La gente come noi non ha paura
eBook - ePub

La gente come noi non ha paura

  1. 360 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La gente come noi non ha paura

Informazioni su questo libro

Amiche, figlie, rivali, madri, sorelle. Ragazze soldato. Sono le donne le protagoniste assolute del romanzo di Shani Boianjiu, la più giovane autrice mai segnalata dalla National Book Foundation americana tra i Cinque migliori autori sotto i trentacinque anni. Yael, Avishag e Lea crescono insieme in un piccolo villaggio israeliano al confine con il Libano. La loro iniziazione passa attraverso il gioco, la solitudine, gli amori, il dolore che come una nebbia sottile offusca l'orizzonte. Il dolore dei bambini palestinesi che la notte smantellano la base nemica portandosi via tutto ciò che sa di metallo; quello dei sudanesi abbattuti dai soldati egiziani alla frontiera; quello dei fratelli e degli amanti che le tre amiche – poco più che bambine in uniforme – vedono morire ogni giorno. Alla fine, diventeranno donne molto diverse dalle adolescenti di un tempo, più consapevoli o forse irrimediabilmente spezzate. Intimo e feroce, dolente e spericolato come le storie che racconta, La gente come noi non ha paura è la fotografia commovente e dura, aliena da compiacimenti, dello stato d'animo di un'intera generazione condannata a vivere sempre nell'istante che precede il pericolo e la violenza.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2013
Print ISBN
9788817064415
eBook ISBN
9788858643594

