Viaggio a Ixtlan
eBook - ePub

Viaggio a Ixtlan

  1. 400 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Viaggio a Ixtlan

Informazioni su questo libro

Viaggio a Ixtlan è il capitolo finale della trilogia dedicata agli insegnamenti di don Juan Matus, l'indio yaqui che ha svelato a Castaneda i misteri della sua antica cultura. Un racconto illuminante, che ci permette di ripercorrere l'ultimo apprendistato dell'autore: il viaggio destinato a portarlo - attraverso lezioni, esercizi corporali e spirituali, prove, visioni - a percepire finalmente l'universo quale è, senza il filtro delle convenzioni. È giunto il momento di accostare, e fare proprio, un concetto fondamentale, che sta alla base del cammino verso una comprensione profonda dell'esistenza: la differenza tra il "guardare" quotidiano e il "vedere" del saggio. E, attraverso questo nuovo sguardo, padroneggiare la facoltà di "fermare il mondo", per interrompere il flusso di immagini nel quale scomponiamo il reale e giungere a un istante di totale lucidità. All'apice del lungo percorso intrapreso con coerenza da Castaneda, la via "occidentale" alla sapienza si incarna nella figura del "cacciatore": quell'uomo "senza abitudini, libero, fluido, imprevedibile" proposto come modello di vita a ciascuno di noi.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Viaggio a Ixtlan di Carlos Castaneda in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817054652
eBook ISBN
9788858623411
PRIMA PARTE
«FERMARE IL MONDO»

1
Riconferme dal mondo che ci circonda

«Mi rendo conto che lei conosce molto bene queste piante, signore» dissi al vecchio indiano che stava di fronte a me.
Un mio amico ci aveva appena fatto incontrare e poi aveva lasciato la stanza e noi stavamo facendo le presentazioni. Il vecchio mi aveva detto che il suo nome era Juan Matus.
«Te l’ha detto il tuo amico?» mi chiese con indifferenza.
«Sì.»
«Io raccolgo le piante o, meglio, sono loro che si fanno raccogliere da me» disse con voce sommessa.
Eravamo nella sala d’attesa di una stazione degli autobus in Arizona. Gli chiesi, usando uno spagnolo molto formale, se mi permetteva di rivolgergli alcune domande. Gli dissi: «Il signore [caballero] mi permette di rivolgergli alcune domande?».
Caballero, che deriva dalla parola caballo (cavallo), naturalmente significa cavaliere, o nobile a cavallo.
Mi scrutò in modo inquisitorio.
«Sono un cavaliere senza cavallo» disse con un largo sorriso, e poi aggiunse: «Ti ho detto che mi chiamo Juan Matus.»
Mi piaceva il suo sorriso. Pensai che forse apprezzava le maniere dirette e decisi di incalzarlo subito con una richiesta.
Gli dissi che ero interessato alla raccolta e allo studio delle piante medicinali e che, in particolare, ero interessato a un cactus allucinogeno, il peyote, che avevo studiato a lungo all’università, a Los Angeles.
Pensavo di essermi presentato con serietà. Ero molto controllato e mi sembrava di essere del tutto credibile.
Il vecchio scosse lentamente il capo e io, incoraggiato dal suo silenzio, aggiunsi che senza dubbio sarebbe stato utile per entrambi parlare del peyote.
A quel punto sollevò il capo e mi guardò diritto negli occhi. Il suo era uno sguardo formidabile: non era assolutamente minaccioso o terrificante, ma mi trafisse. A quel punto mi si bloccò la lingua e non riuscii più a sproloquiare. Era la fine del nostro incontro. Ma mi lasciò un barlume di speranza: mi disse che forse avrei potuto andare a trovarlo a casa sua prima o poi.
