Prefazione
«Dateci una palanca di meno, ma lasciateci mugugnare.»
Questa era la richiesta degli antichi marinai genovesi prima dell’imbarco sui velieri mercantili.
Oggi Epifani, parlando a nome dei marinai genovesi direbbe: «Abbiamo già mugugnato abbastanza... Potete ridarci qualche palanca?». Invece, i cosiddetti tirchi genovesi preferivano avere un soldo di meno in cambio di una lamentela, di un mugugno, o semplicemente, come si dice a Genova, di un «menaggio». Una palanca di meno in cambio della libertà d’espressione.
Io sono genovese. Guardo il mare, sono selvatico e mugugno. E ho il menaggio nel sangue.
A un certo punto della mia carriera, mi sono sentito domandare: «Perché fai satira politica? Tu, prima, non ti occupavi di certe cose». Certo, a quindici anni non trombavo ancora, ma nessuno poi a venti mi ha chiesto: «Perché ti sei messo a trombare, che non l’hai mai fatto?».
Come diceva Peter Sellers in Oltre il Giardino: «C’è un tempo per ogni cosa» (in realtà lo diceva già l’Ecclesiaste nella Bibbia, ma preferisco citare Peter Sellers perché, fra i due, è quello che mi ha sempre fatto più ridere).
Quando hai vent’anni, hai la testa impegnata a rincorrere le ragazze. A vent’anni è normale. I problemi casomai insorgono quando hai passato i settanta e continui a rincorrerle come quando ne avevi venti... Ma non divaghiamo, questa è un’altra storia.
Crescendo si cambia. A trent’anni, le esigenze delle persone mutano radicalmente. Ricordo benissimo che a me, a trent’anni, non bastava più semplicemente rincorrere le ragazze come facevo a venti. Avevo voglia di acchiapparne qualcuna, almeno una volta. Così, per capire cosa si provava. Non mi bastavano più i documentari di Piero Angela.
Poi la volta è venuta, e mi ha acchiappato Carla. A quel punto, non solo ho risolto definitivamente il problema delle ragazze ma anche, con il matrimonio e la maturità, ho finalmente compreso la mia vocazione e cosa avrei dovuto fare nella vita da lì in avanti: ingrassare.
Comunque, qui ve lo voglio dire: non è colpa mia se, a un certo punto della mia carriera, mi sono messo a fare satira politica. Io me ne stavo tranquillo nel mio angolino, sono loro che hanno iniziato per primi a dire cazzate. Ve li ricordate? Craxi, Forlani, Poggiolini, Tanzi, Cragnotti... È colpa loro, io ho cercato solo di difendermi.
E passati loro, ne sono venuti degli altri ancora più attaccabrighe.
Purtroppo, devo ammetterlo: per quante battute comiche io abbia partorito in questi ultimi quindici anni, al momento continuano a vincere loro.
Non riesco mai a stargli dietro.
Ma cos’è la satira politica?
Ogni essere umano, quando comincia a esprimersi, inizia anche a fare politica. Mio figlio, per esempio, quando mi chiede perché debba essere io a comandare in casa, fa politica.
Occupo anch’io un posto di potere, sono il capo-famiglia. E quando mio figlio mi dice che se fossimo una famiglia di gibboni potrei essere un papà fantastico, sta facendo satira. Cioè satira al potere.
Se non sbaglio, era proprio il bambino che diceva: «Il re è nudo», vero? Eppure io non giro mai nudo per casa, anche perché del gibbone diciamo che ho poco, tendo più al facocero...
La satira deve fare male, deve essere caustica.
Mio figlio, a otto anni, sa essere terribilmente caustico con me. Anche mio padre, quando io avevo otto anni, sapeva essere terribilmente caustico con me. Effettivamente i tempi sono cambiati, ma fortunatamente nella mia famiglia siamo sempre stati molto tradizionalisti: sul caustico con me, ci hanno sempre dato dentro tutti.
A differenza di mio figlio, io avevo una fiducia illimitata in mio padre. Lo guardavo con ammirazione, lo adoravo. Mio padre aveva fatto la guerra, non aveva potuto finire gli studi. Tutte le volte che doveva studiare... c’era la guerra. Per tutta la mia adolescenza gli ho invidiato la giustificazione. Era perfetta. «Crozza, come mai non ha studiato?»
«Eh, prof, c’era la guerra!»
«Ah...»
