Mussolini segreto
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Mussolini segreto

  1. 517 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

A settant'anni dalla loro stesura e dopo una serie di vicissitudini travagliate che ne hanno in passato ostacolato la pubblicazione, i diari di Claretta Petacci raggiungono finalmente il pubblico italiano. E rivelano ben più di quanto ci si potrebbe aspettare dalla donna nota a molti solo come l'ultima e più famosa amante di Mussolini. Claretta Petacci si dimostra infatti testimone d'eccezione dell'Italia fascista: nei suoi scritti registra con minuzia e attenzione ogni mossa, ogni parola, ogni preoccupazione del Duce. Il lettore scopre così, accanto a resoconti di pomeriggi d'amore a Palazzo Venezia o sulla spiaggia di Castel Porziano, le considerazioni di Mussolini a proposito di Hitler, i suoi discorsi contro gli ebrei, i francesi, gli spagnoli e gli inglesi, le sue critiche al papa e ai Savoia. Nel corso degli anni narrati in questi diari, che vanno dal 1932 al 1938, in Italia e in Europa maturavano eventi gravissimi: la nascita dell'Asse fra il nostro Paese e la Germania, la promulgazione delle leggi razziali, l'annessione nazista dell'Austria. Di questi e di molti altri episodi Mussolini discute con Clara, non solo amante, ma anche confidente e consigliera. E forse, come ipotizzano alcuni storici, spia o tramite tra il Duce e Churchill. Qualunque sia la verità, però, resta la forza e il valore inestimabile di un documento storico di prima importanza che mostra i ritratti più intimi, sul piano sentimentale ma anche politico, del dittatore italiano e della donna che lo accompagnò per oltre dieci anni.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2011
Print ISBN
9788817037372
eBook ISBN
9788858601501

1938

Anno cruciale per la storia mondiale. Adolf Hitler a marzo ingoia l’Austria con l’Anschluss, e minaccia di fare lo stesso con la Cecoslovacchia. Ma gli accordi di Monaco in settembre elevano Mussolini al rango di statista «pacificatore». Sul fronte interno il regime non ha oppositori, se non la «fronda» degli scettici sull’Asse con la Germania. Ma il 1938 è l’anno delle vergognose leggi razziali contro gli ebrei.
Nello sport, il superciclista Gino Bartali viene spinto dal regime a rinunciare al Giro d’Italia, per concentrarsi sul Tour de France che infatti vince. Il Giro finisce a Giovanni Valetti. Il campionato è vinto dall’Inter, seconda la Juventus, terzo il Milan. Ma, soprattutto, a giugno la nazionale vince la sua seconda coppa Rimet. A Parigi, per la gioia dell’antifrancese Mussolini.
Di tutto questo nei diari di Claretta arriva solo un’eco attutita. Per lei l’unica preoccupazione è la fedeltà di Benito, che ogni tanto la tradisce con Romilda Ruspi e, vedremo, con Giulia Brambilla Carminati e Alice Pallottelli, altre mature ex amanti. Il dittatore, per rassicurarla, è costretto alla solita dozzina di telefonate giornaliere che da qualche mese sono diventate il loro ossessivo rito quotidiano.

2 gennaio: «Gli uomini grandi sono odiati»

«Tu credi che tutti mi amino, che tutti mi adorino, ma ti sbagli: gli uomini grandi sono più odiati che amati, perché nessun essere vuole riconoscersi inferiore a loro.»
Sono le quattro del pomeriggio di domenica 2 gennaio 1938. A Roma splende il sole. Claretta è andata a trovare il suo Benito a palazzo Venezia. Di domenica non ci sono udienze, quindi lui l’ha convocata più presto del solito.
È bello sbarbato, fresco. Legge un giornale. Ma l’umore è cattivo: «La notte del primo dell’anno» si lamenta «in via Montebello hanno gettato un mio busto dalla finestra. La polizia sta indagando per trovare chi e perché, ma intanto… Dopo tutto quel che ho fatto e faccio per gli italiani!». Tace. Poi: «Anche nei gerarchi c’è questo senso di orgoglio, riconoscono malvolentieri la mia superiorità. Agli uomini secca sentirsi inferiore a quell’uomo che ogni tanti secoli nasce, ed è più forte. Gli uomini grandi sono odiati. Tu che vuoi, che tutti mi amino come te, cara? Ora si troverà chi è stato, ma intanto lo hanno fatto. Era un busto in gesso».
