anni da sicario alla Operazioni Speciali.
«Ehi, è una figata. Mi piace la roba macabra.»
Jim si voltò. Adrian, di cognome Vogel, era esattamente il tipo d’uomo che ti aspetteresti di trovare nella cella frigorifera di un obitorio, intento a schiacciare un pisolino: piercing, tatuaggi, cuoio nero. Era un tipo dark, e dopo il trattamento che la loro nemica gli aveva riservato due notti addietro l’oscurità gli era entrata anche dentro.
Poveretto.
Jim si strofinò gli occhi e guardò il più sano di mente dei suoi due gorilla. «Grazie per la dritta, non ci vorrà molto.»
Eddie Blackhawk annuì. «Nessun problema.»
Eddie aveva il solito look da motociclista. Nel vento freddo d’aprile, la folta treccia ricadeva sulla schiena sopra il giubbotto di pelle. Mandibola volitiva, pelle abbronzata e occhi rossi, ricordava un dio della guerra degli Inca. Aveva pugni grossi quanto la testa di un uomo e sulle spalle sarebbe potuto atterrare un aereo. Non era precisamente un boy scout, però aveva un cuore d’oro.
«D’accordo, dia...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dedica
  4. Ringraziamenti
  5. Prologo
  6. 1
  7. 2
  8. 3
  9. 4
  10. 5
  11. 6
  12. 7
  13. 8
  14. 9
  15. 10
  16. 11
  17. 12
  18. 13
  19. 14
  20. 15
  21. 16
  22. 17
  23. 18
  24. 19
  25. 20
  26. 21
  27. 22
  28. 23
  29. 24
  30. 25
  31. 26
  32. 27
  33. 28
  34. 29
  35. 30
  36. 31
  37. 32
  38. 33
  39. 34
  40. 35
  41. 36
  42. 37
  43. 38
  44. 39
  45. 40
  46. 41
  47. 42
  48. 43
  49. 44
  50. 45
  51. 46
  52. 47
  53. 48
  54. 49
  55. 50
  56. 51
  57. 52