Sarebbe difficile stabilire l’impatto dello sguardo di don Juan se l’inventario delle mie esperienze non fosse in qualche maniera portato a considerare l’unicità di quell’evento. Quando iniziai a studiare antropologia e di conseguenza incontrai don Juan, ero già esperto nell’arte di «cavarmela». Avevo lasciato la casa dei miei da alcuni anni e questo significava, a mio parere, che sapevo badare a me stesso. Anche se venivo snobbato, in genere riuscivo a ottenere quello che volevo facendo concessioni, discutendo, arrabbiandomi o, se proprio non avevo successo, frignando o lamentandomi; in altre parole, c’era sempre qualcosa che potevo fare in ogni circostanza e mai in vita mia alcun essere umano era riuscito a frenare il mio slancio in maniera così rapida e definitiva come aveva fatto don Juan quel pomeriggio. Ma non si trattava solo del fatto che ero stato ridotto al silenzio: in alcune circostanze ero stato incapace di rispondere al mio avversario a causa di un rispetto intrinseco che avvertivo per lui, persino quando erano manifeste la mia rabbia o la mia frustrazione. Ma lo sguardo di don Juan mi tramortì al punto che non ero più capace di pensare in maniera coerente.
Fui particolarmente intrigato da quello sguardo sbalorditivo e decisi di cercarlo.
Mi preparai per sei mesi, dopo quel primo incontro, studiando tutto quello che riuscii a trovare sull’uso del peyote fra gli indiani d’America, soprattutto gli indiani delle pianure. Mi documentai su ogni opera disponibile e, quando mi sentii pronto, tornai in Arizona.
– Sabato, 17 dicembre 1960
Rintracciai la sua abitazione dopo aver fatto lunghe ricerche in taxi fra gli indiani del luogo. Giunsi là nel primo pomeriggio e parcheggiai proprio davanti a casa sua. Lo vidi seduto su un bidone del latte in legno. Sembrava che mi riconoscesse e mi salutò quando scesi dall’auto.
Scambiammo convenevoli per un po’ e poi, con la massima sincerità, gli confessai che ero stato molto ambiguo con lui durante il nostro primo incontro. Mi ero vantato di sapere un sacco di cose sul peyote, ma in realtà non ne sapevo nulla. Mi fissò con occhi gentili.
Gli spiegai che negli ultimi sei mesi mi ero documentato per preparare il nostro incontro e a quel punto sapevo davvero molte cose.
Si mise a ridere. Ovviamente trovava divertenti le mie affermazioni. Stava ridendo di me e mi sentii un po’ confuso e offeso.
In apparenza si accorse del mio disagio e mi assicurò che, nonostante le mie buone intenzioni, non era possibile una preparazione al nostro incontro.
Mi domandavo se fosse il caso di chiedergli il significato nascosto di quella frase, ma non lo feci; in realtà quell’uomo sembrava in sintonia con le mie sensazioni e cominciò a spiegarmi che cosa aveva inteso. Disse che i miei sforzi gli ricordavano la storia di alcune persone che un tempo un re aveva perseguitato e ucciso. Raccontò che in quella vicenda i perseguitati non si distinguevano dai loro persecutori se non per il fatto che insistevano nel pronunciare alcune parole in un modo che li contraddistingueva; quella pecca, ovviamente, li avrebbe traditi. Il re pose allora dei posti di blocco in alcuni punti cruciali, dove un ufficiale avrebbe chiesto a tutti coloro che passavano di pronunciare una parola chiave. Coloro che la pronunciavano come il re sarebbero sopravvissuti, ma coloro che non lo sapevano fare sarebbero stati immediatamente condannati a morte. Un bel giorno un giovane perseguitato decise di prepararsi a superare il blocco stradale imparando la pronuncia della parola chiave esattamente come voleva il re.
Don Juan proseguì con un ampio sorriso, raccontando che a quel giovane occorsero «sei mesi» per imparare quella pronuncia. Poi giunse il giorno della grande prova. Il giovane giunse al posto di blocco con estrema sicurezza e aspettò che l’ufficiale gli chiedesse di pronunciare la parola fatidica.
A quel punto don Juan si fermò in modo molto teatrale e mi guardò. La sua pausa era studiata e mi sembrò un po’ sdolcinata, ma stetti al gioco. Avevo già udito quella storia. Aveva a che fare con gli ebrei in Germania e con il fatto che si potevano riconoscere dal modo in cui pronunciavano alcune parole; ne conoscevo anche il finale: il giovane alla fine stava per essere catturato perché l’ufficiale aveva dimenticato la parola chiave e aveva chiesto al giovane di pronunciarne un’altra molto simile, ma della quale lui non aveva imparato la pronuncia corretta.