Legge e sottolinea i giornali stranieri, li mette in una busta e scrive sopra «Polizia». Mi dice: «Amore, scusami se lavoro, poi andiamo di là».
Claretta: «Mi piace vederti lavorare».
Legge i rapporti, io intanto guardo delle pitture in un libro. Le ammira [anche lui], intanto mangia un mandarino. Poi va a fare pipì.
Torna. «Amore, adesso scrivo la risposta al telegramma di Goga,58 e tu?»
Ride perché anch’io vado là [in bagno].
Scrive ancora quando torno, poi telefona al ministero degli Esteri e dice: «Chi siete voi? Bene. Ora vi detto il telegramma per Goga che è già da ieri che doveva partire. Prendete la carta, ci siete?».
Corregge e aggiunge qualche parola mentre detta. «Dovrete dargli la precedenza su tutto e subito, deve andare, altrimenti si domanderà com’è che non ho risposto ancora. Rileggete. Sì, certo, levate “rileggere”. Bene, domani darò l’autografo al ministro. Siamo intesi, subito.»
Dice: «Adesso ho finito e tu puoi darmi il premio se vuoi, amore».
Prende i mandarini, andiamo di là. Mi abbraccia e pieno d’ardore amoroso siede in poltrona, comincia a parlare di cose tremende e dolci.
Saltella come un lupacchiotto, balla il valzer
Facciamo l’amore con entusiasmo e forza, si getta sul divano, sfinito dice: «Coprimi, ho freddo». Poi si alza e mangia come un selvaggio la frutta. Io sorrido, lo guardo mentre cerco stazioni sulla radio. Fa delle graziose smorfie da lupacchiotto, ride. Mi viene vicino saltellando, mi bacia e balla un valzer. Scherza. Poi si copre perché ha freddo. Siede in poltrona, io vicino a lui, al solito. Mi manda ancora alla radio, mi fermo su musica di Beethoven. Quando torno ancora vicino a lui dice di amarmi e mi accarezza i capelli. Mi dice: «Quando partiamo per il Terminillo? Appena guarito il [mio] dito, vero? Stai tranquilla che appena parte mia moglie vado su, quindi non hai di che temere».
«La principessa Maria José è repellente»
«È venuto da me Sebastiani dicendomi: “Mi ha domandato la principessa di Piemonte [Maria José di Savoia] se lei ha un telefono privato”.
No, non lo sapete voi che io non ho telefoni né numeri privati? “Va bene” ha detto “ad ogni modo le fa sapere che il suo numero privato è questo.”
E mi ha dato il numero. Sono rimasto alquanto sorpreso e piuttosto seccato. Cosa sono queste storie, queste confidenze, io sono il capo di governo e lei la principessa, perciò non c’è niente da spartire fra noi. Ti ricordi ciò che ti narrai del mare [cfr. 6 novembre 1937]. Si muoveva e si metteva in certe posizioni mezza nuda che veramente, sai, ci voleva tutto il mio sangue freddo. No, non l’avrei mai toccata. Anzitutto è repellente, assolutamente non fa nessuna impressione, ma poi io ero un politico e capo di governo, sai, il mio istinto mi difende. Adesso esce fuori con questa storia del telefono.
Sono rimasto di stucco. Tu che ne dici? Stai tranquilla, non farei mai una cosa simile per molte ragioni, a parte che sia fisicamente repellente. Se volevo lo potevo fare allora al mare, che eravamo soli io e lei. Queste storie non mi piacciono… Così parli dell’imperatrice?»
Claretta: «Chi, quella?».
«Un giorno lo sarà.»
«L’imperatore sei tu e basta. Quelli [i Savoia] sono cartoline.»