Seconda parte

L’incidente diplomatico

La prima cosa che dobbiamo sapere è che quando l’incidente diplomatico accadde Yael si trovava in una base di addestramento vicino a Hebron. Lea era alla scuola ufficiali. Loro non c’entrano niente. Avishag era al confine egiziano quando ci fu l’incidente, nelle torrette e ai checkpoint. Aveva superato egregiamente i mesi di guardia davanti al monitor. Al momento dell’incidente, era arruolata come soldato semplice nell’unica unità di fanteria dell’esercito a maggioranza femminile, di stanza al confine. Avishag non poteva prevedere cosa sarebbe accaduto quel giorno. Potremmo dare la colpa a lei, o a Israele, o all’Egitto, o persino all’America, se volessimo. Ma a cosa servirebbe?
L’altra cosa che dobbiamo sapere è che l’ufficiale di fanteria Nadav non ci accusa di niente. Niente. Non punta il dito contro i suoi compagni di scuola né contro suo padre, né il governo israeliano, o qualunque altro governo, né tantomeno contro la «guerra». Quando aveva appena sette anni, o anche sei, gli capitava di interrompersi mentre stava facendo i compiti o guardava le Tartarughe Ninja e di dire: «Se ho un problema con qualcuno, quello è Dio».
Diceva veramente così. Un bambino di sei anni! Era molto maturo per la sua età, il nostro Nadav, e adorabile in tutto e per tutto, anche prima che sua madre morisse nell’attentato suicida sull’autobus della linea 5 (quello del 1991 alla stazione centrale di Afula; non il primo, quello avvenuto in primavera). Erano le piccole cose quelle di cui Nadav si sarebbe volentieri lamentato con Dio. Come quando festeggi il compleanno all’asilo e i tuoi genitori vengono a scuola con la torta. Nadav aveva solo suo padre e la torta era del supermercato. Lo avevano fatto sedere su una sedia circondata da palloncini davanti a tutta la classe a guardare la torta posata sul piccolo banco. Quando aveva soffiato sulle candeline, l’odore del fuoco spento si era mischiato a quello dei palloncini di gomma e della glassa di cioccolato scadente. Alla sua destra, suo padre si sforzava di entrare nella sediolina di legno per bambini. Alla sua sinistra non c’era nessuno.
Nadav pensava che se decidi che ogni bambino debba avere due genitori, e poi fai un mondo in cui ovunque uno vada c’è un bambino con un lato destro e uno sinistro, un giusto e un ingiusto, un bianco e un nero, una sedia di qua e una di là, un papà e una mamma, una mamma; ebbene, non è per niente bello se poi dici a una persona specifica: «Mi dispiace, ma nel tuo caso tutto questo non vale». Nadav pensava che Dio in quanto Dio non dovrebbe andarsene in giro a combinare di queste stronzate. È cattiveria, ecco cos’è.
Questo è tutto quel che ha da dire l’ufficiale Nadav. Non intende aggiungere altro.
*
Si potrebbe pensare che Tom avesse il lavoro più facile in assoluto all’interno delle forze armate israeliane, ma in tutta onestà lui sapeva di avere il lavoro più duro al mondo. È vero, era in servizio a Tel Aviv, a soli cinque minuti a piedi dall’Azrieli, il più grande e splendido centro commerciale del paese, nel posto in cui – dopotutto – si trovano il comando centrale dell’esercito e l’ufficio del Capo di Stato Maggiore; e riusciva a tornare a casa ogni sera alle otto e persino a dormire dai suoi; e tutto quel che doveva fare per undici ore di servizio era star seduto a una scrivania di legno a guardare un telefono rosso. Ma un momento – riusciamo davvero a immaginare quanto difficile sia guardare un telefono rosso che non squilla mai? Ogni giorno, dalle otto alle otto, con solo due pause di mezz’oraper mangiare e pisciare? Per tre anni? Mettetevi sulla scrivania un telefono e niente altro e provate a guardarlo fisso. Non resisterete più di quindici minuti.
Ci sono trentaquattro cubicoli nell’ufficio di Tom, e per sua fortuna il suo è posizionato in modo da fargli vedere, se allunga il collo, due foglie del ficus e l’orologio a muro. Ha stretto un patto con se stesso e perciò non può cominciare a pensare a Gali finché non manca un quarto d’ora all’uscita. Prima di quel momento, fa tutte le altre cose. Si strappa i peli delle sopracciglia con le dita. Si conta i denti con il piercing viola che ha sulla lingua. Pensa a Katie Holmes, poi a Shakira. Ma Tom non comincia a fantasticare su Gali fin quando non manca un quarto d’oraalla fine del turno. Non può; altrimenti soffre troppo.
Stasera vedrà Gali per la prima volta dopo due mesi, ed è probabile che questo spieghi la terza gamba che gli spunta nel momento in cui permette al profumo dello shampoo Herbal Essences al melograno di riaffiorargli alla mente, ma sappiamo che in verità quella gamba in più fa capolino ogni volta che si abbandona al pensiero di lei. La cosa peggiore è quando gli spunta a metà del turno. Magari è per via di un minuscolo granello di polvere nell’aria ferma dell’ufficio, che lo fa starnutire e gli ricorda lo starnuto che ha fatto quando l’ha vista l’ultima volta – con la stretta coda di capelli ramati che rimbalzava – ed ecco fatto: è spacciato per il resto del turno, gli tocca soffrire.