Don Juan sembrava in attesa che gli chiedessi che cosa era successo, e così lo accontentai.
«Che cosa gli successe?» domandai, cercando di sembrare ingenuo e interessato alla storia.
«Il giovane, che era veramente astuto» disse «si accorse che l’ufficiale aveva dimenticato la parola chiave e, prima che l’uomo potesse dire qualcos’altro, confessò di essersi preparato per sei mesi.»
Fece un’altra pausa e mi guardò con un lampo malizioso negli occhi. A questo punto aveva capovolto la situazione a mio sfavore. La confessione del giovane era un elemento nuovo e io non conoscevo più la conclusione della storia.
«Bene, allora che cosa successe?» chiesi, realmente interessato.
«Il giovane fu ucciso subito, naturalmente» disse, e scoppiò in una clamorosa risata.
Mi piacque molto il modo in cui aveva catturato il mio interesse; soprattutto mi piacque il modo con il quale aveva collegato la storia al mio caso personale. Di fatto sembrava che me l’avesse costruita addosso. Si stava prendendo gioco di me in una maniera molto sottile e artistica. Risi con lui.
A quel punto gli dissi che, per quanto stupido potessi sembrare, ero davvero interessato a imparare qualcosa su quelle piante.
«Mi piace molto camminare» disse.
Pensai che stesse deliberatamente cambiando argomento per evitare di rispondermi. Non volevo inimicarmelo con un’insistenza eccessiva.
Mi chiese se volevo andare con lui a fare una breve camminata nel deserto. Risposi con entusiasmo che mi sarebbe piaciuto molto.
«Non è un picnic» mi avvertì.
Gli dissi che volevo lavorare con lui molto seriamente. Avevo bisogno di informazioni, ogni genere di informazione, sull’uso delle erbe medicinali, e avrei pagato il suo tempo e i suoi sforzi.
«Lavorerai per me e ti pagherò» dissi.
«Quanto mi pagherai?» chiese.
Mi parve di avvertire una nota di avidità nella sua voce.
«Quello che pensi sia giusto» risposi.
«Paga il mio tempo… con il tuo tempo» disse.
Pensai che fosse un tipo molto particolare. Gli dissi che non capivo che cosa intendeva. Replicò che non c’era niente da dire su quelle piante, perciò gli sembrava inconcepibile prendere i miei soldi.
Il suo sguardo mi trafisse.
«Che cosa stai facendo lì in tasca?» mi chiese aggrottando le sopracciglia. «Stai giocando con il tuo uccello?»
Si riferiva al fatto che stavo prendendo appunti su un blocchetto di carta dentro la tasca capiente della giacca a vento.
Quando gli spiegai che cosa stavo facendo, rise di cuore.
Dissi che non volevo disturbarlo scrivendo proprio davanti a lui.
«Se vuoi scrivere, scrivi» disse. «Non mi disturbi.»
Camminammo nel deserto lì intorno finché non fu quasi buio. Non mi mostrò alcuna pianta né me ne parlò. Ci fermammo un momento a riposare accanto ad alcuni cespugli di grandi dimensioni.
«Le piante sono cose molto speciali» disse senza guardarmi. «Sono vive e sentono.»
Proprio nel momento in cui pronunciò quella frase una forte folata di vento fece ondeggiare la macchia intorno a noi. I cespugli sbatacchiarono.
«Hai sentito?» mi chiese, appoggiando la mano destra sull’orecchio, come per sentire meglio. «Le foglie e il vento sono d’accordo con me.»
Mi misi a ridere. L’amico che ci aveva messo in contatto mi aveva già detto di stare attento perché il vecchio era molto eccentrico. Pensai che l’«accordo con le foglie» fosse una delle sue eccentricità.
Camminammo ancora per un po’ ma non mi mostrò alcuna pianta né si fermò a raccoglierne. Semplicemente soffiò sui cespugli toccandoli con delicatezza. Poi si arrestò, si sedette su un masso e mi disse di fermarmi e di guardarmi attorno.