Ride: «E allora chi è l’imperatrice se io sono l’imperatore? Dimmi, chi è l’imperatrice, amore?».
«Ci prendevamo come due furiosi amanti folli»
Mi bacia. «Hai avuto un matrimonio disgraziato e infelice, mi pento di averti consigliato di provare. Ma credevo che il tuo [per me] non fosse un amore così profondo. Pensavo ad una ammirazione tutta ideale dell’uomo grande, che poi nei fatti poteva disilluderti. Tenevo a questo tuo ideale e ti consideravo una bambina.
Se rivado indietro con il pensiero, però, devo dire che ti ho sempre amato. Mi dispiace aver perduto tante ore d’amore, seppure anche nei nostri colloqui puri c’era tanta dolcezza. Un qualcosa di così diverso da tutto. Come mi amavi, anche allora. Non dovevi sposarti. Ogni volta che tornavo da fuori trovavo sempre una tua lettera, quasi tu sentissi quando tornavo, e mi dicevi: “Roma è vuota, è triste senza di te”. Cara, ti amavo, avevo per te tanta dolcezza. E adesso mi ami? Hai sofferto tanto, ora sei felice? No, io non ti tradisco. Basta, con quella donna è finito tutto, non l’ho più veduta dal giorno che sei stata così male. Ho detto basta in modo assoluto.
Ora ti amo come prima. Senti amore, se c’è un periodo che io ricordo con straordinaria emozione sono i giorni al mare, le ore indimenticabili in cui dopo aver bisticciato con violenza ci prendevamo come due furiosi amanti folli. E il tramonto e le nuotate, gli attimi sublimi della nostra vita, insomma giorni di gioia, di ansia e d’amore.»
«Vorrei perdere gli occhi se ti dico una bugia»
Claretta: «Appunto per questo mi sembra impossibile che tu…».
«Senti Clara, devi convenire che l’uomo è debole, e che è facile a cadere. Una donna [la Ruspi] che dice: “Ma perché mi devi lasciare, io ti ho amato, ti amo, ti ho dato tutta la mia giovinezza, lasciati amare. Lasciami almeno un poco di te, mi contento che lei non ti voglia tutto per sé. Dimentichi tutto ciò che ti ho dato” e mi abbraccia e si strofina. Naturalmente è accaduto.»
Claretta: «Capisco una volta, ma due e tre. Tu ormai lo sapevi che finiva così, perciò ci sei voluto andare».
«Ma tu l’hai capito: per il figlio, per la casa, per l’affitto. Io un po’ la pena, un po’ ho ceduto… Ma ora basta, basta assolutamente, anche perché la tua sofferenza è la mia. Se soffri la mia vita viene turbata al punto che non posso lavorare. Siccome ti amo non posso vederti soffrire. Tu morivi di dolore, allora ho detto: “Giuro a me stesso che basta”. L’unico segno di vita di lei l’ho avuto quando mi ha mandato quel biglietto. Poi non ho saputo più nulla. Anzi, direi che questo silenzio mi preoccupa un poco, non vorrei che stesse tramando qualcosa. Se si fosse rassegnata sarei felicissimo e tranquillissimo, sarebbe ciò che ci vorrebbe.
Non mi importa né mi interessa, sono felice che non scriva e non si faccia viva. Sono rimasti dei rapporti assolutamente pecuniari che tratto con la sorella. Le passo ogni tanti mesi qualche cosa e mi occupo anche di aiutare il più grandicello che ha sedici anni, di farlo entrare in un’accademia militare. L’aiuterò sempre finché posso, anche perché rimane sola con tre figli, ma i denari li do alla sorella. La vedo, lei passa verso il galoppatoio [all’interno di villa Torlonia] e io le do ciò che occorre. Passa di lì per andare dal principe [Torlonia], del quale è segretaria o che so io, si ferma un attimo e prosegue. Saranno quindici giorni…»
«[Non è vero che] non la vedi da quindici giorni.»
«Allora saranno dieci.»
«Sii preciso.»