*
Qualcuno sa come si dice «Non farlo» in ucraino? Avremmo dovuto imparare a parlare ucraino. Non tanto – sarebbe bastato che imparassimo a dire «Non farlo». Qualunque cosa avrebbe potuto fermare Masha, quel giorno. Non era poi una ragazza così cattiva.
Anche se Brzez˙any, in Ucraina, è una piccola città, Masha doveva stare da sola tutto il giorno a causa del suo lavoro. Era responsabile della numerazione e archiviazione dei moduli relativi agli ordini evasi nella fabbrica di scarpe, quindi il suo lavoro iniziava solo dopo che gli operai erano in fabbrica da alcune ore. Non doveva essere in ufficio prima di mezzogiorno, e a volte anche se arrivava all’una Julian lasciava correre. Riusciva a pranzare con la sua anziana madre, che le dava un bacio sulla fronte davanti alla porta di casa prima che si avviasse. Quando attraversava il mercato per andare al lavoro, non poteva fare a meno di fermarsi davanti al venditore di pomodori e di guardarlo mentre disponeva sul banco i suoi pomodori in un triangolo perfetto e poi ricominciava da capo, sospirando. I bambini erano tutti a scuola, i loro genitori a lavorare, e le uniche persone in giro erano gli anziani e i disoccupati, che vagavano per le strade con passo paziente, lieve. Ogni cosa era banale, ma più leggera: come vedere un video della tua camera da letto quando non ci sei.
All’inizio le piaceva rimanere in ufficio e registrare i moduli degli ordini evasi dopo che gli altri erano già andati a casa a cenare con le famiglie. Tutti i cubicoli intorno a lei erano bui, e allora chiudeva gli occhi immaginando che se qualcuno avesse guardato l’ufficio dall’alto, tutto ciò che avrebbe visto sarebbero stati due puntini di luce che scintillavano nel buio: il suo cubicolo e l’ufficio del capo, Julian.
Ma poi si era stufata. Usciva con Philip da due anni, e quando guardava il cubicolo alla sua destra vedeva la foto incorniciata della famiglia di uno sconosciuto accanto all’albero di Natale, e immaginava di essere la moglie, che teneva il piccino e indicava col dito la stella della Natività. E quando guardava il cubicolo alla sua sinistra, vedeva un’altra foto incorniciata e lei era di nuovo la moglie, stavolta un po’ più grassa e coi capelli rossi, attorniata da quattro ragazzini con troppe lentiggini.
La prima cosa che prese dalla scrivania di uno dei cubicoli fu una penna. Era rossa, con l’estremità segnata da piccoli morsi, e la posò nel terzo cubicolo alla destra di quello in cui l’aveva trovata. Da quel cubicolo prese una pinzatrice e la lasciò quattro cubicoli più in là. Ma non se ne accorse nessuno, anche se lei aspettò una settimana, poi altri due giorni. Nel profondo del cuore sapeva che presto o tardi sarebbe arrivata alle foto. Le piaceva immaginare come sarebbe stato un giorno alzare gli occhi dalla tua scrivania e constatare che tua moglie non era tua moglie, e i tuoi figli non erano i tuoi figli. O meglio ancora, avere sulla scrivania la foto di un’altra famiglia e non accorgersene mai.
E di fatti nessuno se ne accorse. Passò una settimana, poi altri due giorni, poi un mese. Ben presto, nessuna delle foto incorniciate sulle scrivanie apparteneva ai proprietari di quelle scrivanie. Cominciò a spostarle a rotazione, arrivando al punto di passare la notte a organizzare le foto delle mogli in uno schema alternato di bionda, mora, bionda, quando…
«Sei una monellaccia, non è così?» le sussurrò Julian da dietro le spalle. La foto di sua moglie era l’unica che non aveva potuto toccare – lui passava sempre le notti chiuso in ufficio. Ma non era questa la sola ragione per cui si era tenuta alla larga dalle foto di Julian. C’era qualcos’altro. E quel qualcosa le diceva che fin dall’inizio non avrebbe dovuto accettare quel posto alla fabbrica, perché nulla di buono poteva venire da un lavoro che ti costringeva a rimanere in ufficio fino a mezzanotte insieme al tuo capo sposato. Masha era sempre stata una ragazza intelligente e molto attenta.
Non farlo, Masha.
Dolcemente, Julian la afferrò per il polso ossuto, ma lei strinse la cornice che stava tenendo in mano con forza e lo guardò negli occhi. Fece un respiro. Due respiri. Stava respirando.
Ed ecco fatto.
*
Quando Tom e Gali si erano dati il primo bacio alle superiori, lui aveva giurato che non si sarebbe mai lasciato sfuggire una ragazza come lei. E non se l’era lasciata sfuggire, tranne che poi si era messo di mezzo l’esercito; poi lui e Gali volevano cose diverse; poi erano diventati cose diverse; e alla fine erano quasi sempre in posti diversi. Per Tom era sempre stato chiaro, fin da quando aveva dieci anni, che mai nella vita avrebbe preso parte a uno scontro armato. Il certificato medico ufficiale che gli era valso l’esclusione dai reparti operativi citava un’emicrania cronica, e per la verità la sua testa non era del tutto estranea alla faccenda: pagava 120 shekel al mese per farsi le mèche ai capelli castani, e sarebbe volentieri morto piuttosto che vedere la propria chioma costretta a subire l’onta di un elmetto. Il verde dei suoi occhi richiedeva giusto un tocco di eye-liner ogni mattina per risaltare meglio, e Tom sapeva che non avrebbe potuto continuare a prendersi buona cura di sé se si fosse trovato a dover combattere i terroristi e così via.