Insistevo a chiacchierare. Ancora una volta gli spiegai che desideravo moltissimo apprendere tutto sulle piante, in particolare sul peyote. Lo supplicai di diventare il mio informatore in cambio di un compenso.
«Non mi devi pagare» disse. «Mi puoi chiedere tutto quello che vuoi. Ti dirò ciò che so e poi ti spiegherò come utilizzare questa conoscenza.»
Mi chiese se fossi d’accordo. Ero entusiasta. Poi aggiunse una frase criptica: «Forse non c’è niente da imparare sulle piante perché non c’è niente da dire su di esse».
Non capivo che cosa avesse detto o che cosa avesse inteso dire.
«Che cosa hai detto?» chiesi.
Ripeté la frase tre volte e poi tutta la zona fu sconvolta dal rombo di un jet militare che volava piuttosto basso.
«Ecco! Il mondo è proprio d’accordo con me» aggiunse, portando la mano all’orecchio.
Lo trovavo molto divertente. La sua risata era contagiosa.
«Sei dell’Arizona, don Juan?» gli domandai, cercando di mantenere la conversazione sul fatto che desideravo informazioni da lui.
Mi guardò e annuì. I suoi occhi sembravano stanchi. Scorgevo il bianco in fondo alle sue pupille.
«Sei nato qui?»
Annuì di nuovo senza rispondermi. In apparenza si trattava di un gesto affermativo, ma sembrava anche che scuotesse nervosamente la testa per pensare.
«Tu da dove vieni?» mi chiese.
«Vengo dal Sudamerica» risposi.
«È un posto molto grande. Vieni da tutto il Sudamerica?»
I suoi occhi mi trafissero di nuovo.
Cominciai a spiegargli dove ero nato, ma mi interruppe.
«Siamo simili in questo» disse. «Io vivo qui adesso, ma in realtà sono uno Yaqui di Sonora.»
«Ah, è così! Io vengo da…»
Non mi lasciò finire.
«Lo so, lo so» disse. «Tu sei chi sei, da qualunque parte tu provenga, così come io sono uno Yaqui di Sonora.»
I suoi occhi scintillavano e la sua risata era stranamente sconvolgente. Mi fece sentire come se gli stessi raccontando una bugia. Provavo uno strano senso di colpa. Avevo la sensazione che sapesse qualche cosa che io non sapevo o non volevo dire.
Il mio strano imbarazzo crebbe: doveva averlo notato, perché si fermò e mi chiese se volevo andare a mangiare qualcosa in un ristorante in città.
Ritornammo a casa sua e mentre ci dirigevamo in macchina verso la città cominciai a sentirmi meglio, ma non ero del tutto rilassato. Mi sentivo in qualche modo minacciato, anche se non riuscivo a individuarne la ragione.
Al ristorante volevo offrirgli della birra, ma mi disse che non aveva mai bevuto, neppure birra. Mi venne da ridere. Non potevo credergli. L’amico che ci aveva messo in contatto mi aveva detto che «il vecchio era fuori di testa per la maggior parte del tempo». Davvero non mi importava se mi stava mentendo sul fatto che non aveva mai bevuto. Era un uomo che mi piaceva; c’era qualcosa di molto consolatorio nella sua persona.
Dovevo avere uno sguardo piuttosto dubbioso, perché a quel punto mi spiegò che era abituato a bere quand’era giovane, ma un giorno aveva semplicemente smesso di farlo.
«La gente fa fatica a capire che noi possiamo eliminare qualsiasi cosa dalle nostre vite, in qualsiasi momento.» Fece schioccare le dita.
«Credi che si possa smettere di fumare o di bere facilmente?» domandai.
«Certo!» rispose con estrema convinzione. «Bere e fumare non sono niente. Proprio niente se vogliamo smettere.»
In quel momento l’acqua che si stava scaldando nel bollitore emise un sibilo ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Bur
  3. Frontespizio
  4. Introduzione
  5. Prima Parte. «Fermare Il Mondo»
  6. Seconda Parte. Viaggio a Ixtlan
  7. Indice