«Cara inquisitrice, è inutile, perché io ti dico sempre la verità, il mentire mi fa fatica. Non posso ricordare ciò che invento, ho troppe cose da pensare. Lei non esce perché non può farsi vedere, perché tutti direbbero: ma questa chi è? Che vuole? Com’è che sta qui? Io non l’ho mai veduta uscire, né lei né i figli. Sta [a villa Torlonia, però] verso via Nomentana: lì è chiusa, perché questo è il patto perché possa rimanere. Ma ora andrà via perché sono contrario a che stia lì, non mi fido della sua presenza così vicino, non vorrei qualche brutta mossa.
Vorrei perdere gli occhi, diventare cieco se ti dico una sola bugia, se questa non è la pura verità. Non ho più veduto quella donna da dicembre, e cioè da quando tu sei stata così male, né la vedrò più. Devi credermi, devi avere un poco di fiducia. Non sono l’ultimo degli uomini.»
Claretta: «Sono sicura che eviti di dirmi la verità. Menti per non farmi male».
«Ti dirò la verità anche cruda, anche se ti farà male, ma te la dirò, se tu lo preferisci. Amore, credimi e basta. Si ricomincerebbe da capo con le scene, i pianti, e non c’è scopo. Basta. È finita, doveva finire. Ora sono veramente puro e tuo, ti amo sempre di più e con crescente passione perché la mia carne si trova con la tua completamente, questo è importante. Ora ho bisogno di te, mi piaci, ti amo. Non parliamone più. Non ci penso, né me ne curo affatto. Basta.»
Si alza. Quando gli domando della Romania dice: «[Il primo ministro Goga] è bravo, sì, ma è un poeta, pieno di slanci, di entusiasmi. È un poeta, e ho timore dei poeti».
«Mi pensi anche quando fai pipì?»
Mentre ci prepariamo per andare e mi vesto, mi dice: «Ma sempre mi pensi? Ogni ora, ogni attimo, anche quando fai pipì? Oh dimmi, dimmi tu pure, così avrò coraggio anch’io di dirti che ti penso sempre. Ovunque e molto. Sei sempre viva in me, è più che amore. Vorrei tu potessi vivere sempre con me. Avrei soltanto una paura, che tu ti stancassi. Dimmi, non ci verrò altro che io nella casa nuova, vero?59
C’è una confusione nella mia casa, un tramestio di donne che corrono. Io mi rinchiudo nel mio appartamento e sono tranquillo, non sono entusiasta del frastuono, ma d’altronde… Mi diceva mia moglie in tono trionfante: “Sai, siamo arrivati a 23 letti, con la madre, la balia, la cameriera privata, la signora Agosti e tutte le altre donne”. La signora Agosti è la madre di un amico di mio figlio. Ha 60 anni, è vecchia sai. Ha delle gambe così enormi, poveretta. No, non è venuta in auto.60 Sì, è vero, ma con mia moglie e la madre di Ada. A Natale, è vero, ma non sola con me. Ma poi è vecchia. Vuole un bene ai piccoli Anna e Romano, è pazza di loro. Fa certi regali che spende un occhio, ce l’ha perché il figlio è un industriale, ma insomma. Giuoca con loro tutto il giorno con una pazienza unica. Ma i bambini sono terribili e crudeli senza saperlo. L’Anna ieri le dice: “Si può sapere perché vieni a mangiare sempre da noi?”.
Questa poverina si è messa a piangere. Allora ho chiamato l’Anna e le ho detto: “Sei molto cattiva. Perché le hai detto così? Vedi che l’hai fatta piangere? Adesso vai da lei e dille che hai scherzato”.
Mi ha guardato e ha detto: “Io non ci vado”.
“Se non ci vai sei mo...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Clara Petacci spia o tramite fra Churchill e Mussolini?
  4. Questo diario
  5. 1932
  6. 1933
  7. 1934
  8. 1935
  9. 1936
  10. 1937
  11. 1938
  12. Appendice: Lettere di Claretta a Mussolini, 1933-1937
  13. Riproduzioni dal diario originale, 1938
  14. Ringraziamenti
  15. Bibliografia
  16. Indice dei nomi
  17. Indice