Ma a Gali era sempre stato altrettanto chiaro, fin da quando aveva dieci anni, che quel che voleva era sparare, e far saltare in aria l’obiettivo, e inseguire gli attentatori sulle colline. Gali sapeva che i suoi genitori avevano fatto il suo corpo a partire da zero, e aveva sempre sperato che un giorno quel corpo sarebbe servito a qualcosa. Per sua fortuna, l’anno in cui era stata abbastanza grande per entrare nell’esercito, era già stata creata la prima unità sperimentale di fanteria a prevalenza femminile. L’occasione era troppo ghiotta per farsela scappare. Malgrado ciò che si potrebbe pensare, Gali apprezzava non poco la compagnia femminile, nonostante il suo aspetto aveva sempre goduto di grande popolarità a scuola tra le ragazze. Ciò che Gali ignorava era il fatto che l’unità di fanteria sperimentale a prevalenza femminile presso cui aveva fatto domanda sarebbe stata assegnata al confine egiziano, un confine che negli ultimi trent’anni era sempre stato tranquillo. E così si era ritrovata inchiodata ai turni di guardia nelle torrette, dove non succedeva mai niente, costretta a coprire posti di blocco in cui la cosa più eccitante che poteva capitarti era beccare un contrabbandiere di DVD, o di immigrati clandestini, o di prodotti alimentari, o di fumo. Aveva le mani legate, perché spuntava sempre qualcuno con più autorità di lei che dava ordine di lasciar entrare quelle cose in Israele. Riusciva a tornare a casa per vedere il suo ragazzo solo una volta ogni due mesi.
E adesso è venerdì. Tom ha il fine settimana libero, e anche Gali, e questo è il fine settimana. Lei dovrebbe arrivare alla stazione centrale degli autobus di Tel Aviv proprio in questo momento, o forse è già in un taxi collettivo diretta a casa di lui. Tom ha libero un fine settimana su due, ma di nuovo, questo non vuol dire che concordi col nostro giudizio quanto alla facilità del suo lavoro. Guardare fisso un telefono che sa che non squillerà. Quando ha saputo che sarebbe stato assegnato a quell’ufficio situato a soli venti minuti da casa, ha ringraziato a lungo la madre per aver sollecitato i suoi agganci con la moglie dell’assistente del Capo di Stato Maggiore. In un certo senso lo hanno trattato come un re, e il suo diretto superiore gli ha persino detto che poteva scegliere davanti a quale telefono preferiva sedersi. Ogni telefono rappresentava un canale di comunicazione perennemente aperto tra l’esercito israeliano e quello di un paese straniero, e a Tom era stata addirittura offerta l’opportunità di scegliere il telefono dell’esercito libanese, che aveva squillato parecchie volte durante quell’ultima orribile guerra.
Tom sapeva che il telefono collegato con l’esercito egiziano probabilmente non avrebbe squillato mai. E sapeva che se anche l’avesse fatto, la telefonata non avrebbe avuto nulla a che vedere con Gali. E sapeva che se anche la telefonata avesse avuto qualcosa a che fare con Gali, c’era una possibilità su un milione che all’altro capo della linea ci fosse lei. Eppure aveva scelto lo stesso l’Egitto, perché se doveva passare tre anni in attesa che squillasse un telefono, voleva essere libero di immaginare che per qualche ragione strana e incredibile, quella telefonata sarebbe venuta proprio da Gali.
«Un giorno sono cipolle; il giorno dopo è miele» borbottava lo zio di Hamody, e intanto faceva cenno alla moglie di riempirgli di caffè la tazzina di porcellana bianca tenendola alzata e inclinandola a destra e a sinistra.
«Ma zio» disse Hamody. Avrebbe voluto dire: «Ma zio, io la amo», ma non lo fece, perché suonava troppo banale.
«Prima o poi ti passerà» riprese suo zio. «I musulmani non sposano ragazze cristiane.»
Quasi sempre, Hamody adorava il fatto che suo zio fosse un grande imam, il capo spirituale di tutto l’Egitto occidentale. Quasi sempre, Hamody amava suo zio più di qualunque altra cosa al mondo.
«Comunque neanche lei ti sposerebbe mai» disse lo zio. Il fumo della stanza faceva bruciare gli occhi a Hamody. Non stava piangendo. «Meglio un uccello nella tua mano che due uccelli sull’albero» disse suo zio, e scoppiò a ridere.
Ma Hamody voleva la ragazza esattamente per quella ragione. Non per via del fatto che era cristiana, giacché in realtà non lo era; almeno non agli occhi di Hamody. Ai suoi occhi non era nemmeno musulmana – e neppure una ragazza. Era un uccello su un albero, in attesa che Hamody si arrampicasse a catturarla, un uccello troppo orgoglioso pe...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. PRIMA PARTE
  5. SECONDA PARTE
  6. TERZA PARTE
  7. Indice