Quand’ero in terza elementare, chiesi a mio padre di correggermi i compiti. Pensavo che sapesse tutto. Quel giorno mi spiegò gli angoli. «Due angoli la cui somma è 90 gradi si dicono complementari. Due angoli la cui somma è 180 gradi si dicono supplementari.» Ero fiero di mio padre. Lui però purtroppo continuò: «E dopo i supplementari... ci sono i rigori».
Quel giorno compresi che forse ne sapevo più io di mio padre e, riguardo ai compiti, non gli chiesi mai più nulla.
Ma è così: ogni generazione è sempre un po’ più evoluta di quella precedente. Ogni tanto gioco ai videogame con i miei figli. Ci sono dei giochi in cui io mi fermo al primo livello; loro invece sono già entrati nel sistema operativo della mia banca e hanno fatto un bonifico online di sessantamila euro.
Mi ha telefonato il direttore della mia agenzia: «Scusi, signor Crozza, perdoni la curiosità, ma cosa se ne fa di sessantamila euro di trottole?».
Da qualche tempo, ogni martedì sera alle otto, mio figlio mi vede prendere il casco per uscire e mi domanda: «Dove vai?».
«Vado a lavorare» rispondo.
«Seee... a quest’ora... vai, vai, se mi dai dieci euro, ti copro io con la mamma.»
Effettivamente, come lavoro, è difficile da spiegare a un bambino: ogni martedì sera esco di casa, prendo la mia Vespa, vado alla Rai di Genova, e da lì mi collego con Ballarò, che va in onda in diretta da Roma. Che lavoro faccio? Lo meno ai politici.
Generalmente i politici vanno in Rai da Vespa. Io vado in Rai con la Vespa. Sembra una differenza da poco, ma cambia il mondo.
Più o meno, va avanti così da tre anni. Ogni martedì, «Buonasera onorevole...», e giù cazzate.
Alle volte penso che, se mi odiassero, non avrebbero nemmeno tutti i torti. Sono persone anche loro, molti sono anche brave persone (qualcuno è addirittura incensurato, per dire...), magari sono stanchi, hanno vissuto una giornata pesante, hanno voglia di andare a casa dalle loro famiglie, e invece gli tocca il dibattito con Floris, e per giunta devono anche sopportare un guitto come me che li prende subito per il culo.
Con la mia satira alle volte si divertono, alle volte meno. Quando si divertono troppo, io mi domando dove ho sbagliato. Quando invece fanno la faccetta incazzata e sorridono a denti stretti, so di essermi guadagnato la pagnotta. E quando il politico mi ignora, fa finta che io non ci sia, non reagisce in nessun modo... allora è Tremonti.
Tre anni sono tanti, di cose ne succedono.
Rileggendo recentemente i testi delle mie «copertine» satiriche, mi sono accorto, da un lato che molti riferimenti alle cose e agli avvenimenti di questi ultimi anni sono ancora parecchio attuali, e dall’altro, che la memoria di ciò che abbiamo già cominciato a dimenticare è ancora utile per comprendere le ragioni di quello che accade oggi in questo Paese.
Questo è uno dei motivi per i quali ho accettato l’invito della Rizzoli a pubblicare questo libro. Naturalmente non è il principale. Ovviamente, il principale sono i soldi che mi hanno dato.
«Lasciatemi mugugnare, e datemi anche una palanca in più.»
Dal 2007 a oggi. Un po’ per capitoli, un po’ così com’è venuto.
Buona lettura.
C’era una volta un governo di Prodi
«Signore e signori, buonasera e benvenuti alla 57a edizione del “Festival della Crisi italiana”, dalla splendida cornice di quel Gran Casinò di Palazzo Madama, iniziamo subito con la gara.
Di Turigliatto, Rossi, Pallaro, Pininfarina: “Oggi qui, domani là”, canta Marco Follini, dirige l’orchestra il maestro Giulio Andreotti.»
Maestro... Mah. Gran Maestro, d’Oriente forse.
Ci siamo trasformati tanto negli ultimi decenni, eh? Io non riesco a star dietro ai cambiamenti di questo Paese. Mi ricordo che quarant’anni anni fa c’era Andreotti che faceva cadere i governi e Pippo Baudo che presentava il Festival di Sanremo con Ira Fürstenberg. Pensa come siamo cambiati: oggi c’è Michelle Hunziker...
Brutta aria per il Centro-sinistra: il governo viene battuto da un ordine del giorno dell’opposizione che approvava l’operato del governo, mentre il governo aveva invitato a votare contro se stesso. Questa bisogna leggerla almeno due volte. La logica e la retorica hanno molti concetti: il paradosso, l’ossimoro, l’antinomia, il sofisma... In questo caso il te...